martedì 26 luglio 2016

Un giorno questo dolore ti sarà utile, Peter Cameron



James ha diciotto anni, vive a New York, è figlio di genitori separati, ha una nonna straordinaria ed è un disadattato.
Sua madre ha una galleria che espone bidoni della spazzatura decoupati, va dalla life coach (perché un allenatore dell’anima è più efficace di un normale psicologo) e trascorre gran parte della vita a rovistare nelle sue immense borse.
Suo padre è pieno di fascino, pensa che la pasta sia da finocchi e sabato farà un intervento cosmetico mirato per eliminare le borse sotto gli occhi.
Sua sorella, da quando ha una relazione con un prof. di teoria del linguaggio, è diventata una fanatica della lingua pura e ha deciso che il suo nome si pronunci Ghillian e non più Gillian.
Eppure, nonostante la singolarità della sua famiglia, il disadattato è James. Non sono uno psicopatico (anche se non credo che gli psicopatici si definiscano tali), è solo che non mi diverto a stare con gli altri. Le persone, almeno per quel che ho visto fino adesso, non si dicono granché di interessante. Parlano delle loro vite e le loro vite non sono interessanti. Quindi mi secco. Secondo me bisognerebbe parlare solo se si ha da dire qualcosa di interessante o di necessario.
Ad ottobre James dovrebbe andare all’università ma la reputa una perdita di tempo e uno spreco di denaro. È un convinto sostenitore dell’autoformazione e pensa che sarebbe più proficuo utilizzare i soldi della retta universitaria per acquistare una vecchia casa nell’Indiana, nel Kansas o nel South Dakota e leggere tutto Shakespeare e Trollope. Per sopravvivere potrebbe sempre fare un lavoretto da McDonald’s.
Ci sono solo due persone che a James piacciono un sacco: sua nonna Nanette e John, il collaboratore di sua madre. Gallerista, bello, di colore e gay. John è l’unica persona sana e normale che James conosca. Ciononostante, James commette una sciocchezza, una di quelle ragazzate che si fanno senza rendersi conto di poter ferire la persona a cui si vuole bene.
Un giorno questo dolore ti sarà utile è un libro delicato, che affronta con ironia la diversità (fate il segno delle virgolette nell’aria e metteteci tutti i corsivi che volete) rispetto ad un mondo che ci vuole esteticamente perfetti, con una formazione certificata dalle migliori scuole del mondo, rigorosamente eterosessuali, veloci negli affari, nella vita, nello spostarci da un luogo all’altro.
Ho apprezzato molto la prima parte del romanzo, poi la narrazione perde un po’ la brillantezza iniziale pur restando una lettura coinvolgente.
 
Foto scaricata da HomeAway. Mancano le vetrate liberty...
Da mettere in valigia quando sei stufo della gente, non sopporti più il resto del mondo e vuoi startene un paio di giorni per conto tuo in una vecchia casa in campagna, con le vetrate liberty. Potrai allungarti in veranda e leggere Cameron, Trollope e Shakespeare. Se sei in vena, potrai aggiungere anche i racconti di Denton Welch.  

Peter Cameron, Un giorno questo dolore ti sarà utile (Someday this Pain will be useful to you), trad. Giuseppina Oneto, Adelphi Edizioni, Milano, 2007.


giovedì 21 luglio 2016

Le correzioni, Jonathan Franzen



Quando una decina di anni fa lessi Le correzioni di Jonathan Franzen rimasi folgorata. Ero tornata a casa dei miei per Natale e avevo le idee più confuse del solito. Stavo per lasciare un lavoro che non mi piaceva per un’altra attività dai contorni indefiniti. Avevo una relazione sentimentale molto coinvolgente ma molto poco opportuna, vivevo in una città di cui non sono mai riuscita ad innamorarmi.
Ricordo che ero nel tinello dei miei (pare si chiami così), seduta sulla lastra di granito, con la schiena rivolta al caminetto acceso. Annuivo, sottolineavo, interrompevo la lettura di tanto in tanto solo per mettere un pezzo di legna al fuoco.
Da allora, non ho più letto un romanzo di Franzen ma, quando ho proposto la lettura di Le Correzioni al gruppo della biblioteca, mi sono stupita del fatto che i partecipanti non lo conoscessero già.
“E ora se mi chiedono perché dovremmo leggerlo che rispondo?”
A distanza di tempo, dei libri letti mi restano sensazioni fumose, qualche immagine un po’ più chiara, ma avrei difficoltà nel ricostruire la trama o ricordarmi come va a finire. In questo caso, mi era rimasta la sensazione di perenne precarietà emotiva e una sola immagine: Denise, in un elegante tubino nero, che mangia una banana per non sembrare troppo affamata prima di una cena di lavoro.
Le correzioni ha venduto tantissimo. Si disse che era un capolavoro assoluto e lo pensai anch’io. Quel romanzo mi parlava, era il libro giusto al momento giusto. La rilettura, invece, è stata lenta e sofferta. Sofferta perché, sebbene i Lambert siano una famiglia del Midwest, certi meccanismi psicologici non hanno uno spazio geografico definito né un periodo storico specifico. Le aspettative dei genitori, le loro profonde delusioni, i sacri principi, le persone perbene che hanno amici perbene e allevano figli perbene possono perseguitarti in qualsiasi Stato del Globo.
Enid, la madre:
Quando intuiva che la famiglia non era l’argomento di conversazione preferito del suo interlocutore, Enid aveva l’abitudine di mettere implacabilmente il dito nella piaga. Avrebbe preferito morire piuttosto di ammettere che i suoi figli l’avevano delusa, ma sentir parlare dei figli deludenti degli altri – divorzi squallidi, abusi di stupefacenti, investimenti sbagliati – la faceva sentire meglio.

Alfred, il padre:
La sola cosa che non dimenticò mai fu come rifiutare. Tutte le correzioni di Enid erano state inutili. Era testardo come il giorno in cui l’aveva incontrato.

È stata una rilettura lenta perché in alcuni tratti Franzen mi è sembrato esageratamente prolisso (sensazione che non avevo avvertito dieci anni fa) e un po’ noioso. Troppe pagine per descrivere la depressione strisciante di Gary, il primogenito (quello che vuole più bene alla mamma), un lavoro in banca, tre figli e una moglie bellissima quanto superficiale.
Troppe pagine per descrivere lo sgomento del piccolo Chip (il secondogenito, l’intellettuale) che, ancora bambino, lotta con piatto di purè di rutabaga, fegato e cipolla fritta. Vittima innocente della Cena della Vendetta ideata da Enid, sua madre, nei confronti di Alfred.
Chip oggi: aveva trentanove anni, e incolpava i suoi genitori per l’uomo che era diventato.

Ancora una volta, le dense pagine dedicate a Denise (quella che vuole più bene al papà) hanno lasciato il segno.

Se Chip avesse voluto confessarsi con qualcuno della famiglia, la sorella minore sarebbe stata la scelta più ovvia. Essendosi ritirata dal college e avendo fatto un cattivo matrimonio, Denise se non altro aveva una certa familiarità con il buio e la delusione. Tuttavia nessuno, eccetto Enid, l’aveva mai considerata una fallita. Il college che aveva lasciato era migliore di quello in cui Chip si era laureato, il matrimonio precoce e il recente divorzio le avevano dato una maturità emotiva che Chip sapeva benissimo di non avere, e inoltre aveva il sospetto che Denise riuscisse ancora a leggere più libri di lui nonostante lavorasse ottanta ore la settimana.

Ma, sulla maturità emotiva di Denise, Chip si sbaglia di grosso.

Ora, per tornare alla domanda iniziale (“Perché dovremmo leggerlo?”), facciamo un gioco: alzi la mano chi non ha mai detto “Non commetterò gli stessi errori dei miei genitori”. Su, dai!, alzate le mani… 

Midwest
Da non mettere in valigia per quei quattro giorni che trascorrerete a casa di genitori e parenti nel periodo natalizio.

Jonathan Franzen, Le correzioni (titolo originale, The Corrections), traduzione di Silvia Pareschi, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2002.

Per chi non lo conoscesse, qui il blog di Silvia Pareschi, traduttrice italiana di Franzen.
Qui un’intervista di Franzen al New Yorker.

venerdì 15 luglio 2016

La lettrice scomparsa, Fabio Stassi



Cominciavo ad annaspare nelle vite ingarbugliate dei Lambert. Ci sarebbe stato un viaggio in treno per Bologna e il desiderio di tirare il fiato e di mettere da parte i condizionamenti derivanti dalla famiglia, il paesello, l’educazione impartita dai genitori, i “non si fa”. Basta Franzen, almeno per il weekend. 
Ho infilato nello zaino La lettrice scomparsa di Fabio Stassi e sono uscita.
Copia della Biblioteca comunale di Genzano
Mi sono invaghita del lettore Stassi un paio di anni fa. Presentava un libro altrui (neanche ricordo più chi fosse l’autore) ma no, non mi sembrava di essere ad una presentazione. Era un continuo rimando ad altri libri, altre storie, altri mondi. Un invito alla lettura come sostegno per affrontare la vita. Sarebbe stato bello, pensai, potergli telefonare quelle volte in cui avrei voluto qualcuno che mi dicesse: “Ecco, questo è il libro che fa per te in questo momento”.
Ma voi ci andreste da un biblioterapeuta? Io che ho un’attenta gestione delle mie finanze per tutto, eccezion fatta per libri e viaggi (ma va!?), quattro soldi da un biblioterapeuta probabilmente li spenderei. Fosse altro per appagare la curiosità di una diagnosi diversa da “è lo stress”, e di una prescrizione che non si chiami omeprazolo.
Immagino un biblioterapeuta come Vince Corso, apparentemente un perdente, nonostante il nome. Quarantacinquenne, insegnante di lettere in attesa che la Scuola decida se assumerlo o licenziarlo definitivamente, compilatore seriale di schede di lettura e personaggi amati, vita sentimentale a brandelli e un inutile diploma di counselor della rigenerazione esistenziale. Lo vorrei esattamente così il mio biblioterapeuta, con l’aria malinconica e uno studio in un sottotetto di via Merulana a Roma (ogni riferimento a Gadda è puramente casuale).
Vorrei che mettesse sul piatto Jacques Brel e Dalida, senza le interruzioni pubblicitarie di Spotify, e che mi consigliasse improbabili rimedi letterari che non curerebbero un tubo, ma mi farebbero dimenticare il mio malessere (qualunque sia) almeno fino alla fine del romanzo.
Gliela pagherei volentieri la parcella a Vince Corso per farmi somministrare Festa mobile e Wakefield (un racconto di Nathaniel Hawthorne) o Purgatorio (di Tomás Eloy Martínez).
Lo vorrei anche un po’ detective questo biblioterapeuta. Un detective per finta, di quelli che prendono a pretesto la scomparsa di una donna, lettrice, solo per continuare a giocare con i romanzi e per rifugiarsi ancora una volta nelle parole, quando non si intravede altro rimedio per maneggiare una vita divenuta troppo arida.
Chiudo La lettrice scomparsa e sono grata a Vince Corso per la lista delle prossime letture. Chissà se mi guariranno. La parcella, comunque, è stata modesta.  

Fabio Stassi, La lettrice scomparsa, Sellerio editore Palermo, La memoria, 2016.