mercoledì 11 settembre 2019

Festivaletteratura 2019. E qualche imprevisto


Mi sveglio stanca. Impiego troppo tempo per una doccia, infilo di corsa le ultime cose nello zaino e mi precipito in stazione senza aver preso il caffè.
Il trenino è affollato ma arriva a Roma Termini in orario. Cambio treno, tiro fuori il libro e la lista degli incontri prenotati. Ancora poche ore e sarò al Festivaletteratura di Mantova. Dove diamine ho lasciato il mio entusiasmo?
Mi son portata dietro In tutto c’è stata bellezza di Manuel Vilas, che andrò ad ascoltare sabato. Mi sa che non è stata una scelta felice. Un senso di oppressione sin dalle prime pagine. Aspetto che arrivi la bellezza.
A Mantova è piena estate. Cielo blu, canotte e calzoncini corti. Finalmente, dopo diversi anni che frequento il festival, sono riuscita a prenotare un appartamento in centro. Arrivo con il mio zaino abbastanza pesante davanti al citofono ma non vedo traccia della targhetta Joy house. Come mi sarà venuto in mente di prenotare e pagare una casa della gioia?
Ho trovato l’appartamento su booking.com, l’ho prenotato mesi fa, mi è stato addebitato l’intero importo ad agosto e, nonostante sia la seconda fregatura che mi dà booking, questa volta non me ne capacito. L’assistenza clienti risponde dopo una ventina di minuti; la fanciulla, che risponde dalla Grecia, mi dice che per loro è tutto regolare, visto che la struttura presenta non ricordo più quante recensioni, di cui una abbastanza recente. Farà dei controlli e mi ricontatterà.
Mentre sono davanti al portone del palazzo, irritata ma ancora lucida, arriva un santo dagli occhi verdi. Mi chiede se ho bisogno d’aiuto; mi fa entrare nel suo appartamento senza neppure esserci presentati; mi offre acqua fresca, un tablet e una decina di cose che rifiuto. Si chiama Alex e inizia a telefonare ai suoi conoscenti per cercarmi una soluzione alternativa. Ma a Mantova, a festival iniziato, come puoi pensare di trovare un letto libero? Lo so io, lo sa Alex, ma non lo sanno quelli di booking che continuano a fornirmi un’assistenza penosa e a prender tempo.
Quando sembra che la cosa sia risolta e dovrebbe solo arrivarmi una mail, libero l’appartamento di sant’Alex e mi fermo in un bar. Ma no, booking non mi ricontatta, la mail non arriva, io mi attacco di nuovo al telefono in preda ad una crisi isterica. La signora del bar, discretamente, mi chiede se può essere d’aiuto. Mobilita tutti gli affittacamere e le agenzie che conosce. Nulla. Dopo aver parlato con operatori del Regno Unito, Grecia, Olanda, dall’assistenza clienti di Milano di booking arriva una soluzione valida. Un po’ distante dal centro (e a Mantova gli autobus smettono di circolare alle 20.00), molto più caro di quello già pagato (e non è un dettaglio, perché in queste circostanze, sei tu, che hai già pagato una volta, a dover pagare di nuovo. Il rimborso potrai richiederlo solo a soggiorno concluso), ma non vedo alternative. Intanto il pomeriggio se n’è andato, così come Margaret Atwood, Gabriele Romagnoli e un altro paio di incontri che avevo prenotato.        


Dall’hotel si può raggiungere il centro città utilizzando una ciclabile nel parco del Mincio, parallela alla linea ferroviaria. Il sole è già tramontato, il paesaggio è bellissimo e le lepri che mi attraversano la strada riescono a farmi tornare l’allegria. Magari ce la faccio ad ascoltare almeno Pilar del Rio, moglie di Josè Saramago, che conversa con Silvio Perrella. Ce la faccio; nell'attesa, inizio a chiacchierare con Marina e Ornella, appena conosciute, e con cui condividerò tanti bei momenti di quest’edizione del festival.


Pilar del Rio è una bella donna, dolce ed energica al tempo stesso; rievoca la sua precedente esperienza a Mantova, nel 1998, accanto all’uomo che, dopo qualche giorno, avrebbe ricevuto la notizia dell’assegnazione del Nobel. Pilar racconta un’epoca che sembra lontanissima e chiude l’incontro menzionando quella che Saramago definiva l’etica della responsabilità: Valiamo molto di più di quanto crediamo; possiamo molto di più di quanto immaginiamo.  
Possiamo molto di più di quanto immaginiamo.
Il mio programma del venerdì è fittofitto, come la pioggia che cade giù senza risparmiarsi. Sono solo le 9 del mattino e già sono strizzabile.
Però, di fronte a Burhan Sönmez, scrittore turco di etnia curda, vittima di torture in Turchia, e che oggi, 6 settembre 2019, si dichiara stupidamente ottimista, non me la sento proprio di lamentarmi per il diluvio universale. 
A ben pensarci, ho fatto una curiosa selezione degli eventi, molti dei quali incentrati sulla memoria. Sönmez, nel suo Labirinto, parte dal presupposto che, forse, perdere la memoria può essere un dono. Se perdi la memoria a 28 anni, puoi decidere di rinascere in questo momento, cancellando il passato. Abbiamo quindi, una possibilità di rinascere nella vita.


Anche Abraham Yehoshua elogia l’oblio: Ricordare troppo diventa pericoloso. Non ricordare alcune cose permette di vivere meglio. Simbolicamente, scelgo la demenza come messaggio per noi ebrei e per i palestinesi: noi dobbiamo iniziare a dimenticare il passato per costruire un solo Stato unitario. Negli anni ho cambiato idea sulla soluzione per la Terra Santa. Un solo Stato non sarà la via per la pace perfetta ma è l’esistenza più normale che riesco ad immaginare.     
Invece c’è chi, come Manuel Vilas, punta tutto sul ricordo e sulla memoria: La vita è completa solo quando si ricorda, quando si mettono insieme i pezzi. Ti riconcili con la tua famiglia, con la vita dei tuoi genitori, nel ricordo. E in questo ricordo c’è bellezza.   
Oppure chi, come Narine Abgarjan, attraverso il ricordo, riesce a portare il profumo del pane appena sfornato dal villaggio armeno di Maran alla Basilica Palatina di Santa Barbara.
Ci sono troppe cose che non si possono dimenticare.
Non si può dimenticare Srebrenica, come ci ricordano Elvira Mujčić e Slavenka Drakulic.
Non si può dimenticare Piazza Fontana, di cui non si può parlare perché non si sa niente, ma si sa già tutto (la conversazione tra Benedetta Tobagi e Carlo Lucarelli che nominano gli innominabili scatenando tuoni, fulmini e tempesta in Piazza Castello è stato l’incontro più scenografico al quale abbia partecipato. La Tobagi è di una bravura strabiliante).
Non si può dimenticare che la lingua non è mai innocua, come sottolinea Valeria Luiselli in una brillante conversazione con Michela Murgia. Il linguaggio diventa sempre più violento; si tende ad enfatizzare e ingigantire la realtà, si scelgono parole volte a disumanizzare l’altro. Noi, scrittori e lettori, cosa possiamo fare per arginare l’uso distorto delle parole? Essere custodi attivi del linguaggio; protestare ogni volta che le parole vengono utilizzate in modo inappropriato, vigilare affinché si torni ad usare la lingua correttamente.

Della struggente bellezza degli addii interpretati dalla polistrumentista albanese Elina Duni, in quel gioiello che è il teatro Bibiena, posso dir poco. Perché la musica va ascoltata. Non è la stessa cosa, ma qui potete farvi un’idea della voce della Duni.
  
Elina Duni al Teatro Bibiena
Mantova è il mio festival del cuore; c’è una strana magia che si ripete ogni anno; un senso di comunità, un istintivo desiderio di condivisione con persone sconosciute fino al giorno prima. Più che in altre edizioni, nel 2019 il festival mi ha fatto incontrare persone speciali, forse per compensare i disagi subiti. Non a caso, quando domenica mattina sono salita sull’autobus sostitutivo (eh già!, lavori in corso sulla linea ferroviaria…), prima tappa verso casa, mi è tornato in mente il volto sereno della scrittrice armena Narine Abgarjan mentre affermava che qualsiasi cosa ti accada nella vita, ci sarà sempre qualcuno al tuo fianco pronto a darti una mano.
Teatro Bibiena

Note a margine. Mi sono dilungata sull’odissea di booking perché so che siamo in tanti ad utilizzarlo, perché prenotare in anticipo senza dover pagare subito è comodo, perché leggere le opinioni altrui ha i suoi vantaggi. Grazie a booking ho trovato velocemente soluzioni eccellenti ed economiche, ma anche qualche topaia. E un paio di fregature. Forse, fino ad oggi, mi son fidata troppo e forse è il caso che inizi a fare altre considerazioni per i miei viaggi futuri.

domenica 8 settembre 2019

A piedi tra i laghi del Salisburghese - Hallstatt la magica



Arriviamo alla stazione di Hallstatt con il diluvio universale e saliamo sul traghetto che dalla stazione conduce alla cittadina, attraversando l’omonimo lago. Sul traghetto siamo gli unici due europei; tutt'intorno è pieno di cinesi, coreani e giapponesi. 
Sono tantissimi. Sarà il solito viaggio organizzato, fa il coniuge con noncuranza. Hallstatt è strepitosa anche sotto la pioggia battente. Scendiamo dal traghetto e continuiamo a vedere cinesi ovunque.
757 abitanti, un costone a ridosso del lago, cittadina nota per le ricche miniere di sale e così suggestiva da essere stata inserita nella lista dei Patrimoni dell’umanità dell’Unesco. Ma perché tutti ‘sti cinesi?
I cartelli affissi dappertutto evidenziano che mi sta sfuggendo qualcosa.



Il villaggio da cartolina per eccellenza, come viene definito in un articolo del Corriere della sera dello scorso anno, è piaciuto così tanto a qualche cinese da decidere di costruirne una fotocopia nella periferia di Luoyang, sulle rive di un lago artificiale. I cinesi hanno spiato, misurato, fotografato, dalle abitazioni al cimitero di Hallstatt, e poi l’hanno riprodotto a casa propria, inaugurando l’Hallstatt cinese nel 2012. Gli austriaci inizialmente sembrano non aver apprezzato ma, considerando il numero di turisti asiatici, la violazione della privacy è stata ricompensata da un cospicuo vantaggio economico.

Hallstatt è meta di turismo mordi e fuggi. La maggior parte dei visitatori arriva in autobus o in treno in tarda mattinata, invade le vie del centro e sparisce nel pomeriggio. Qualcuno arriva via lago, andata e ritorno in giornata.
La sera, cessata la pioggia, la cittadina è silenziosa e semideserta. Gli alberi rampicanti che decorano le facciate delle case, le luci soffuse che si riflettono sul lago e un cielo dal colore indefinito che ti fa dire forse la felicità è questa.



All’alba, con il dissolversi della foschia, è meglio scappare dalla folla, arrampicandosi tra i sentieri che sovrastano il borgo. Tanto i turisti opteranno per la funicolare e si limiteranno a visitare le miniere con il trenino minerario e a leggiucchiare qualche informazione sulla cosiddetta Civiltà di Hallstatt. Il coniuge, invece, ha adocchiato un paio di percorsi e, camminando camminando, riscendiamo qui



La mattina in cui ripartiamo da Hallstatt, incrociamo due coppie di cinesi in abito nuziale. Luogo ideale per un book fotografico. Forse le spose dovrebbero metter via il broncio e l’espressione malinconica, o forse usa così.



È prevista una lunga camminata tra torrenti e ponti di legno da attraversare. Passiamo dai girasoli ai ciclamini, dalle piante di susine ancora acerbe, che non mi stanco di assaggiare (Se ti vedono, ben che vada ti tagliano una mano! Ma no, coniuge, che vuoi che sia. Non sono neppure mature), ai campi coltivati nel mezzo del nulla. Seguiamo improbabili indicazioni in un inglese ancora più improbabile. Ci perdiamo almeno un paio di volte e torniamo sui nostri passi alla ricerca dell’incrocio non segnalato. E giù a ridere e dire sciocchezze, come non facevamo da tempo. Ah, ma il prossimo anno compro il gps, basta con questa storia che senza connessione e con un pezzo di carta è più divertente!
Ma lo è stato, sono stati i giorni della spensieratezza; abbiamo riso tantissimo, spesso per delle banalità; non eravamo in alta quota, non dovevamo preoccuparci delle previsioni meteo e dei percorsi corretti. Non era fondamentale calcolare i tempi. Qualche volta abbiamo improvvisato; a volte c’è andata bene, altre siam dovuti tornare indietro. Ma è stato uno spasso.


Nel mezzo del nulla - Foto del coniuge

Siamo entrati in tutti i cimiteri incontrati lungo la via. Il coniuge scuote la testa, povero, se n’è fatto una ragione. Vorrei essere sepolta ad Hallstatt; nella parte alta del paese, affacciata sul lago. Spazi infiniti. Quando si dice l’eterno riposo.


Hallstatt
Abbiamo visto laghi dalle acque cristalline, neanche fossimo in alta montagna, e laghetti pubblicizzati come paradisiaci ma rivelatisi deludenti. Siamo riusciti nel faticoso intento di mangiare un apflestrudel al giorno. Il migliore è stato quello dell’ultima sera, quando abbiam fatto ritorno a St.Wolfgang per una notte. Saranno stati i chilometri percorsi o quella malinconia che ti prende quando tutto sembra esser stato perfetto, anche se, in fondo, hai solo camminato, guardato, annusato, pensato. Sorriso. Molto.




mercoledì 4 settembre 2019

A piedi tra i laghi del Salisburghese - Bad Ischl e il tempo che fu



Lasciamo le rive del Wolfgangsee per dirigerci verso Strobl e, da lì, prendere un autobus per Bad Ischl. Il cielo è grigio, il profumo del sottobosco è reso più intenso dalla pioggia caduta durante la notte.
Il coniuge non riesce a transigere sulle coperture d’amianto che riparano la legna già pronta per l’inverno. Io favoleggio su Bad Ischl. Avrà conservato l’atmosfera che ammaliò Sissi e che tanto piaceva a Francesco Giuseppe? Terme e verde. 
Luogo magico o la decadenza di una Montecatini austriaca?
La seconda.
Bad Ischl - Foto del coniuge

La città ancora oggi vorrebbe far rivivere i bei tempi della Kaiservilla, quelli in cui l’imperatore si dilettava nelle lunghe battute di caccia mentre l’imperatrice sudava per conservare la famigerata forma fisica. È qui che Francesco Giuseppe, nel luglio del 1914, siglò la dichiarazione di guerra alla Serbia, che avrebbe portato allo scoppio della Prima guerra mondiale. Nello studio dell’imperatore è rimasto tutto immutato (ovviamente, i documenti esposti sono copie) e la visita alla villa merita. Anche se…
Anche se, va detto, è organizzata malino. Si paga per una visita guidata (non è possibile visitarla individualmente) e, come da indicazione, si attende l’orario del proprio turno; peccato che a godere della guida sia solo chi parla tedesco. A tutti gli altri, invece, viene messo un foglietto in mano con scarne indicazioni nelle rispettive lingue di provenienza e via.       

Francesco Giuseppe donò la villa alla figlia, Maria Valeria, innamorata del luogo, che vi trascorse gran parte della vita. Attualmente la villa è di proprietà dell’arciduca Marco d’Asburgo Lorena (nipote di Maria Valeria) che ne ha deciso l’apertura al pubblico.

Bookcrossing imperiale

Sebbene Bad Ischl sia il centro più grande tra quelli toccati finora e, apparentemente, il più noto, manca la vivacità e l’allegria dei borghi in cui abbiamo pernottato. A due passi dallo storico Cafè Zauner (il caffè è pessimo ma le torte e il cioccolato sono strepitosi), c’è una piccola libreria. Vado a curiosare. Quali sono gli italiani contemporanei presenti tra gli scaffali?
Molto Camilleri (di cui in un manifestino si ricorda la recente scomparsa), Carofiglio, l’immancabile Elena Ferrante e Domenico Dara (??).



È un luogo malinconico Bad Ischl; prova a mantenere la compostezza e l’incedere regale di un tempo ma non inganna nessuno.


Partiamo da Bad Ischl con un cielo buio e nebbioso, neanche fosse autunno inoltrato. Visibilità pari a zero; scartiamo l’opzione percorso lungo ma panoramico. Neppure oggi correremo il rischio insolazione.
Optiamo per un sentiero piatto che in poche ore ci condurrà a Bad Goisern. Arriviamo bagnati e infreddoliti. Solo un apfelstrudel potrà salvarci. E l’apfelstrudel del Cafè bäckerei Maislinger rischia di vincere il contest (per dirla come se avessi 18 anni) 2019. Un viaggetto con il coniuge senza una competizione gastronomica che viaggetto è? Visto il contesto, abbiamo deciso di sacrificarci mangiando un apfelstrudel al dì in luoghi diversi. Liscio, senza panna, gelato o intingoli vari. Siamo giudici severi: fino ad oggi nessun dolce ha superato il 7, ma quello di Bad Goisern l’ha ottenuto in pieno.
Rinfrancati da tanta bontà, prendiamo il treno alla volta di Hallstatt.

martedì 3 settembre 2019

A piedi tra i laghi del Salisburghese - St. Wolfgang, St. Gilgen e l'acqua azzurra del Wolfgangsee



Sostiene il coniuge che sia diventata lagodipendente. Il coniuge esagera, anche se tocca ammettere che, dall’ultimo trasloco, tra allenamenti, passeggiate, pause di riflessione e vacanze, finisco per prediligere sempre le rive di un lago.
Per dirla tutta, l’idea di camminare tra le miniere di sale e i laghi del Salzkammergut è stata del coniuge. Le minacce della scorsa estate (Basta con le vacanze insieme! Dal prossimo anno ognuno parte per conto proprio), l’hanno indotto a valutare l’opzione hiking e a mettere da parte le ciclabili. Ma forse la scelta dei laghetti del salisburghese, circondati da straordinari percorsi ciclabili, è stato solo un modo subdolo per strapparmi un Sento un po’ la mancanza della bici. Sai quanti altri borghi avremmo potuto visitare pedalando? Quel furbastro del coniuge, senza troppi sforzi, è riuscito a farmi dire ciò che, fino a qualche anno fa, da camminatrice indefessa, mai avrei immaginato di poter pronunciare.       
L’idea era quella di coniugare camminate nel verde, non troppo impegnative, con la visita di zone affascinanti ma non affollate (obiettivo arduo se si parte nella settimana di Ferragosto). E questo viaggetto sembrava perfetto.
Inizio in salita: Italo si ferma dopo 10 minuti dalla partenza per un guasto sulla linea. Le infrastrutture non sono il punto forte del nostro Paese. Perdiamo la coincidenza per Innsbruck e buona parte del pomeriggio. Ma leggiamo parecchio.
Innsbruck - foto del coniuge
Il tratto Verona – Innsbruck è splendido anche in treno; tanto verde da dimenticare i ritardi e l’afa romana. Arrivati in Tirolo, il coniuge estrae con un sorriso la felpetta dallo zaino. Talvolta basta un venticello per sentirti felice.
Gli imprevisti casalinghi e le grane lavorative sono già lontanissimi.



Sankt Wolfgang è una cittadina calda e allegra sulle rive del lago Wolfgangsee, in Alta Austria. C’è un’atmosfera rilassata; i caffè sono affollati ma non rumorosi; gli austriaci si godono il cielo azzurro, la temperatura piacevole e una birra. Noi girelliamo tra le viuzze che si affacciano sul lago; sbirciamo nei capanni sull’acqua, uno vicino all’altro, una sorta di palafitte piuttosto animate in questo sabato d’agosto. Qualcuno sta organizzando una festicciola, qualcun altro è sdraiato con un libro in mano, i più utilizzano gli spazi esterni di queste casupole sull’acqua come trampolino e approdo dopo una nuotata.          


Il traghetto fa la spola tra i vari borghi che si affacciano sul Wolfgangsee, caricando e scaricando turisti. La maggior parte di loro si ferma un paio di ore, acquista un souvenir e riparte. All’improvviso iniziamo a sentire il suono di una cornamusa. E non te l’aspetti qui, tra i vicoli di un paesello sulle rive di un lago del salisburghese. 

La musica proviene dalla piazzetta antistante la Pffarkirche, la chiesa del Pellegrino. In un altro momento, ci entreresti per ammirare l’altare di Michael Pacher, o resteresti lì fuori a guardar il lago, o ti ci fermeresti per riempire la borraccia, approfittando della fontana all’esterno della chiesa. Oggi no.
Guardi stupita l’uomo in kilt che suona da un pezzo, aspettando che gli sposi e il nutrito gruppo d’invitati, elegantemente abbigliati, escano dalla cappella per poi dirigersi tutti insieme, a suon di musica, sul molo. 
Cappellini e velette, tacchi alti, accento scozzese, salgono sull’imbarcazione che li porterà a festeggiare le nozze in qualche altro borgo sul Wolfgangsee. La cornamusa è lontana e a Sankt Wolfgang è tornata la pace.

St. Wolfgang deve il nome all’omonimo santo, monaco cristiano e vescovo tedesco del X secolo. Narra la leggenda che nel periodo del suo eremitaggio, il monaco visse nell’area di St. Wolfgang, intorno all’anno 980, esattamente lungo il sentiero che collega Sankt Wolfgang a Sankt Gilgen. Un bel percorso che sa di ciclamini. Non sentivo un profumo così intenso dai tempi in cui vagavo per i boschi del mio paesello in cerca di gnomi e folletti.
Strada facendo si arriva al piccolo eremo dove, pare, vivesse il santo. Obbligatorio visitare la chiesetta, esprimere un desiderio e suonare la campanella tre volte (per sicurezza facciamo quattro), sperando si realizzi presto.
I punti panoramici che affacciano sul lago sono straordinari. E poi c’è un tale silenzio! Quiete e camminatori silenziosi anche dopo aver lasciato il sentiero dei pellegrini; scendiamo verso il lago avvicinandoci alla baia di Fürberg. Acqua limpida, clima mite, tanto verde; le panchine lungo il percorso ricordano i numerosi artisti che scelsero St. Gilgen e il Wolfgangsee come luogo di ritiro in cui scrivere e comporre. Se potessi, mi ci ritirerei anch’io.
L’atmosfera diventa più vivace quando raggiungiamo il molo di St. Gilgen, il paradiso degli sport acquatici. Canoa, windsurf, sci nautico, barca a vela… non sembra neppure di essere sulle rive di un lago. Qui nacque la mamma di Mozart e la cittadina sfrutta, a distanza di anni, il celebre compositore. Ma Amadeus snobbava Salisburgo, figuriamoci St. Gilgen. Sembra che non vi mise mai piede. Vi visse, invece, sua sorella, Nannerl ed è possibile visitare il piccolo museo dedicato ai Mozart o sedersi in riva al lago, prendere la mappa e decidere cosa fare l’indomani.  

St. Gilgen - Capretta immortalata dalla Baba 

giovedì 15 agosto 2019

La simmetria dei desideri


In principio fu Marilena. Erano i lontani tempi del Neri Pozza bookclub e serpeggiavano i primi malumori sulla gestione poco chiara del gruppo da parte della casa editrice. Eravamo al baretto e manifestavamo le nostre perplessità. Qualcuno già pensava di abbandonare il gruppo e di non acquistare più alcun libro della casa editrice come forma di protesta permanente. “Però i tipi di Neri Pozza mi hanno pubblicato La simmetria dei desideri di Eshkol Nevo e io gli voglio bene lo stesso”. Disse proprio così Marilena. Lapidaria. Il tipico sbrilluccichio negli occhi della donna innamorata. Però Marilena è una che s’innamora spesso e i nostri gusti son diversi. Poteva essere un’infatuazione passeggera.  
Poi fu la volta di Amanda, e Amanda non è una che racconta tutte le sue letture. Se scrive d’aver letto un bel romanzo o, come in questo caso, se scrive d’aver letto più d’un bel romanzo dello stesso autore, significa che siamo oltre la passiuncella. Dal secondo post di Amanda al prestito bibliotecario è stato un attimo.

Copia della biblioteca di Rocca Priora
Tutto ha inizio durante la finale dei Mondiali di calcio del ’98, anche se la storia che ci racconta Yuval non ha un vero inizio. Comunque, quattro amici non ancora trentenni s’incontrano per vedere la partita a casa di Amichai, il più assennato del gruppo, quello già sposato, con prole, che vive al centro di Tel Aviv.
Meno male che ci son i Mondiali, così il tempo non diventa un blocco unico e ogni quattro anni ci si può fermare a vedere cos’è cambiato, osserva Yuval.
Sarà capitato anche a voi, no, a chiacchiera con gli amici di sempre, quelli fidati, quelli con cui s’è condiviso tanto, di passare dalla rassegna delle cose fatte insieme al “chissà dove saremo l’anno prossimo a quest’ora”. Ecco, i quattro amici di Haifa, non ancora trentenni, dopo l’ultima partita dei Mondiali del ‘98 appuntano su un fogliettino tre desideri che vorrebbero veder realizzare nell’arco dei quattro anni successivi. I biglietti verranno aperti e letti solo ai Mondiali del 2002. La proposta entusiasma persino Eliana la piagnona, lei che non s’è entusiasmata neanche per il suo matrimonio. Poi, il primo dei tre desideri viene letto seduta stante, però ne restano ancora due.
Potrebbe sembrare solo un gioco eppure ha la sua importanza, non solo per Amichai, che ha proposto l’idea dei bigliettini (sebbene il creativo del gruppo sia Ofir), ma anche per Churcill, il più spavaldo, l’avvocato con lode, e per Yuval, il narratore, l’anima sensibile del quartetto.
Sono fatti così i ragazzi di Haifa. Cioè, scusa, che vorresti dire?

     Be', eccoti la definizione: v'importa l'uno dell'altro. È una cosa un po' antiquata, sai? Oggi non c'è nessuno a cui importa davvero di qualcosa. A parte il danaro.
Dai, questa è una generalizzazione bella e buona. Anche a Gerusalemme c'è qualche persona a cui importa.
Succede solo a quelli di Haifa. Anzi, sai cosa ti dico? In realtà siete solo voi quattro. Il mondo intorno a voi diventa sempre più cinico e violento, e voi mantenete in piedi questa vostra comitiva, in cui v'importa l'uno dell'altro.
Ma questa è proprio la definizione dell'amicizia, no? Un’oasi che ci permette di dimenticare il deserto... o ... una zattera le cui assi si tengono unite. O ... un piccolo staterello circondato dai nemici. Non credi?
Non ne ho idea, ha risposto Yaara. Lo sai che non ho mai avuto amici.
Haifa, Monte Carmelo - Tempio Baha'ì

C’è anche Israele in questo romanzo sull’amicizia: Tel Aviv, una città in cui in piena notte ti può capitare di assistere alla cerimonia dell’hennè; ci sono le terrazze Bahá'ì sul Monte Carmelo; c’è l’Intifada (la prima e la seconda). Ma c’è soprattutto l’amicizia.
Un bel libro. Marilena e Amanda avevano ragione.   

Eshkol Nevo, La simmetria dei desideri (traduzione dall'ebraico di Ofra Bannet e Raffaella Scardi), prima edizione Neri Pozza, 2010. Edizioni successive Beat, Biblioteca Editori Associati di Tascabili. 



martedì 13 agosto 2019

Solo bagaglio a mano


L’altro pomeriggio, mentre guidavo, mi è capitato di ascoltare un’intervista a Paolo Conte, non il cantautore bensì il planetarista e comunicatore scientifico. A poche ore dalla notte di San Lorenzo, Paolo Conte parlava dei cacciatori di meteoriti. Eh già, pare che dagli anni Novanta, parallelamente ai ricercatori scientifici, sia nata la figura del cacciatore di meteoriti free lance; gente che, con un equipaggiamento minimo, si dirige verso il deserto del Sahara (e non solo) alla ricerca di meteoriti, per poi venderle a collezionisti privati e istituzioni museali. Ho scoperto che nel mondo c’è un'umanità variegata disposta ad acquistare una fetta di meteorite (ebbene sì: vengono affettate) e spendere fino a 20mila dollari al grammo per avere un frammento di Luna o di Marte (le più pregiate. Quindi, se vi capita di acquistare una fetta di meteorite, che so io, un paio di etti, a 4/5 mila dollari, non avete fatto un affare ma, come direbbero da queste parti, avete preso una sola, pronunciato con una bella o aperta).
Nantan Meteorite - Oxford University Museum of Natural History
La collezione di meteoriti non è contemplata da Gabriele Romagnoli tra le cose futili che soffocano la nostra esistenza e che ci ossessionano fino a quando non riusciamo a possederle. E se io mi fustigo periodicamente per la mia incapacità di gettare quella maglietta (però, dai, non è così rovinata, posso ancora usarla quando sono a casa), di smetterla d’acquistar libri, di eliminare la tazza sbreccata (ti ricordi che weekend fantastico quando la comprammo?!) … almeno non ho il pensiero di dove collocare la collezione di meteoriti.
Copia della Biblioteca di Ciampino
Anelo alla leggerezza, soprattutto quando si avvicina il momento di preparare lo zaino per un breve viaggio. Eppure, il bagaglio è sempre troppo pesante rispetto alle effettive esigenze. Ultimamente mi sembra che anche la quotidianità si sia appesantita più del dovuto; ma non è facile liberarsi della zavorra. Non ci riuscirò neppure dopo aver letto Solo bagaglio a mano di Gabriele Romagnoli (edito da Feltrinelli), però non credo fosse intenzione dell’autore scrivere un manuale di self-help, né avere l’arroganza di spiegare l’arte di star al mondo per vivere felici. 
Gabriele Romagnoli è uno che ha viaggiato e viaggia molto, che ha abitato in quattro continenti e vissuto in città impegnative come Beirut o Il Cairo.
Traslocare dall’Egitto al Libano solo per avere una diversa prospettiva del Medio Oriente: sicuro che serva a qualcosa? Un cacciavite elettrico serve. Un milione di euro serve, non spostarsi da un luogo ad un altro senza una ragione concreta. Epperò, l’idea di vivere una vita senza appesantirci, senza illuderci; l’idea di scegliere la libertà, di consumare il necessario, di saper perdere cose, di non lasciarsi bloccare dal passato, di osare… non può che affascinarmi. Senza elogiare il pauperismo (come afferma lo stesso Romagnoli), né mitizzare la decrescita o la bellezza del sacrificio. Tutt’altro. Non possedere non equivale ad essere poveri.
È bravo Romagnoli nel toccare i punti deboli dell’uomo contemporaneo (specie se sei già in crisi di tuo), e anche se a tratti appare un po’ banale e non nascondo ci sia qualche frase retorica, è piacevole leggere alcuni aneddoti di viaggio e appuntare titoli per nuove scorribande in biblioteca.
Nel mentre, vado a disfarmi delle magliette che non indosso più. Forse.

martedì 6 agosto 2019

Gli inquilini, Bernard Malamud


Se quella sera Fabietto non fosse arrivato a casa con ben tre regali, non credo avrei letto Gli inquilini. Non subito almeno. Penso che, alla prima occasione utile, avrei acquistato L’uomo di Kiev e suppongo sarebbe rimasto impilato tra i libri da leggere per un paio d’anni, cosa che accade con una certa frequenza ormai. 
Invece, quella sera, prima ancora che leggessi Il commesso, Fabio era arrivato con Gli inquilini dicendo che era un libro bellissimo, che l’aveva catturato beh molto più del commesso, perché qui si parla di scrittura. È intenso, affascinante, diverso; siamo noi e il nostro rapporto con la letteratura.
Non è Bernard Malamud, mi son detta dopo il primo capitolo. Non può essere lo stesso scrittore che mi ha presentato Morris Bober. Lo stile è senza fronzoli, l’atmosfera è cupa ma la voce è diversa, più potente, disperata, senza pietà.
Sono qui, a New York, all’angolo tra la Trentunesima Strada e la Terza Avenue e guardo questo palazzo fatiscente che attende d’esser demolito: un edificio di mattoni sbiaditi, costruito all’inizio del 900, in cui hanno abitato almeno 35 famiglie prima di raggiungere un compromesso con il proprietario, il signor Levenspiel. La maggior parte degli inquilini ha incassato la liquidazione ed è andata via. Harry Lesser no. Gli altri edifici si sgretolano intorno a lui ma Harry non demorde. Bianco, ebreo, scapolo, 36 anni di cui dieci trascorsi cercando di scrivere il capolavoro della vita, il romanzo che lo riscatterà dall’ultima disastrosa pubblicazione. È uno scrittore di professione, un abitudinario: quello che sarà il suo grande capolavoro è stato concepito in quest’appartamento al sesto piano ed è qui che verrà finito. Non c’è dubbio.
La casa è dov’è il mio libro.
Poi, un mattino presto, il silenzio del palazzo viene interrotto dal ticchettio di una vecchia macchina da scrivere.
Il deserto corridoio era deserto.
Si sforzò di ascoltare, e sebbene ascoltasse per non udire, udì lo smorzato ticchettio di una macchina da scrivere, inconfondibile. Gli parve, nonostante la familiarità di quel rumore, di sentirlo per la prima volta in vita sua, sensazione non scevra da un’invidia competitiva. Lui stava da tanto tempo sopra un unico libro – qui c’era forse qualcuno che ne scriveva un altro?
Già, Willie Spearmint, afroamericano, giovane, barbetta a punta, labbra sensuali, occhi gonfi per la concentrazione, niente affatto brutto.
Batte su quella macchina da scrivere come un forsennato; ha bisogno di un luogo in cui rifugiarsi per scrivere il suo primo libro e quel sesto piano di un palazzo fatiscente è il luogo perfetto.
L’inquilino abusivo contro l’inquilino irriducibile.
Per Willie, il bardo della negritudine, la vera arte è la rivoluzione. Pagine che traboccano di contenuto ma prive di forma. Harry, invece, è ossessionato dalla forma, il suo è un continuo lavoro di riscrittura. Forma, forma, forma ma la sostanza sembra scivolar via. Scrive dell’amore senza saper neppure cosa sia.
Malamud contro Malamud, la disciplina contro l’istinto, la scrittura per sopportare la vita contro la scrittura per imporsi nella vita. E, da ultimo, la scrittura che ha il sopravvento sulla vita.


Fabietto aveva ragione: un libro affascinante, non so dire se più bello o più coinvolgente del commesso. Diverso. A tratti irritante, a tratti fuffa, a tratti incomprensibile, a tratti vorresti prendere l’inquilino irriducibile, fargli accettare quella buonuscita e sbatterlo una volta per tutte fuori da quel palazzo. Ma poi chiudi il libro e resti a rimuginare sulla parola pietà.

Bernard Malamud, Gli inquilini (The Tenants), traduzione di Floriana Bossi, minimum fax.