Mi
sveglio stanca. Impiego troppo tempo per una doccia, infilo di corsa le ultime
cose nello zaino e mi precipito in stazione senza aver preso il caffè.
Il
trenino è affollato ma arriva a Roma Termini in orario. Cambio treno, tiro
fuori il libro e la lista degli incontri prenotati. Ancora poche ore e sarò al Festivaletteratura di Mantova. Dove diamine ho lasciato il mio entusiasmo?
Mi
son portata dietro In tutto c’è stata bellezza di Manuel Vilas,
che andrò ad ascoltare sabato. Mi sa che non è stata una scelta felice. Un
senso di oppressione sin dalle prime pagine. Aspetto che arrivi la bellezza.
A
Mantova è piena estate. Cielo blu, canotte e calzoncini corti. Finalmente, dopo
diversi anni che frequento il festival, sono riuscita a prenotare un appartamento
in centro. Arrivo con il mio zaino abbastanza pesante davanti al citofono ma non
vedo traccia della targhetta Joy house. Come mi sarà venuto in mente di prenotare
e pagare una casa della gioia?
Ho
trovato l’appartamento su booking.com, l’ho prenotato mesi fa, mi è
stato addebitato l’intero importo ad agosto e, nonostante sia la seconda
fregatura che mi dà booking, questa volta non me ne capacito. L’assistenza
clienti risponde dopo una ventina di minuti; la fanciulla, che risponde dalla
Grecia, mi dice che per loro è tutto regolare, visto che la struttura presenta
non ricordo più quante recensioni, di cui una abbastanza recente. Farà dei
controlli e mi ricontatterà.
Mentre
sono davanti al portone del palazzo, irritata ma ancora lucida, arriva un santo dagli occhi
verdi. Mi chiede se ho bisogno d’aiuto; mi fa entrare nel suo appartamento
senza neppure esserci presentati; mi offre acqua fresca, un tablet e una decina
di cose che rifiuto. Si chiama Alex e inizia a telefonare ai suoi conoscenti
per cercarmi una soluzione alternativa. Ma a Mantova, a festival iniziato, come
puoi pensare di trovare un letto libero? Lo so io, lo sa Alex, ma non lo sanno
quelli di booking che continuano a fornirmi un’assistenza penosa e a
prender tempo.
Dall’hotel
si può raggiungere il centro città utilizzando una ciclabile nel parco del
Mincio, parallela alla linea ferroviaria. Il sole è già tramontato, il
paesaggio è bellissimo e le lepri che mi attraversano la strada riescono a
farmi tornare l’allegria. Magari ce la faccio ad ascoltare almeno Pilar del Rio, moglie di Josè Saramago, che conversa con Silvio Perrella. Ce la
faccio; nell'attesa, inizio a chiacchierare con Marina e Ornella, appena conosciute, e con cui
condividerò tanti bei momenti di quest’edizione del festival.
Pilar
del Rio è una bella donna, dolce ed energica al tempo stesso; rievoca la sua precedente
esperienza a Mantova, nel 1998, accanto all’uomo che, dopo qualche giorno,
avrebbe ricevuto la notizia dell’assegnazione del Nobel. Pilar racconta un’epoca
che sembra lontanissima e chiude l’incontro menzionando quella che Saramago definiva
l’etica della responsabilità: Valiamo molto
di più di quanto crediamo; possiamo molto di più di quanto immaginiamo.
Possiamo
molto di più di quanto immaginiamo.
Il
mio programma del venerdì è fittofitto, come la pioggia che cade giù senza
risparmiarsi. Sono solo le 9 del mattino e già sono strizzabile.
Però,
di fronte a Burhan Sönmez, scrittore turco di etnia curda, vittima di
torture in Turchia, e che oggi, 6 settembre 2019, si dichiara stupidamente
ottimista, non me la sento proprio di lamentarmi per il diluvio universale.
A ben pensarci, ho fatto una curiosa selezione degli eventi, molti dei quali incentrati sulla memoria. Sönmez, nel suo Labirinto, parte dal presupposto che, forse, perdere la memoria può essere un dono. Se perdi la memoria a 28 anni, puoi decidere di rinascere in questo momento, cancellando il passato. Abbiamo quindi, una possibilità di rinascere nella vita.
A ben pensarci, ho fatto una curiosa selezione degli eventi, molti dei quali incentrati sulla memoria. Sönmez, nel suo Labirinto, parte dal presupposto che, forse, perdere la memoria può essere un dono. Se perdi la memoria a 28 anni, puoi decidere di rinascere in questo momento, cancellando il passato. Abbiamo quindi, una possibilità di rinascere nella vita.
Anche Abraham Yehoshua elogia l’oblio: Ricordare troppo diventa pericoloso. Non ricordare alcune cose permette di vivere meglio. Simbolicamente, scelgo la demenza come messaggio per noi ebrei e per i palestinesi: noi dobbiamo iniziare a dimenticare il passato per costruire un solo Stato unitario. Negli anni ho cambiato idea sulla soluzione per la Terra Santa. Un solo Stato non sarà la via per la pace perfetta ma è l’esistenza più normale che riesco ad immaginare.
Invece
c’è chi, come Manuel Vilas, punta tutto sul ricordo e sulla memoria: La
vita è completa solo quando si ricorda, quando si mettono insieme i pezzi. Ti
riconcili con la tua famiglia, con la vita dei tuoi genitori, nel ricordo. E in
questo ricordo c’è bellezza.
Oppure
chi, come Narine Abgarjan, attraverso il ricordo, riesce a portare il profumo
del pane appena sfornato dal villaggio armeno di Maran alla Basilica Palatina
di Santa Barbara.
Ci
sono troppe cose che non si possono dimenticare.
Non
si può dimenticare Srebrenica, come ci ricordano Elvira Mujčić e Slavenka Drakulic.
Non si può dimenticare Piazza Fontana, di cui non si può parlare perché non si sa niente, ma si sa già tutto (la conversazione tra Benedetta Tobagi e Carlo Lucarelli che nominano gli innominabili scatenando tuoni, fulmini e tempesta in Piazza Castello è stato l’incontro più scenografico al quale abbia partecipato. La Tobagi è di una bravura strabiliante).
Non si può dimenticare Piazza Fontana, di cui non si può parlare perché non si sa niente, ma si sa già tutto (la conversazione tra Benedetta Tobagi e Carlo Lucarelli che nominano gli innominabili scatenando tuoni, fulmini e tempesta in Piazza Castello è stato l’incontro più scenografico al quale abbia partecipato. La Tobagi è di una bravura strabiliante).
Non
si può dimenticare che la lingua non è mai innocua, come sottolinea Valeria Luiselli in una brillante conversazione con Michela Murgia. Il
linguaggio diventa sempre più violento; si tende ad enfatizzare e ingigantire la
realtà, si scelgono parole volte a disumanizzare l’altro. Noi, scrittori e
lettori, cosa possiamo fare per arginare l’uso distorto delle parole? Essere
custodi attivi del linguaggio; protestare ogni volta che le parole vengono
utilizzate in modo inappropriato, vigilare affinché si torni ad usare la lingua
correttamente.
Della
struggente bellezza degli addii interpretati dalla polistrumentista albanese Elina Duni, in quel gioiello che è il teatro Bibiena, posso dir poco. Perché la
musica va ascoltata. Non è la stessa cosa, ma qui potete farvi un’idea della
voce della Duni.
Mantova
è il mio festival del cuore; c’è una strana magia che si ripete ogni anno; un
senso di comunità, un istintivo desiderio di condivisione con persone sconosciute
fino al giorno prima. Più che in altre edizioni, nel 2019 il festival mi ha fatto
incontrare persone speciali, forse per compensare i disagi subiti. Non a caso, quando
domenica mattina sono salita sull’autobus sostitutivo (eh già!, lavori in corso
sulla linea ferroviaria…), prima tappa verso casa, mi è tornato in mente il
volto sereno della scrittrice armena Narine Abgarjan mentre affermava che qualsiasi
cosa ti accada nella vita, ci sarà sempre qualcuno al tuo fianco pronto a darti
una mano.
Note
a margine. Mi sono dilungata sull’odissea di booking perché so che siamo
in tanti ad utilizzarlo, perché prenotare in anticipo senza dover pagare subito
è comodo, perché leggere le opinioni altrui ha i suoi vantaggi. Grazie a booking
ho trovato velocemente soluzioni eccellenti ed economiche, ma anche qualche
topaia. E un paio di fregature. Forse, fino ad oggi, mi son fidata troppo e forse
è il caso che inizi a fare altre considerazioni per i miei viaggi futuri.