venerdì 31 dicembre 2021

E nel 2022…

 

Ogni anno, la redazione del settimanale Internazionale mette su carta i buoni propositi per l’anno che verrà. Io mi diverto sempre a trovare i punti in comune tra i miei buoni propositi e quelli della redazione. Questa volta ce ne sono pochini:

Non essere frettolosa. Fare ordine nelle password. Fare più attenzione. Risparmiare i nervi e arrabbiarmi solo quando ne vale la pena. Approfondire.

Poi ci sono delle cose auspicabili ma che non classifico tra i buoni propositi, tipo:

Tornare a viaggiare lontano, lontano. 42,195 chilometri.

Di mio aggiungerei:

leggere o rileggere almeno un classico al mese, bere meno caffè, fare più stretching, usare il cellulare per telefonare e non per cazzeggiare, ricominciare a studiare il portoghese, riscoprire Roma. 

E poi c’è un classico: realizzare quelli dell’anno che ci stiamo lasciando alle spalle.

Buon 2022!

 


“Ciò che mi interessa è l’istante presente, bisogna trovare ogni giorno il modo di essere felici.” Jacques Henri Lartigue.

La mostra L’invenzione della felicità, dedicata al fotografo Jacques Henri Lartigue, resterà aperta fino al 9 gennaio 2022 presso l’hub culturale We Gil a Trastevere. 


lunedì 13 dicembre 2021

Più libri più liberi 2021

 


La prima volta che andai alla fiera Più libri più liberi la mia conoscenza dell’editoria italiana era piuttosto vaga. Ero più timida e sprovveduta di oggi e pensavo che le case editrici fossero molto più ricche e strutturate rispetto a quanto accada nella realtà.

Tornai a casa con un mare di carta: tanti cataloghi, qualche bella scoperta, libri firmati da autori di cui non avrei più sentito parlare e un grande entusiasmo. Il mio rapporto con la fiera della piccola e media editoria romana è cambiato con il passare del tempo. Anche grazie a questo blog e al crescente ruolo dei social sono stata coinvolta in diverse iniziative che mi hanno portato a vivere la fiera da dentro. Ma, paradossalmente, all’aumentare della mia presenza tra i corridoi del Palazzo dei Congressi prima e della Nuvola poi, diminuiva la soddisfazione a fiera finita. Troppa gente, troppe corse da una sala all’altra, troppi finti impegni. Era terminato l’entusiasmo della scoperta. Tant’è che nel 2019 ho disertato l'evento senza avvertire neppure quel pizzico di rimpianto che ti prende nel momento in cui il resto della tua bolla posta foto, sensazioni, stralci di giornate nella Nuvola.

Quest’anno, invece, spinta dal rinnovato entusiasmo per progetti di lettura che mi frullano nella testa, incurante del numero di libri che entra in casa occupando ogni spazio libero, ho preso un giorno di ferie per poter girellare tra gli stand. Volevo evitare la folla, le sale piene, le case editrici di cui conosco già i cataloghi (e che non sono più così piccole) e gli eventi di richiamo. Volevo curiosare tra le nuove realtà editoriali e vedere verso cosa si stia muovendo l’editoria italiana.

Avevo dimenticato quanto possano essere rumorose le orde di studenti di tutte le età ma, superato il gruppo scuola, è andato tutto nel migliore dei modi. Dalle mie chiacchiere in fiera, ho avuto la sensazione che le case editrici più giovani abbiano scelto come piano editoriale “pubblichiamo le storie che ci piacciono”, senza tralasciare un pizzico di follia. Questo per lo meno è quanto sostengono i tipi di Pessime idee, casa editrice romana nata lo scorso anno, che ha scelto come motto “Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia”. Questo affermava Erasmo da Rotterdam e da questo siamo partiti.

Non contenti del rischio assunto nel gestire una casa editrice, nel 2021 i tipi di Pessime idee hanno inaugurato anche una libreria. Qui potete spulciare il catalogo di quanto pubblicato finora.

Criterio simile ma più focalizzato sulla selezione l’ho trovato nello stand della nuovissima 21lettere. Sul sito della casa editrice si raccontano così:

Sei soli titoli all'anno. Come è possibile? In parte perché lavoriamo su long-seller. In parte non lo sappiamo, perché è una scommessa.

Se tanti sono i motivi per cui viene pubblicato, o meno, un libro, noi facciamo un passo indietro. Se anche per assurdo avessimo a disposizione i diritti di tutti i libri di tutti i cataloghi, da ognuno ritaglieremmo piccolissime porzioni, lasciando cadere il resto. 

Pochi selezionatissimi titoli su cui investire tanto, ciascuno. Non confinati a un genere prestabilito. Se è bello lo pubblichiamo, questo è ciò che siamo. Il criterio principe. Certo, se è bello per noi. La casa editrice avrà un suo carattere definito, in base alla traccia che lascerà, ma senza confini di sorta. 

Spostandomi dalla narrativa alla saggistica, mi sono lasciata incuriosire da Aras edizioni. In particolare, mi ha colpito la collana Le crinoline che raccoglie saggi su figure femminili rimaste lungamente ai margini della storia o note per essere state “le compagne di…”, più che per la propria personalità.

E poi ho soddisfatto altre curiosità, tipo spulciare con attenzione i volumi esposti nello stand della casa editrice filosofica Tlon. Ci sono temi che io finora ho esplorato pochissimo, temi che includono il femminismo ma anche quella cosa di grande attualità che viene sintetizzata nell’espressione “questioni di genere”. Se ne parla molto e se ne trovano un’infinità di pubblicazioni nei cataloghi di molte case editrici.

Insomma, per sintetizzare la mia fiera e il relativo bottino potrei dire: giovani case editrici, una finestra sull’universo femminile e sulle tematiche di genere, un pezzetto di Cile, un po’ di Roma e qualche regalo.

Questi sono i titoli che sapevo avrei portato a casa:


e questi sono i titoli accidentalmente caduti nella mia borsa, tra uno stand e l’altro:


Credo sia stato anche l’ultimo bottino del 2021, un anno in cui non ho lesinato nell’acquistare libri. Dopo un parco 2020 sono tornata, infatti, alla modalità faccio-un-salto-in-libreria. E ad uscire senza libri da una libreria, si commette peccato. Insomma, con quest’ultima pila, di provviste per l’inverno (ma anche per la primavera/estate) ne ho a sufficienza.

 

mercoledì 8 dicembre 2021

Rosemary’s baby, Ira Levin

 

Non smetto mai di scrivere e cancellare programmi di lettura. Faccio liste mensili, stagionali, annuali. Anni e anni di liste di libri da leggere in un arco temporale ben definito avrebbero dovuto insegnarmi che non le rispetto mai. Ma continuo imperterrita. Rosemary’s baby, per dire, non era mai comparso in nessuna delle mie liste. Poi, però, ho ascoltato Selvaggia Sostegni, lettrice voracissima, parlarne con toni così convincenti da avere l’urgenza di recuperare il romanzo. L’ho trovato disponibile tra gli ebook per il prestito digitale della mia biblioteca (MLOL) e zac!, l’ho letto in una domenica di pioggia.


Lo so, è un titolo celebre così come è arcinota la trasposizione cinematografica realizzata da Roman Polański, eppure, lo confesso, non ho mai visto neanche il film.

Ira Levin racconta la storia della giovane coppia Woodhouse: Guy, attore emergente alla ricerca della parte che lo renderà memorabile, conferendogli fama e ricchezza e lei, Rosemary, mogliettina innamorata, desiderosa di una famiglia numerosa (almeno tre figli che abbiano due anni di differenza l’uno dall’altro) e di una bella casa. Rosemary legge ancora Dickens (Certo che lo leggo. Nessuno smette di leggere Dickens) e Daphne Du Maurier, e aspira a un appartamento nel Bramford, cuore di Manhattan. L’occasione giusta arriva: la facciata del palazzo è ornata da gargoyle, l’appartamento è spazioso e con i soffitti alti, il soggiorno ha due ampie finestre, due bovindi con i vetri a losanghe e una panchetta incassata. E poi c’è il caminetto e una splendida libreria in legno di quercia.

«Nel complesso sembra fatto su misura per una giovane coppia come voi».

Troppo delizioso per lasciarsi scoraggiare dalle sinistre leggende associate al Bramford e a quelle sciocche storie che parlano di suicidi e stregoneria.

«Il palazzo ha un’alta percentuale di precedenti sgradevoli, perché esporsi di proposito a un pericolo? Andate al Dakota o all’Osborne, se proprio non potete fare a meno del lustro del Diciannovesimo secolo».

Ma le parole dell’amico Hutch non dissuadono affatto i coniugi Woodhouse. Stregoneria e satanismo nel Ventesimo secolo. Suvvia! Assurdo.


Il romanzo di Ira Levin, uscito nel 1967, originariamente pubblicato in Italia dalla Garzanti, è stato per lungo tempo fuori catalogo. È stato poi ripubblicato dai tipi della SUR nel 2015, sempre nella traduzione di Attilio Veraldi. È invecchiato bene? Per quanto mi riguarda, ho trovato qualche scena un po’ banale, sebbene un filo d’inquietudine abbia caratterizzato tutta la lettura del romanzo. Sarà stata la pioggia incessante di una domenica di fine novembre, sarà stata la giusta atmosfera, sarà che avevo voglia di un genere diverso, ad ogni modo, Rosemary’s baby ha catturato totalmente la mia attenzione. Era da qualche tempo che non mi capitava di leggere un libro tutto d’un fiato in un solo giorno. Ora dovrò guardare il film. 

 


Neanche a dirlo, il fatto che Rosemary legga Dickens e un romanzo di Daphne Du Maurier ha comportato la necessità di procurarmi un paio di titoli che, ahimè, non avevo ancora inserito nella lista delle prossime letture…

 

domenica 5 dicembre 2021

Le cattive, Camila Sosa Villada

Prima di conoscere le trans del Parco, la mia storia si riduce all’esperienza dell’infanzia e a quel travestitismo istintuale a cui mi sono esposta quando ero ancora una bambina. Fino al momento in cui incrocio la loro strada non so nulla al riguardo, non conosco altre donne trans, non conosco nessuno come me, mi sento l’unica al mondo. E lo sono, nel mondo in cui mi muovo durante il giorno: l’Università, le aule di Scienze della Comunicazione e poi quelle dell’Accademia d’Arte Drammatica. Il mio intero mondo sono gli uomini e le donne che conosco all’Università, e i clienti la notte.

Camila è stata Cristian per tutta l’infanzia, un ragazzino timido che guarda la madre mentre si trucca e indossa i suoi vestiti di nascosto. Un ragazzino a cui prima è stato spiegato che un uomo perbene deve pregare tutte le sere, mettere su famiglia e trovarsi un lavoro, e a cui successivamente è stato ripetuto che, prima o poi, finirà buttato in un fosso, con l’AIDS, la sifilide e chissà quali altri schifezze. A te, conciato così, non ti vorrà mai bene nessuno.

Cristian, che ormai è Camila, scopre l’amore e la tenerezza di una famiglia solo tra le trans del Parco Sarmiento. Il polmone verde nel cuore di Cordova da zoo e divertimenti durante il giorno si trasforma in freddo e selvaggio quando cala la notte. Tra gli alberi le trans si muovono in branco, guidate dalla saggezza della Zia Encarna, la capobranco, centosettantotto anni e un corpo da mamma italiana. Le vite s’intrecciano, le protagoniste diventano sempre più irreali e fantastiche, un po’ si ride, un po’ si soffre, un po’ ci si sente a disagio. Il disagio che si prova sapendo che si ha tra le mani un romanzo ma che lì dentro scorre anche la vita vera di tante persone.  



Le cattive
, romanzo dell’argentina Camila Sosa Villada (edito in Italia dalla SUR, nella traduzione di Giulia Zavagna) è crudele e poetico. La prosa è asciutta, priva di sentimentalismi, a tratti ironica. Ma non è un romanzo facile, almeno per me non lo è stato. Si fa leggere velocemente, però ho dovuto attendere qualche giorno prima di poterlo apprezzare. È il classico romanzo che non avrei acquistato ora, se non fosse stato scelto da un gruppo di lettura. Il gdl della libreria Biblion di Granarolo l’ha proposto per l’incontro on line di dicembre, avrebbe partecipato anche la traduttrice Giulia Zavagna, e la tentazione è stata troppo forte per poter resistere.

L’incontro è stato stimolante e ricco di spunti di riflessione, grazie alla generosità della traduttrice che ha raccontato il dietro le quinte del romanzo. Las malas le venne consigliato dalla scrittrice uruguayana Vera Giaconi (di cui la casa editrice SUR ha pubblicato Persone care, sempre tradotto dalla Zavagna).

Lo lessi e lo lasciai sedimentare qualche settimana prima di parlarne in redazione. Acquistammo i diritti per tempo; poi sono arrivati i premi e le traduzioni in altre lingue.

Copertina realizzata da Lorena Spurio

La Zavagna ha illustrato le scelte editoriali alla base della pubblicazione, evidenziando che la SUR, al contrario di quanto accaduto in altri Paesi, non ha fatto leva sulle vicende personali di Camila Sosa Villada per presentare e pubblicizzare il romanzo: doveva emergere l’urgenza dell’autrice di raccontare una storia, senza personalizzarla. Onestamente, da lettrice non sono stata in grado di scindere il vissuto dell’autrice dal romanzo, scritto in prima persona e avente una protagonista di nome Camila.

A differenza delle altre partecipanti all’incontro, non mi sono innamorata della storia subito, non l’ho divorata in un giorno e non ho colto tutte le metafore ben argomentate da lettrici particolarmente attente. Ma ho apprezzato il romanzo e sono stata colpita dalla TED Conference di Camila Sosa Villada, avvenuta prima della stesura del romanzo. Una testimonianza di grande impatto emotivo. 



martedì 16 novembre 2021

Bologna, Giovanni Boldini e Foto/Industria 2021

 

La scorsa settimana, il coniuge ed io per una serie di improbabili circostanze lavorative, ci siamo incrociati più volte nella stazione di Bologna. Poiché bisogna saper approfittare di ogni occasione utile per rendere le nostre giornate più interessanti, tra un treno e un impegno di lavoro abbiamo incastrato un paio di cose belle.

Venerdì mattina sono riuscita ad andare a trovare di persona le mie libraie preferite. Da un anno, infatti, la mia libreria di riferimento è la Biblion di Granarolo (ehm…, sì, io abito in provincia di Roma. Dettagli). Paola e Margherita sono le libraie che avrei sempre desiderato avere accanto a casa. Le ho trovate a Granarolo ma, per fortuna, esistono i video sui più disparati canali social, i gruppi di lettura on line e i corrieri. Sebbene la distanza fisica sia ormai un ostacolo superabile, poter fare quattro chiacchiere con la Paola all’interno della sua libreria è stato bellissimo.

Giovanni Boldini

Non ricordo più in quale occasione scoprii l’eleganza delle figure femminili ritratte da Federico Zandomeneghi, artista a me del tutto sconosciuto fino a qualche anno fa. Ricordo lo stupore davanti a quelle toelette che emergevano dalla tela, quei volti sensuali e quelle pose eleganti. Da Zandomeneghi approdai a De Nittis e Boldini. Mi riproposi, quindi, di visitare qualsiasi mostra a tema. Trovandomi a Bologna, potevo mica saltare l’antologica Lo sguardo dell’anima dedicata, per l’appunto, a Giovanni Boldini?



Le donne di Boldini hanno la vita sottile e il corpo slanciato, abiti scollati e seni proporzionati; hanno occhi dalle ciglia folte, sguardi ironici, a volte altezzosi, altre ammiccanti. Sono al pianoforte, sono sdraiate in pose languide, spesso sorridono. Giovanni Boldini amava il colore ma pensava con la matita in mano. Studi preparatori, schizzi, immagini in bianco e nero ci conducono nella vivace Parigi di metà Ottocento; lo sparuto gruppo di no green pass incontrato poco prima tra le strade bolognesi è un ricordo lontano.



La mostra comprende, tra le altre, opere di Corcos, Ettore Tito, del mio Zandomeneghi, diverse opere di artisti contemporanei a Boldini, inclusa una trascurabile Ninfea di Monet. Potrete visitarla a Palazzo Albergati fino al 13 marzo 2022. Se non rientrate in categorie particolari, il costo del biglietto intero è di € 16,00, ben spesi (l’importo include l’audioguida).

Qui potete farvi un’idea delle principali opere esposte a Palazzo Albergati.


Foto di Bernard Plossu

Se siete appassionati di fotografia e del mix foto – industria e mondo del lavoro, avrete già sentito parlare della biennale Foto/Industria 2021, organizzata dalla Fondazione MAST. 11 mostre fotografiche di 11 fotografi internazionali, allestite in altrettanti spazi espositivi dislocati nel centro di Bologna: dal Mambo a palazzi storici bellissimi quali Palazzo Fava o Palazzo Boncompagni. Tema della biennale: food. Cibo come rappresentazione di uno stile di vita e di culture diverse, abitudini alimentari che racchiudono la storia e l’evoluzione di un paese, l’impatto dell’industria alimentare sul territorio e il rapporto tra alimentazione, allevamento, agricoltura e pesca. Con le conseguenti riflessioni sulla complessità della questione alimentare e la sempre maggiore difficoltà, da consumatori, nell’adottare comportamenti etici. 


Foto di Herbert List

Ci sembrava un’iniziativa interessante, però non avevamo grandi aspettative. Sicché, la sorpresa è stata ancora maggiore. Abbiamo visitato solo sei mostre, ciascuna a suo modo originale. Ho molto apprezzato il reportage in bianco e nero del fotografo tedesco Herbert List, che ha documentato la tonnara del 1951 a Favignana, e le malinconiche foto di viaggio di Bernard Plossu che, con i suoi scatti, ci ha portato dai fast food statunitensi alle boulangerie parigine, passando per il New Mexico e piccoli borghi italiani.

Molto stimolante, non per le immagini ma per le riflessioni che dalle immagini scaturiscono, l’esposizione del fotografo e attivista olandese Henk Wildschut. All’ennesimo scatto rappresentante il volto meno romantico dell’industria alimentare, guardo il povero pollo e inizio a valutare seriamente un futuro da vegetariana. 

Al Mambo, invece, si può visitare la mostra di Jan Groover e, avendo un po’ di tempo a disposizione, potrete comparare la natura morta della Groover al lavoro di Giorgio Morandi (e usufruire di una riduzione sul biglietto d’ingresso per ammirare le opere del maestro Morandi).

L’ingresso alle mostre di Foto/Industria è gratuito, basta ritirare il badge presso qualsiasi sede espositiva. Termine ultimo per poterle visitare: 28 novembre.

 

Foto di Jan Groover

Il lato negativo delle gite non programmate è che terminano sempre troppo presto. Dopo aver girovagato con il coniuge nel centro di Bologna, mano nella mano, in una giornata di novembre per nulla fredda, ti ritrovi di nuovo in stazione, con la sportina dei libri più pesante rispetto a quando sei partita e nella testa una lunga lista di cose belle da fare nell’immediato futuro.

 


martedì 21 settembre 2021

Librinvaligia



Questo blog ha ancora un senso?

Me lo sono chiesta mentre tornavo a casa con l’idea di scrivere un post che non ho mai buttato giù; me lo sono chiesta di domenica sera, dinanzi all’ennesimo weekend terminato in un soffio. Non sono più in grado di ritagliarmi uno spazio per chiacchierare di libri, camminate, festival, librerie? Ho fatto delle scelte con l’idea di dare ordine alle mie giornate, di mettere al centro le mie passioni ed è andata a finire che il caos ha preso il sopravvento, gli impegni si sono moltiplicati e le energie prosciugate.

Poi, c’è anche una sorta di blocco: diamine!, nell’ultimo anno e mezzo ho scritto pochissimo, sono ricomparsa di tanto in tanto dicendo che sarei stata più costante, salvo poi continuare a latitare; ora cosa faccio, riprendo a scrivere come nulla fosse? Sono ancora credibile? E se poi mi perdo di nuovo?

C’è solo un modo per ricominciare a fare le cose: farle. E se poi mi perdo di nuovo, pazienza.



Sono giunta a questa conclusione ieri sera, mentre leggiucchiavo gli ultimi post di blog amici. Ho percepito la mancanza di quello scambio quotidiano, di quello sguardo diverso sul mondo, di quella realtà parallela che rendeva le mie giornate più ricche.

Insomma, eccomi di nuovo qui.

 


È stata un’estate impegnativa. Però ci sono stati anche boschi, campanelle che annunciavano l’ora della cena, il salato che ha avuto la meglio sul dolce, merende e macedonie, momenti radicali, squarci di azzurro tra le fronde verdi, cremine e cerotti. E poi, polvere, tanta polvere. Mai immaginato che camminando nei boschi ci si potesse impolverare così…

 


Più di tutto, resta lo stupore entrando nella strepitosa cripta della Basilica del Santo Sepolcro ad Acquapendente, il salotto a cielo aperto di San Quirico d’Orcia e l’interno della chiesa di Santa Maria Assunta, la spettacolare Piazza Grande di Montepulciano, la peschiera di Santa Fiora, il lungo, polveroso anello (sentiero 001) del Monte Amiata, il sentiero dell’acqua e quello delle sorgenti che fanno apprezzare, passo dopo passo, la bellezza della Val d’Orcia.  

 


Ma la vera boccata d’ossigeno è arrivata con il Festivaletteratura di MantovaPerché Mantova, perché letteratura, perché il mio primo festival dopo la pandemia, perché giunto tempestivamente dopo un’importante scadenza lavorativa. Me lo son goduto. Non avevo più il fiato sul collo, non c’erano più i patemi del “quando rientro devo ancora fare…”



Camminando nel Parco del Mincio, ho ricominciato a progettare viaggi, letture, incontri con amici, attività ricreative di ogni genere, come se disponessi di un tempo infinito. Sono state giornate senza sveglia, piacevoli colazioni in compagnia ciarlando di libri, eventi senza fila, pause gelato tra un incontro e l’altro. Green pass, gel igienizzante e mascherina hanno reso la città più tranquilla rispetto al passato. Ugualmente vivace, ma meno caotica.     

La tentazione dei banchetti dei libri usati sotto i portici di Palazzo Ducale, setacciati e risetacciati dopo aver ascoltato Andrea Tarabbia e il libraio Giovanni Spadaccini (colui che Compra libri, anche in grande quantità); le diverse forme di commiato narrate da Bernhard Schlink; la Torino di Primo Levi che ne percorreva le strade con lo sguardo rivolto sempre a terra, abitudine rimastagli dai giorni del lager; Beethoven che riecheggia nel Palazzo della Ragione ad accompagnare i versi della poetessa Ruth Padel

La noia e l’irritazione ascoltando Angelo Pellegrino, che dovrebbe parlare degli epistolari di Goliarda Sapienza ma è troppo il compiacimento nell’ascoltare sé stesso per dar voce alla figura della Sapienza; in compenso, il ricordo commosso di Simona Weller e la rappresentazione di una Roma pullulante di collettivi femminili, talvolta violenti, dà senso all’incontro.

Poi, c’è la Siria di Hola Kodmani e la Siria vista dalla Germania attraverso gli occhi di Olga Grjasnowa, in un dialogo serrato che riaccende il mio interesse per quella parte di mondo. Uno degli incontri più interessanti ai quali ho partecipato.


E la piacevole leggerezza del sabato, la leggerezza che ti fa riflettere senza farti avvertire il peso dei pensieri; una cosa che riesce benissimo a Marcello Fois e Gabriele Romagnoli, ma anche a Bruno Gambarotta che chiacchiera con Fouad Laroui del Marocco come oggetto letterario. Laroui si muove agevolmente tra i ricordi giovanili, il Marocco dei caffè (“tra due caffè c’è sempre un caffè”), libri e lingue che hanno caratterizzato la sua vita e che riecheggiano nella sua scrittura. Il mondo senza libri sarebbe un inferno

 


Tutte le foto scattate in Toscana, sono state gentilmente concesse dal coniuge.


lunedì 5 luglio 2021

Briciole sparse di letture disordinate

 


Nessun blocco del lettore. Nessun evento nefasto ha turbato le mie giornate. Ci sono stati dei cambiamenti e le novità destabilizzano anche quando ci hai lavorato su a lungo, ci hai sperato, le hai desiderate fortemente. Poi, buuum! il cambiamento si materializza e tu non hai neanche il tempo di rendertene conto. Sei così felice, così incredula, così concentrata a riorganizzare le tue giornate, ad evitare passi falsi, da mettere in standby tutto il resto.

Il mio attuale lavoro prevede il ritorno al pendolarismo (seppur per brevi tragitti) quotidiano. Pensavo avrei letto tantissimo, ma avevo sottovalutato le fisime derivanti dal mix trasporto pubblico-epidemia. I posti a sedere scarseggiano, gli autobus sono sempre più sporchi, le soluzioni igienizzanti sempre a portata di mano: più ti igienizzi, più le maniglie di treni, metro, bus diventano appiccicose. Ed è un continuo pulire le mani e concentrarti sugli addominali nel vano tentativo di mantenere l’equilibrio e toccare il meno possibile i sostegni che ti circondano. Così passo dall’ebookreader (beh, sì, è più leggero, più pratico. Epperò, anche lì è tutto un tocchicciare; inoltre, volevo leggere quell’altra cosa di cui ho già preso il cartaceo…) al libro cartaceo (uh!, ma quanta soddisfazione mi dà la carta. Però quanto pesa questa borsa…), dal romanzo alla raccolta di racconti, dal Medioriente alla narrativa italiana contemporanea. Insomma, faccio un po’ fatica nel seguire un progetto di lettura coerente. (Sì, d’accordo, non è che sia mai stata particolarmente razionale con i programmi di lettura).

Briciole sparse di letture disordinate.


Premiate letture
. Come ogni anno, a maggio mi son fatta incuriosire dalla selezione dei finalisti per l’assegnazione dei premi letterari nostrani più noti: lo Strega e il Campiello. Ho letto senza grande entusiasmo Sembrava bellezza di Teresa Ciabatti (esclusa dalla cinquina dello Strega) e L’acqua del lago non è mai dolce della chiacchierata Giulia Caminito (nella cinquina finale di entrambi i premi). Inutile star qui a discettare di romanzi di cui troverete 200 presentazioni on line e decine di recensioni. Del romanzo della Caminito mi hanno colpito la prosa, i personaggi che non ammiccano al lettore e che non fanno niente per rendersi simpatici, il finale per nulla consolatorio. Mi ero riproposta di leggere altre opere della cinquina ma il tempo è volato via e le proclamazioni sono dietro l’angolo. Forse dedicherò qualche ora al Campiello (forse).


Non fiction. La salute mentale è un tema che mi interessa parecchio. Ho acquistato il libro di Matteo Spicuglia d’impulso. Non conoscevo l’autore, non ricordavo il processo a cui si faceva riferimento, ma il sottotitolo del libro era esaustivo: Storia di Andrea Soldi, morto per un TSO.


Andrea Soldi, torinese, schizofrenico, muore nell’agosto del 2015, a 45 anni, a causa di un trattamento sanitario obbligatorio eseguito in modo non corretto. Il giornalista Matteo Spicuglia riesce a delineare la personalità e la triste storia di Andrea Soldi con delicatezza e rispetto, attraverso le pagine del diario personale di Andrea e i ricordi dei suoi familiari. La malattia psichica continua a spaventarci: lo schizofrenico è ancora visto come un matto, qualcuno da cui è bene tenersi alla larga. Sebbene siano stati fatti passi avanti (e il testo ne dà conto), il sistema sanitario fino ad oggi si è mostrato inadeguato, i servizi socio-assistenziali languono, le famiglie vivono nella solitudine la sofferenza e la fatica di dover gestire un familiare affetto da malattia mentale.

Edito dai tipi di add.


Graphic novel. Ho letto il mio primo Zerocalcare. Mai dire mai nella vita. E ho visto la rappresentazione grafica di un sacco di scheletri che mi porto dietro…

 


Mi sono avvicinata al true crime. In ritardo, ma ci sono arrivata anch’io.

Se ho ben capito, Compulsion di Meyer Levin, pubblicato in Italia nel 2017 da Adelphi (traduzione di Gianni Pannofino), è stato un clamoroso caso editoriale. Io ci sono arrivata con calma e per caso, su segnalazione contemporanea di due amiche.


Compulsion
narra la storia vera di due ragazzotti benestanti che nel 1924, a Chicago, rapirono e assassinarono un quattordicenne (compagno di classe del fratello minore di uno dei due) per vedere che effetto facesse e per dimostrare di esserne capaci. La vittima, appartenente a una famiglia altrettanto benestante, faceva parte del loro stesso ambiente.

I due assassini erano tra i più brillanti studenti della University of Chicago; sebbene avessero pianificato l’omicidio per quasi un anno, commisero numerosi errori. Eppure, la polizia impiegò parecchio prima di iniziare a sospettare che il delitto potesse essere stato commesso da studenti modello, rampolli di due agiate famiglie. Il caso fu seguito da un altro studente diciottenne della University of Chicago, Meyer Levin, che all’epoca aveva appena iniziato a lavorare come giornalista per conto del Chicago Daily News.

Meyer Levin conosceva i due assassini, conosceva quell’ambiente (pur non facendone parte, non provenendo da una famiglia benestante) e, per una serie di coincidenze, fu il primo a identificare la vittima.

Il romanzo venne scritto a distanza di 30 anni, utilizzando nomi fittizi. Nella prefazione al suo romanzo, Meyer Levin scrive:

Avendo io preso spunto da un caso di cronaca reale, si può affermare che i personaggi da me ritratti sono persone reali? […]

Benché gli eventi siano tratti dalla realtà, va detto che i pensieri e le emozioni dei personaggi sono una creazione dell’autore e vengono attribuiti ai vari personaggi secondo la sua immaginazione. Per questo motivo non ho usato i veri nomi delle persone coinvolte, anche se talvolta ho fatto ricorso a citazioni testuali. Tra queste, la più lunga è l’arringa difensiva e, a tale riguardo, in nome della giustizia letteraria, desidero fare i complimenti al suo vero autore, Clarence Darrow.

Il volume è consistente, ma si legge con trasporto. Meyer Levin ricostruisce il delitto, la personalità di chi vi fu coinvolto, la complessa vicenda giudiziaria, con tutti gli argomenti in gioco: l’introduzione nella battaglia legale della psichiatria, nonché due argomenti scabrosi per l’epoca, di cui tutti i giornali parlarono: l’infermità mentale e l’omosessualità.

Notevole.  

Altri modi di narrare la maternità.

Negli ultimi tempi, sono stati pubblicati diversi romanzi che raccontano il senso di inadeguatezza, la paura, il disagio di essere ma anche di non essere madre. È un argomento complesso del quale, da non madre, non mi permetto di parlare. Ma da donna che non ha mai avuto uno spiccato senso materno, è un sollievo scoprire romanzi che non ripropongono il solito stereotipo delle gioie della maternità. La figlia unica di Guadalupe Nettel, pubblicato in Italia da La nuova frontiera nella traduzione di Federica Niola, racconta la vita di tre donne diverse, di tre modi diversi di intendere la maternità e di alcuni tra i tanti significati che oggi può assumere la parola famiglia.

           


In questi mesi, ci sono state anche altre storie trascurabili ma (tranne un caso) niente di veramente illeggibile o deludente. Poi c’è stata una recente parentesi in Libano. E ne riparleremo presto.


Illustrazione iniziale di Benedetto Cristofani