lunedì 27 luglio 2020

Il tempo di Caravaggio. I capolavori della collezione di Roberto Longhi ai Musei Capitolini


L’ennesima estate afosa. La tentazione di barricarsi in casa nelle giornate libere è fortissima. Però di cose belle da fare ce n’è sempre e alla fine si decide di sfidare il caldo e visitare una delle tante mostre in programma a Roma in questo periodo. L’ho letto dappertutto ma non posso che ribadirlo: camminare nelle vie del centro, di domenica mattina, senza turisti, è surreale. Le vetrine dei negozi di Via Nazionale urlano “Saldi!”, ma le porte sono chiuse, gli autobus vuoti, la strada deserta.
Arriviamo ai Musei Capitolini poco prima dell’apertura. In Piazza del Campidoglio stanno dando l’acqua ai fiori e finendo di spazzare l’area. È una Roma insolita e bellissima: senza fretta, senza code, senza frastuono. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia: le ben note ripercussioni sull’economia, intere categorie che non lavorano da mesi, taxi fermi, attività commerciali chiuse.     
Un paio di coppie attendono l’apertura della biglietteria al fresco. Poi si eseguono le procedure di rito: misurazione della temperatura, igienizzazione, rinnovo tessere o ritiro biglietti, igienizzazione bis, controlli delle borse e si accede al Museo. Niente audioguida, ma pazienza.
Ragazzo morso da un ramarro, Caravaggio
Palazzo Caffarelli ospita la mostra Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi. Come già ho detto altre volte, io non sono un’esperta, né una studiosa d’arte; totalmente incapace di maneggiare una matita, sto scoprendo da adulta il piacere dell’arte. Amo la bellezza; m’incantano certi paesaggi; resterei a guardare bocche spalancate e occhi accigliati per ore. E la contrazione facciale, l’espressione di dolore e sorpresa del Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio meritano una sosta di diversi minuti. È il pezzo forte della mostra, ma oggi ci tornerei per guardare di nuovo, con maggiore attenzione, anche altre opere che gravitano intorno allo stile caravaggesco; tele di artisti meno noti (a me, totalmente sconosciuti fino a ieri), ma che mi hanno affascinato.

La mostra ricorda i 50 anni della scomparsa di Roberto Longhi, storico dell’arte che dedicò la sua tesi di laurea a Michelangelo Merisi.
Longhi ebbe con Roma un intenso rapporto: fu una delle figure di punta della cerchia di intellettuali che si riuniva nella terza saletta del Caffè Aragno negli anni Venti (caffè storico di Via del Corso: superò indenne bombardamenti, fascismo e dopoguerra, ma non l’incuria dei nostri tempi). Fu storico e critico d’arte, attento al contemporaneo ma che seppe vedere la modernità di Caravaggio e riportarlo in auge nei primi anni del Novecento. Infatti, per quanto oggigiorno sia assurda l’idea di un Caravaggio “da riscoprire”, l’artista fu ignorato per decenni e la sua riscoperta si deve proprio agli studi di Longhi.
All’inizio della carriera, Longhi insegnò Storia dell’arte nei licei romani, dove conobbe Lucia Lopresti (sua ex allieva al Liceo Visconti), nota con lo pseudonimo di Anna Banti, che sposò nel 1924. Della Banti, scrittrice raffinata, prima o poi dovrò leggere Artemisia, in cui viene ripercorsa la vita della pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi.

La negazione di Pietro, Valentin de Boulogne

Tra le opere della collezione Longhi, mi è piaciuta moltissimo La negazione di Pietro, di Valentin de Boulogne (il più noto dei caravaggeschi francesi, stando alle parole della curatrice della mostra) e il commovente Santo certosino in lacrime di Giacinto Brandi. Lacrime che bucano la tela, ti sembra di poterle toccare; vorresti sentirne la consistenza tra le dita e asciugarle. 
E poi, una piccola tela di Filippo Napoletano raffigurante un paesaggio notturno al chiar di luna. Un’opera quasi insignificante vista da vicino: così buia, così piccina. Meravigliosa non appena ci si allontana. Il chiarore della luna illumina l’angolo della sala in cui è esposta.  
 
Bivacco notturno al chiar di luna, Filippo di Liagno (Filippo Napoletano)
Sarà possibile visitare la mostra fino al 13 settembre. Accesso gratuito per i possessori della MIC card (la carta dei Musei civici romani, rivolta ai residenti della città metropolitana di Roma, rinnovabile annualmente). Tutte le informazioni sulla mostra e un bel video riepilogativo sono disponibili qui.
Naturalmente è vietato lasciare i Musei Capitolini senza una sosta sulla Terrazza Caffarelli, non per il caffè ma per lo splendido panorama sui tetti di Roma.




giovedì 16 luglio 2020

Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi, Fouad Laroui

Le mie scelte di lettura sono spesso irrazionali, soprattutto quando riguardano pubblicazioni recenti. Mi lascio ispirare dai blogger che seguo assiduamente, dai consigli che mi lasciate nei commenti, da persone che a diverso titolo parlano di libri. Una di queste è Simonetta Bitasi, una lettrice che stimo tantissimo per il fatto di aver trasformato una passione come la lettura in un lavoro. Non è la sola, ma a me il suo piglio piace particolarmente. Quando sono in cerca d’ispirazione, lascio scorrere davanti agli occhi la pagina del suo sito con i titoli appena letti. "Lascio scorrere" in senso letterale. Non mi soffermo a leggere le sue osservazioni; guardo titoli, copertine e seleziono un libro a scatola chiusa. Solo quando ho terminato il libro, vado a sbirciare le considerazioni della Bitasi.

Su Lettore ambulante, la Bitasi riporta in sintesi i romanzi che le sono piaciuti; sono quasi sempre opere arrivate da poco in libreria, molto eterogenee: si passa da romanzi impegnativi a letture lievi; spesso, ma non sempre, editori meno noti; di frequente, titoli che non trovano spazio nelle vetrine delle librerie.

Non tutte le mie scelte a sensazione sono vincenti. Anzi. In alcuni casi, un romanzo tanto apprezzato dalla lettrice ambulante, per me ha costituito tempo che avrei potuto impiegare meglio. Altre volte, invece, resto incantata.

Viste le premesse, questa copertina e questo titolo non potevano lasciarmi indifferente.


Fouad Laroui ha una biografia che è già un romanzo. Nato alla fine degli anni Cinquanta a Oujda (parte nordorientale del Marocco, ai confini con l’Algeria), dopo aver frequentato il liceo a Casablanca, si trasferisce in Francia, dove si laurea in ingegneria. Torna a lavorare in Marocco per poi continuare gli studi nel Regno Unito. Ottiene un dottorato in Scienze economiche ad Amsterdam e, mentre insegna materie economiche e scientifiche, inizia a dedicarsi alla scrittura e alla critica letteraria. Quando si dice essere eclettici.

Le note biografiche non sono casuali perché nella figura dell’ingegner Adam Sijilmassi, straordinario protagonista del romanzo, si trovano sprazzi di vita e forse della filosofia dello stesso Foud Laroui.


Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi (pubblicato da Del Vecchio Editore nella magnifica traduzione di Cristina Vezzaro) inizia in volo, sul mare delle Andamane. L’ingegner Sijilmassi, di ritorno dall’ennesimo viaggio di affari, all’improvviso si fa quella domandina che io, ma forse anche qualcuno di voi, tendo a ripetermi più volte al mese: Che ci faccio qui?

Non che volasse con le sue ali, come un uccello: era in realtà rincantucciato nel sedile 9A di un aereo di linea dipinto dei colori della Lufthansa. Si era appena fatto quella domanda (“Che ci faccio qui?”) e ne esaminava ora annessi e connessi.

Adam, proviene da una famiglia umile, originaria di Azemmour. È il primo della sua stirpe ad aver studiato presso un liceo francese, ad essersi laureato e ad aver iniziato una brillante carriera professionale. Vive a Casablanca ma, pur essendo di origini marocchine e parlando l’arabo, è imbevuto di cultura occidentale. Tutti i suoi riferimenti filosofici e letterari provengono dal mondo francese. La velocità e la superficialità della sua vita è quanto di più distante possa esserci dalla vita di suo padre, che non ha mai neppure posseduto un’automobile.

Lui, Adam, era il primo della stirpe a raggiungere velocità assurde – e per fare cosa, vani numi? Vendere del bitume, comprare acido solforico, pensare alla commissione dell’agente indiano. Miseria! E lo chiamano progresso – “marcia avanti, avanzata”; ma a quale velocità? Bisogna proprio che sia quella del Boeing? […]

Si vide seduto sul suo sedile, piccolo presuntuoso, in giacca e cravatta, che andava vrooooom nell’universo infinito. Era ridicolo. Mancava di dignità per essere il nipote dell’hajj Maati. Sinceramente, non aveva alcun senso.

Decise, hic et nunc, che non avrebbe mai più preso l’aereo.

Accadeva da qualche parte al di sopra delle Andamane, un lunedì, all’alba di un millennio.

E fu l’inizio della fine per l’ingegner Sijilmassi.

Il povero Sijilmassi vorrebbe solo rallentare; ha bisogno di cercare la vita vera, di capire se il suo malessere provenga da un mondo che va troppo in fretta o dal far parte di un mondo marocchino postcoloniale che vorrebbe respingere l’Occidente e la velocità. Fermarsi non è una scelta così innocua come potrebbe sembrare.

Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi è ricco di citazioni filosofiche e letterarie; è triste e divertente, fa incrociare culture, lingue e mondi diversi. Non ho letto il testo in lingua originale (e non ne sarei capace), ma la traduzione italiana di Cristina Vezzaro è raffinata ed elegante. Credo restituisca la musicalità e i tanti giochi di parole del testo francese.

Mi è piaciuto moltissimo. E… ingegner Sijilmassi, l’ho letto senza fretta.   

Mai stata in Marocco (sigh!). Questa foto di Azemmour proviene dal blog myamazighen.wordpress.com  


lunedì 13 luglio 2020

Città sommersa, Marta Barone


La mia diffidenza verso i premi letterari italiani è oggetto di facile ironia tra gli amici del gruppo di lettura. No, ma è tra i finalisti dello Strega; figurati se Barbara ce lo farà leggere! È la classica punzecchiata in prossimità della stregata serata finale.
Non è snobismo, è che tutte queste chiacchiere intorno ai premi letterari e ai giochi subdoli delle case editrici maggiori non mi appassionano. Però quest’anno volevo dare uno smacco al gruppo di lettura e avevo programmato di leggere almeno tre titoli arrivati nella dozzina dello Strega. Avevo escluso a priori Il colibrì, tanto lo sapevamo tutti che avrebbe vinto.
M’incuriosiva Città sommersa di Marta Barone (pubblicato da Bompiani); avevo letto recensioni entusiastiche ed era stato apprezzato da lettori con gusti affini ai miei. Quando il titolo è comparso tra gli audiolibri disponibili su Storytel, ho dato un senso alle pulizie di casa. La parte iniziale dell’ascolto è stata così coinvolgente da farmi scaricare l’ebook, passando dall’audiolibro al testo (sto ascoltando diversi audiolibri, ma trovo che ascolto e lettura siano due esperienze diverse). E poi… e poi, mi sono impantanata.

Città sommersa è una specie di memoir, un romanzo di difficile classificazione, in cui credo si possa dire che i temi dominanti siano la memoria e il tempo. Marta Barone, poco più che trentenne, torinese, autrice per ragazzi e consulente editoriale, perde il padre nel 2011. Leonardo Barone è stato un padre assente, sfuggente; si era separato dalla madre di Marta quando lei era ancora una bambina e il legame tra padre e figlia non è stato dei più intensi. 

Aveva quasi quarantadue anni quando ero nata. Era sempre stato inspiegabile. Non capivo bene che lavoro facesse (quando ero molto piccola aveva insegnato per un anno o due in un liceo privato, ma poi chissà), perché avesse ricominciato a studiare. Gli zampettavo dietro per i tetri corridoi dell’università, leggevo o giocavo da sola mentre teneva banco in mezzo a gruppetti di studenti ventenni, i suoi compagni di corso. Aveva già la barba imbiancata, che conservava striature color ruggine, il marchio rossiccio che porto anch'io in filigrana. Nella luce verdastra di Palazzo Nuovo mi appariva strano e triste, e fuori posto.
Dopo un paio di anni dalla morte del padre, Marta Barone si ritrova tra le mani la memoria difensiva, presentata in Cassazione, nel processo in cui Leonardo Barone è stato condannato per il reato di partecipazione a banda armata. L’autrice sapeva che suo padre era stato in carcere prima che lei nascesse, che alla fine era stato assolto con formula piena e che non era mai stato un terrorista. Nella vita precedente alla nascita di Marta, Leonardo Barone era stato medico, quindi...
«Avevo curato uno di Prima Linea ferito e quindi […] mi hanno accusato di essere di Prima Linea».
Non penso mi avesse dato altri dettagli, né io glieli avevo mai chiesti. 
Improvvisamente, quelle carte accendono la curiosità di Marta; inizia una lunga indagine dalla quale emerge una figura dalla personalità sorprendente. Un uomo così diverso da quello che credeva essere suo padre da doverlo ridenominare. Nel romanzo, l’autrice chiamerà questo nuovo personaggio con la sigla L.B.
L.B. era un uomo colto, con una laurea in medicina, una in giurisprudenza e una in psicologia; un uomo che aveva creduto fortemente nel bene comune e negli ideali del comunismo; che aveva messo da parte gli studi e la moglie per seguire le indicazioni del partito. Anzi, giovanissimo, aveva sposato la prima moglie perché obbligato dal partito. Ma, allora, non l’aveva sentito come un obbligo. Un uomo che ha vissuto più vite nel tentativo di costruirne una decente. Il tentativo di vivere a decent life, come viene detto nel romanzo da uno dei tanti compagni di gioventù di L.B. che Marta ha rintracciato per capire chi fosse suo padre.    
Tra le pagine, si trovano inevitabilmente la Torino degli anni Settanta (non a caso, la copertina raffigura Via Roma, una delle vie principali del centro storico di Torino e, sovrapposta, la foto di un giovane Leonardo Barone), l’attivismo politico, gli anni di piombo, la fabbrica, l’occupazione delle case, Servire il Popolo, Prima linea. In un’intervista, l’autrice ha dichiarato di aver tentato di romanzare la politica.
Insomma, capite che Città sommersa non può essere liquidato con quattro parole; i temi sono tanti, si sente il lavoro di ricerca storica, si apprezza l’eleganza della lingua. Forse troppo accurata.
Allora, perché mi sono impantanata nella lettura? Non saprei spiegarlo. Lo stile così ricercato, dotto, mi è sembrato finto, ha appesantito il romanzo; da un certo punto in poi, la voce della scrittrice è diventata predominante e la figura del padre è diventata secondaria. Forse l’effetto era voluto; certo è che ho perso interesse nel personaggio. L’uomo era già venuto fuori a metà romanzo; la successiva cronologia degli eventi, utile per la ricostruzione storica, ha affievolito la narrazione. Ha perso l’anima.
Ah!, già… l’ambizioso progetto di leggere almeno altri due tra i romanzi in gara, prima della proclamazione del vincitore dello Strega, è tristemente naufragato. Avevo ipotizzato di leggere Almarina e La misura del tempo. Ma ho guardato la libreria ed ho optato per una camminata in Marocco…    

Note a margine: non sono affiliata a Storytel, né a piattaforme di qualsiasi genere. Quindi, cliccando sui link, non otterrete sconti né io riceverò alcuna provvigione. Da qualche tempo, ho iniziato ad ascoltare audiolibri; mi piace l'offerta di Storytel e ho sottoscritto un abbonamento. 
Se non siete grandi fruitori di ebook, ma ogni tanto ne leggete qualcuno, potete consultare la biblioteca a voi più vicina e verificare se abbia aderito a Mlol - MediaLibrary on line. Un servizio offerto dal circuito bibliotecario della mia zona e che apprezzo moltissimo.