giovedì 23 aprile 2015

Il posto, Annie Ernaux

Forse perché oggi più che in passato non faccio che interrogarmi sul rapporto con i miei genitori; forse perché giorno dopo giorno mi chiedo chi sia mio padre, cosa si nasconda dietro i suoi lunghi silenzi, dietro le sue frasi urlate con rabbia, dietro i suoi momenti d’ira anche quando ira non dovrebbe esserci.
Forse perché anche lui non si è mai arreso.
Forse perché anche noi abbiamo sempre avuto ciò che serviva; forse perché a noi figli non ha fatto mai mancare niente; a scuola non si poteva dire che avessi meno delle altre.
Forse perché anche per i miei “la casa”, la proprietà, le migliorie hanno avuto sempre la priorità su tutto il resto. Su un viaggio, un weekend fuori, una giornata insieme. Inconcepibile che proprio sua figlia possa pensare di vivere in affitto.
Forse perché anch’io ricordo solo mattinate in cui tutti erano affaccendati sin dall’alba, perché ogni giornata era lavoro: neanche il tempo di andare in bagno, neanche il tempo di ammalarsi, perché l’influenza si cura lavorando. Anche ora che potrebbe riposarsi, che potrebbe mollare un po’ la presa, non c’è mai tempo per niente: fare una gita con la mamma, uscire a fare compere insieme, fare una passeggiata. La vita costa cara. Ci sono tante cose da fare, nessuno mi dà una mano…
Per me niente lettere della mamma con la firma del papà alla fine ma ci son state e continuano ad esserci le lunghe telefonate di mia madre, perennemente concluse da un “ti saluta papà”. Lui, lo sai, parla poco, è fatto così. Già, così come?
Forse per tutte queste cose messe insieme, Il posto mi è sembrato molto più di un romanzo autobiografico. Una prosa limpida, toccante. Questo padre che esce dal romanzo e ci si avvicina: il suo volto segnato dalla fatica, lo sguardo serio.
Un libro da sottolineare dalla prima all’ultima pagina.

L’Orma editore con la pubblicazione di questo bel romanzo di Annie Ernaux dimostra di essere una piccola ma grande casa editrice. 

Il postoAnnie Ernaux (traduzione di Lorenzo Flabbi)
L'Orma editore, collana Kreuzville Aleph.

sabato 18 aprile 2015

Gli anni al contrario, Nadia Terranova

Nadia Terranova è una siciliana che pur di non lavorare scrive parecchio. È una ragazza solare, simpatica, di quelle apparentemente a proprio agio in qualsiasi contesto. Eppure, questo esile libricino mi spaventava. E se Gli anni al contrario fosse stato una robetta banale? Avrei continuato ad ascoltare la Terranova con lo stesso interesse? In fondo, cosa ne può sapere una mia coetanea degli anni 70? Che ne può sapere una non ancora quarantenne del vecchio comunismo che odora di sconfitta e delle azioni di disturbo di Lotta continua?
Da Gli anni al contrario mi aspettavo molti riferimenti ai fatti di cronaca e personaggi appena accennati. Mi sbagliavo. Ho trovato Aurora, secondogenita di quattro maschi e due femmine, che a tredici anni ha collezionato isterie sufficienti a stroncarle ogni anelito alla riproduzione, e Giovanni Santatorre, terzogenito di un avvocato comunista, arrivato dopo una di quelle notti maliziose che a volte si improvvisano fra coniugi di mezza età. I due messinesi si incontrano alla facoltà di filosofia, s’innamorano, studiano, leggono, sognano sotto il cielo stellato di Stromboli. Lei resta subito incinta, si sposano e pensano che il loro amore gli darà la forza di cambiare il mondo. Passano i mesi e Giovanni di notte combatte contro l’insonnia mentre di giorno cerca di non pensare alle giornate che avevano immaginato quando si erano innamorati e il futuro sembrava diverso. Poi Aurora smette di ridere ed entrambi si specializzano in silenzi opportuni, diventano complici e conniventi.
Il romanzo è ambientato a Messina ma ho la sensazione che potrebbe essere qualsiasi provincia medio piccola del centro-sud Italia. La stessa ipocrisia, la stessa pesantezza, la stessa difficoltà di trovare una sintonia con il mondo circostante. Così, senza neanche accorgertene, un giorno scopri che il mondo non si cambia e tu ti sei arresa.
Il romanzo si legge in un soffio; la scrittura è leggera anche quando le parole sono taglienti e lasciano piccole cicatrici. L’ironia inziale inevitabilmente si perde a metà libro, quando la fatica dei giorni prende il sopravvento.

Gli anni al contrario è disseminato di occhi e sguardi: un’occhiata distratta alla pagella, occhi cerulei, occhi alzati al cielo, occhi orgogliosi del fascistissimo, occhi puntati addosso, occhi ancora lucidi, occhi ancora appiccicati dal sonno… Ma sono gli occhi interrogativi con cui era nata Mara, quegli occhi immensi, a restarci dentro anche dopo aver finito il romanzo. 

Gli anni al contrario, Nadia Terranova
Einaudi, Stile libero Big

giovedì 16 aprile 2015

Solo per un giorno, Massimilano Boni

Massimiliano Boni non è un eroe, se non per un giorno in un anno. Questa è la storia degli altri trecentosessantaquattro. In quel tempo fa due cose: corre e scrive. Poi, certo: lavora, legge, si occupa della famiglia, ricorda, rimpiange, sogna. Ma queste altre cose accadono di lato: al centro, corre e scrive. Si prepara alla maratona e tiene un diario. Non è spavaldo, in nessuna delle due sfide. […] È uno di noi, uno di voi, una delle migliaia di figure smilze e colorate che vediamo ansimare mentre le superiamo motorizzati, domandandoci: «Chi glielo fa fare?».

Se sei uno di quelli che si infilano i pantaloncini già prima di uscire dall’ufficio, che hanno le scarpette sempre in auto perché-metti-che-esco-prima-posso-fermarmi-a-correre; se ti innervosisci quando ti fanno fare tardi mentre tu avevi già programmato un allenamento serale; se sei uno di quelli che corrono anche sotto la pioggia e vengono guardati con un misto di invidia e compassione…dopo aver letto la presentazione della 66thand2nd, corri (tanto per restare in tema) ad acquistare Solo per un giorno. Il quarantacinquenne Massimiliano Boni ha corso la sua prima maratona a Roma nel 2013; dopo aver letto L’arte di correre di Haruki Murakami (che tanto piacque ed ispirò il nostro attuale Presidente del Consiglio), Boni ha deciso di cominciare a preparare una seconda maratona e scrivere il suo diario.
Senza nulla togliere alle ambizioni dell’audace autore, così come L’arte di correre mi faceva venir voglia di sospendere la lettura per buttarmi a capofitto nella corsa, Solo per un giorno mi ha fatto rivalutare lo sport preferito dal coniuge: il divano.
[…] da sempre autodidatta, eccomi lì a soffrire, cercando di mantenere il respiro regolare, il passo costante, la spinta delle gambe continua. Non sono bello da vedere, lo so, ma almeno sono pronto a penare più degli altri.
Caro Boni, non avercela con me, ma del tuo libro ho apprezzato più i suggerimenti di lettura, le motivazioni che portano a scrivere, annotare, raccontare, che la sofferenza provocata dalla corsa. Ho trascorso gli ultimi mesi a prepararmi…ancora poco, penso, e sarò libero.
Ma che runner sei?
La corsa è anche fatica, indubbiamente, ma per un amatore è soprattutto passione (sennò mica ci chiamerebbero amatori? Masochisti andrebbe benissimo). La corsa è libertà, è spazzar via i malumori, è la gioia di un’alba fredda e di un tramonto tra le colline. È impegno, concentrazione ma anche benessere. Quando diventa testa bassa e paura della sconfitta perde il suo potere terapeutico. Poi ci sono le gare, è vero. Anch’io, come te, gareggio poco ma, quando partecipo, l’emozione iniziale e l’adrenalina della partenza sono sempre più potenti della fatica sopraggiunta strada facendo.
Meglio tralasciare il capitolo dedicato al Dottor C. e ai gioiosi pensieri di prendere un infarto cammin facendo. Alle parole “a volte, del tutto inspiegabilmente, senza alcun segno premonitore, questo meccanismo si inceppa e si ferma. La morte sopraggiunge improvvisa, fulminea, senza alcuna possibilità di salvezza”, ho rimpianto di non aver acquistato il libro in formato cartaceo. Avrei potuto bruciarlo, desiderio che l’ebook non riesce a soddisfare.

Insomma, caro Boni, mai regalerei il tuo diario ad un aspirante maratoneta. E mai lo presterò al coniuge che avrebbe un motivo in più per considerarmi una pazza furiosa.

Solo per un giorno, Massimiliano Boni
66thand2nd, collana Attese.