lunedì 12 maggio 2014

Miele, Ian McEwan

Miele, Ian McEwan
traduzione di Maurizia Balmelli, Einaudi


Espiazione mi aveva folgorato.
Ricordo poi di aver letto Chesil beach e di aver pensato nientedichè. Oggi, di quest’ultimo, non ricordo nulla. Lo svantaggio dei libri presi in prestito: non puoi cercarli nella tua caotica libreria, leggerne uno stralcio, riuscire a  ricostruirne la trama, le impressioni, sapere quando e perché avessi incominciato a leggerlo. Forse mi succederà la stessa cosa con Miele.  Ne avevo letto un pezzetto su qualche blog e avevo deciso che lo volevo. L’ho adocchiato  nella libreria dell’amico-mancato-libraio-ma-magari-un-giorno-o-l’altro… e me lo son portato a casa insieme ad un altro paio di titoli.
Lettura inizialmente faticosa. Una mezza spy story, una cosa che non si capiva se fosse un thriller, un libro che parla di libri, una storia d’amore. Poi mi son lasciata prendere e da metà libro in poi, pur sospettando come sarebbe andata a finire, ho divorato le pagine. La critica non l’ha apprezzato granché. Io, forse, l’ho letto con occhi poco critici: è stato divertente calarmi nel mondo dei servizi segreti inglesi degli anni 70 (di cui non sapevo assolutamente nulla), ho frugato tra i pensieri di uno scrittore emergente (Thomas Haley, uno dei protagonisti del romanzo) e tra le fonti di ispirazione di un presunto romanziere in erba. 




Ho riflettuto sulla scelta dell’io narrante: fino alla fine del romanzo ho pensato che McEwan facesse raccontare la storia, in prima persona, da Serena Frome (ma non è esattamente così…); e di tanto in tanto ho pensato che forse una donna non si sarebbe comportata in quel modo e che McEwan stesse enfatizzando troppo il senso di rabbia, di vendetta, di tradimento… Come fa uno scrittore maschio ad essere così sicuro di quali siano le reazioni di una donna che si sente tradita, umiliata da un uomo? McEwan non è così presuntuoso da sapere tutto; l’arcano viene svelato nel finale del libro che, seppur melenso (tropperrimo), mi ha riconciliato con il McEwan di Espiazione.

Miele non è una lettura imprescindibile, però è una buona distrazione dalla quotidianità. 


giovedì 8 maggio 2014

Equatore, Miguel Sousa Tavares

Equatore, Miguel Sousa Tavares 
Traduzione dal portoghese di Clelia Bettini, Beat edizioni







Luis Bernardo, caro,
tu sai che se non fosse stato per la Nela San non ci saremmo mai incrociati, vero?
Nonostante l’attrazione per il mondo lusofono, nonostante la fascinazione per quelle terre d’Africa che a volte ritorna… Nonostante tutto ciò, il nostro è stato un incontro combinato; una di quelle situazioni imbarazzanti in cui mi faceva cadere qualcuno dei miei amici quando ero ancora una zitella spensierata: “Ah, forse stasera viene anche Tizio. Un ragazzo simpatico; vedrai, vi troverete bene insieme”. La Nela San ha parlato a lungo di Portogallo e da língua portuguesa, poi mi ha trascinato in libreria e mi ha piazzato questa storia tra le mani. “Secondo me potrebbe piacerti”.  Come avrei potuto voltar le spalle e guardare altrove?
Scetticismo iniziale. La prima volta che ti ho ascoltato mi sei sembrato persino antipatico. Sì, insomma, il tipico radical chic lisbonese d’inizio Novecento. È facile fare il progressista dalle idee liberali quando provieni da una famiglia borghese, hai ereditato una discreta attività commerciale senza dover muovere un dito, ti sei diligentemente laureato in giurisprudenza, frequenti i club più in voga di Lisboa e scribacchi le tue opinioni sui quotidiani portoghesi. Come se non bastasse, seduci donne a destra e manca, preferibilmente maritate; sei giovane, elegante, sexy… e sai di esserlo. Un uomo da cui tenersi ben alla larga. 
Però ti facevo più furbo. Ma dimmi, quando sei partito alla volta di São Tomé, novello governatore per caso, pensavi davvero che la schiavitù fosse morta e sepolta nell’Ottocento? Dico, come potevano quattro proprietari bianchi trasformare due sputi di isolette perse sulla linea equatoriale nel secondo produttore di cacao nel mondo? 


Non verrai mica a raccontarmi che, prima di accettare l’incarico di governatore laggiù, pensassi davvero che nelle piantagioni di Säo Tomé e Príncipe avresti trovato lavoratori angolani trattati in modo umano dai padroni bianchi; lavoratori abbondantemente nutriti, ben salariati e liberi di dare le dimissioni in qualsiasi momento? Suvvia!...Il re Carlo di Portogallo (anzi, il suo consigliere), ti ha creduto l’uomo giusto al momento giusto; colto, energico, lontano dalla vecchia aristocrazia; ma chiedeva che tu realizzassi un’impresa impossibile: mantenere inalterati i privilegi dei coloni bianchi in terra nera, fingere di non vedere le disumane condizioni di lavoro nelle piantagioni e inventarsi, non so bene cosa, per nasconderle al mondo intero, pubblicizzando invece le magnifiche sorti e progressive realizzate dal Portogallo nelle proprie colonie.
Ho cominciato a provare simpatia per te solo dopo il tuo arrivo a São Tomé. Un po’ presuntuoso ma dal volto umano. Ci credevi davvero alla storia dell’uguaglianza tra bianchi e negri, ci credevi davvero ai diritti dei lavoratori e alla necessità di difendere i deboli. Peccato ti sia fatto irretire da quella puttanella inglese, come disse la saggia Maria Augusta!
Ann mi è stata antipatica dal primo momento. Un’antipatia a pelle. No, non parlo per gelosia: quando incontro una donna veramente bella, un corpo statuario, elegante, un volto perfetto, lo riconosco. Bella era bella, ma qualche dubbio sulla sua onestà, sulla sua trasparenza, ti sarebbe dovuto sorgere. “Ho promesso di restare al fianco di mio marito”; sì, vabbè, ma poi faccio quello che voglio e lui ne è consapevole. Tu, Luis Bernardo, non sei nato nella Roma di fine Novecento, altrimenti l’avresti liquidata con un “Ti piace vincere facile!”
Comunque sia, hai preferito lei a noi tutte. E noi abbiamo continuato a seguirti con apprensione. Confesso che ho letto la tua ultima lettera con il magone. Mi aspettavano in pista per l’allenamento infrasettimanale ed io lì che non riuscivo a staccarmi dalle tue parole.
Mi hai raccontato un mondo che non conoscevo, hai cambiato la mia opinione sul colonialismo portoghese (ingenuamente ho sempre pensato fosse stato più blando rispetto alle nefandezze delle altre potenze) e mi è venuta una certa curiosità sul mondo sommerso del cacao (casualmente, ho già in libreria “Cacao” di Jorge Amado, che a questo punto dovrò leggere).
Mi hai guardato distrattamente, perso come eri per la tua Ann. Non preoccuparti, non me la son presa. Non sei stato il mio grande amore, non sei stato la mia occasione mancata. Però ti ho voluto un po’ di bene.
Ciao Luis.