giovedì 27 agosto 2015

Dolomiti, Alta Via n.1. Il trek del riscatto



Diciamocelo, lo scorso anno quel misero trek residenziale che prometteva grandi passeggiate in Valle Aurina si era rivelato così deludente da richiedere una poderosa rivincita. Niente alberghetti, niente bagno privato, niente alternativa “oggi pioviggina, non si esce”. Quest’anno opzione hard (senza esagerare che sempre ferie sono): rifugi, guida seria, percorso principe delle Dolomiti, rigorosamente con zaino in spalla. In tutti i sensi, visto che siamo partiti con il signor ZainoinSpalla in persona, alias il Bicio. E riscatto è stato.

Lago di Braies
Il cervello si è spento nel momento in cui ci siamo lasciati alle spalle l’affollato lago di Braies, punto di partenza dell’Alta Via n.1
Giornata assolata, sguardo sospettoso di chi scruta le movenze dell’allegra e sconosciuta compagnia con cui condividerà letti a castello e scalerà vette. Le probabilità di incontrare un guastafeste sono sempre elevate ed è bene allontanarsi da chi getteresti accidentalmente di sotto (è risaputo: gli incidenti in montagna sono frequenti). 


Lo zaino sembra pesantissimo (e un po’ lo è), forse avrei potuto evitare la giacca a vento, forse avrei dovuto portare qualcosa in più da sgranocchiare, forse non ce la farò: gli altri mi sembrano tutti esperti di montagna ed io che sono abituata alle colline, con le mie due escursioni all’anno, che ne posso sapere di come si affrontano le Dolomiti? Poi tutti i forse ruzzolano via, annientati dalle battute del Bicio, dalla fatica della salita, dalle mucchette al pascolo, dal cielo azzurro e dalle rocce calcaree.


A ripensarci ora, a due passi dal famigerato grande raccordo romano, sembra trascorsa un’eternità.



Istantanee sparse di giornate luminose.
Le trincee della Grande Guerra e la salita all’affollato Lagazuoi. Noi che saliamo stanchi e sudati mentre gli altri si muovono agilmente e in abiti civili. Ah, hanno preso la funivia… Comoda la vita.


Terrazza straordinaria, la bellezza racchiusa nelle striature rosa delle Tofane. Non vedrai niente di più magico. Invece no, basta svegliarsi all’alba e restare in attesa: un puntino rosso che diventa una palla incandescente, fa male agli occhi quel sole che spunta dietro le Tofane; le nubi che si diradano, le vette che iniziano a distinguersi. La voce di Bicio: “Guardate laggiù!, inizia a vedersi il Civetta”. Le mani ghiacciate e il silenzio. La bellezza che sfugge alle più sofisticate macchine fotografiche.

Lagazuoi: trincee e postazioni della Grande Guerra

Un paio di giorni dopo cambia tutto. Il verde delle Dolomiti bellunesi. Tu che ci cammini dentro e giùgiù, in fondo, un piccola baita. L’impressione di essere cascata nell’immagine irreale di un desktop.


Istantanee di giornate plumbee.
La salita che ci separa dal Tissi e la trepidazione di vederlo vicinovicino questo famoso Civetta. Poi il cielo si fa più scuro e i primi tuoni smorzano l’entusiasmo. 
Il solito Bicio: “Gambe in spalle ragazzi! Strappetto finale prima che arrivi l’acqua”. Il violento scroscio di pioggia si fa sentire quando noi siamo già al riparo. Una radler (birra e limonata) per brindare ad un’altra scarpinata conclusa con successo. Impossibile veder il tramonto ma, a pioggia cessata, il Civetta è lì, imponente. La vetta è nascosta dalle nubi. Giù, a mille metri di dislivello rispetto al rifugio, spunta tra la nebbia il lago Alleghe. Un buco blu tra il bianco della nebbia e il grigio del cielo.


Istantanee di me che cammino.
Occhi che non si staccano dai propri passi.
Piede destro, poggia bene il bastoncino, piede sinistro su quel sasso più stabile. Attenzione al sentiero che si fa scivoloso dopo la pioggia. Un pizzico di invidia per chi scende volteggiando in modo spavaldo, neanche sciasse.
Io che in discesa sudo, temendo di poggiare il piede nel punto sbagliato. Chi me l’ha fatto fare! Poi alzo lo sguardo e sorrido. Immenso.
Io che mi tolgo gli scarponi e immergo i piedi gonfi nelle acque gelide di un laghetto dolomitico. Goduria.


Istantanee di noi, gruppo randagio, appena conosciuti e chissà se e quando ci incontreremo di nuovo.
Noi senza trucco, sudati, capelli in disordine. Sorridenti. Noi che nella vita reale chissà se ci riconosceremmo. Noi che chiudiamo ogni cena con una grappa dal gusto diverso; noi in fila davanti alla doccia con un asciugamano striminzito in microfibra, di quelli che si asciugano subito ma non asciugano niente. Noi che osserviamo la doccia su un bagno alla turca (rifugio Biella); noi che ridiamo per ogni sciocchezza.


Le notti insonni ascoltando il concerto dei russatori. Loro che ti salutano sorridenti al mattino, tu con gli occhi pesti che vorresti ucciderli.
L’ingegnere geniale che si asciuga le mani per attrito; lui che conosce tutte le vette dolomitiche e racconta camminate epiche. Tu che sgrani gli occhi e invidi gli uomini del Nord.
Il siculo che ha un’amica in ogni città a nord di Firenze. “Ma una relazione meno complicata, no?”
“E io che ci posso fare se le montagne sono tutte al Nord?”
Noi che ci scambiamo marmellate a colazione e frutta secca lungo i sentieri.
Storie di vita che si intrecciano e la solita domanda: perché queste persone fantastiche non sono quasi mai i tuoi vicini di casa?



Istantanee di noi che torniamo alla civiltà
Noi che ancora zaino in spalla, corredati di bastoncini e scarponi, camminiamo per Belluno. C’è ancora l’allegria di chi ha imparato a conoscersi e non vuole pensare ad un treno che lo riporterà alla vita di tutti i giorni.
I Bellunesi sorridenti. Ma chi ha detto che l’ospitalità è del Meridione? Acquistiamo del formaggio. “Dove siete stati? Avete avuto fortuna con il tempo?”
Ci guardo da fuori: siamo belli, forse un po’ stanchi ma sembriamo un gruppo di ragazzini. Nessuno potrebbe scorgere i crucci del professionista, le preoccupazioni del padre di famiglia, le frustrazioni di chi lotta con un lavoro che non lo soddisfa più. Bisognerebbe tornare alla quotidianità con quello stesso sguardo.
I saluti frettolosi alla stazione. Gli abbracci forti forti per nascondere gli occhi che si velano e la voce che si incrina. Poi ognuno riprende la sua strada.


Note a margine: le foto sono dell'ottimo coniuge e dello straordinario ingegnere montanaro, colui che sulle Dolomiti ne sa una più di Wikipedia.



venerdì 7 agosto 2015

Turista per caso, Anne Tyler

Macon è un uomo di buon senso. Elimina tutto ciò che potrebbe provocargli una scossa, un turbamento; è uno che termina coscienziosamente la sua insalata di scampi e mangia tutta la verdura, per la vitamina C. È un uomo d’ordine. Tende a mangiare gli stessi cibi, indossare gli stessi abiti. Il cassiere che lo serviva la prima volta che andava in una certa banca era quello a cui si sarebbe sempre rivolto in seguito, anche se si dimostrava poco efficiente, anche se la coda di quello accanto era più corta.
Sarah, la moglie che vuole il divorzio (forse), ha 42 anni. In fondo non è troppo diversa da lui, ma vive una fase di ribellione. “Non mi rimane abbastanza tempo perché io possa sprecarlo restando rintanata nel mio guscio. Perciò sono passata all’azione. Vivo in questo appartamento che tu non potresti soffrire, tutto per aria. Mi sono fatta una catasta di nuovi amici […] Sto prendendo lezioni da uno scultore. Ho sempre desiderato fare l’artista, solo che l’insegnamento mi sembrava un’attività più sensata.”
No, non ce la fa a restare con quell’uomo.   
“Non sei saldo: sei ossificato. Sei incasellato. Sei come chiuso in una capsula. Oh Macon, non è un caso se scrivi quegli stupidi libri per dire alla gente come si fa a viaggiare senza il minimo scombussolamento. Quella poltrona viaggiante non è solo il tuo marchio: sei tu.”
Perché Macon scrive guide per viaggiatori che odiano viaggiare, quelli che si spostano continuamente per lavoro ma preferirebbero non doversi mai spostare dalla poltrona di casa. Sensazione che conosce benissimo, visto che lui stesso fa di tutto per non interagire con il mondo esterno. Viaggia per scrivere le sue guide eppure non sa nulla dei paesi in cui va.
Poi c’è Muriel, di una giovinezza scombussolante Una che parla senza tregua di tutto: ombretti, capelli, pellicine delle unghie…. Una che presta molta attenzione all’aspetto esteriore delle cose, eppure a volte sa alzare il mento e penetrare la mente di Macon come una lama.
Povero Macon!


Dopo le prime pagine mi son ricordata di aver già visto il film. Un libro troppo cinematografico per lasciarsi sfuggire l’occasione. 
Come avrebbe detto il buon Macon, consiglio entrambi, libro e film. Ottimo rimedio per quei periodi in cui si è un po’ giù di corda, la vita scorre monotona e ci si sente impantanati. La vita resterà la stessa ma si può almeno sognare di stravolgerla.   


Anne Tyler
Turista per casotrad. Mario Biondi
TEA edizioni.