Questo blog ha ancora un senso?
Me lo sono chiesta mentre tornavo a casa con l’idea di scrivere un post che non ho mai buttato giù; me lo sono chiesta di domenica sera, dinanzi all’ennesimo weekend terminato in un soffio. Non sono più in grado di ritagliarmi uno spazio per chiacchierare di libri, camminate, festival, librerie? Ho fatto delle scelte con l’idea di dare ordine alle mie giornate, di mettere al centro le mie passioni ed è andata a finire che il caos ha preso il sopravvento, gli impegni si sono moltiplicati e le energie prosciugate.
Poi, c’è anche una sorta di blocco:
diamine!, nell’ultimo anno e mezzo ho scritto pochissimo, sono ricomparsa di
tanto in tanto dicendo che sarei stata più costante, salvo poi continuare a
latitare; ora cosa faccio, riprendo a scrivere come nulla fosse? Sono ancora
credibile? E se poi mi perdo di nuovo?
C’è solo un modo per ricominciare a
fare le cose: farle. E se poi mi perdo di nuovo, pazienza.
Sono giunta a questa conclusione
ieri sera, mentre leggiucchiavo gli ultimi post di blog amici. Ho percepito la
mancanza di quello scambio quotidiano, di quello sguardo diverso sul mondo, di
quella realtà parallela che rendeva le mie giornate più ricche.
Insomma, eccomi di nuovo qui.
È stata un’estate impegnativa. Però
ci sono stati anche boschi, campanelle che annunciavano l’ora della cena, il
salato che ha avuto la meglio sul dolce, merende e macedonie, momenti radicali,
squarci di azzurro tra le fronde verdi, cremine e cerotti. E poi, polvere,
tanta polvere. Mai immaginato che camminando nei boschi ci si potesse impolverare
così…
Più di tutto, resta lo stupore
entrando nella strepitosa cripta della Basilica del Santo Sepolcro ad
Acquapendente, il salotto a cielo aperto di San Quirico d’Orcia e l’interno
della chiesa di Santa Maria Assunta, la spettacolare Piazza Grande di
Montepulciano, la peschiera di Santa Fiora, il lungo, polveroso anello (sentiero
001) del Monte Amiata, il sentiero dell’acqua e quello delle sorgenti che fanno
apprezzare, passo dopo passo, la bellezza della Val d’Orcia.
Ma la vera boccata d’ossigeno è arrivata con il Festivaletteratura di Mantova. Perché Mantova, perché letteratura, perché il mio primo festival dopo la pandemia, perché giunto tempestivamente dopo un’importante scadenza lavorativa. Me lo son goduto. Non avevo più il fiato sul collo, non c’erano più i patemi del “quando rientro devo ancora fare…”
Camminando nel Parco del Mincio, ho ricominciato a progettare viaggi, letture, incontri con amici, attività ricreative di ogni genere, come se disponessi di un tempo infinito. Sono state giornate senza sveglia, piacevoli colazioni in compagnia ciarlando di libri, eventi senza fila, pause gelato tra un incontro e l’altro. Green pass, gel igienizzante e mascherina hanno reso la città più tranquilla rispetto al passato. Ugualmente vivace, ma meno caotica.
La tentazione dei banchetti dei libri usati sotto i portici di Palazzo Ducale, setacciati e risetacciati dopo aver ascoltato Andrea Tarabbia e il libraio Giovanni Spadaccini (colui che Compra libri, anche in grande quantità); le diverse forme di commiato narrate da Bernhard Schlink; la Torino di Primo Levi che ne percorreva le strade con lo sguardo rivolto sempre a terra, abitudine rimastagli dai giorni del lager; Beethoven che riecheggia nel Palazzo della Ragione ad accompagnare i versi della poetessa Ruth Padel.
La noia e l’irritazione ascoltando Angelo Pellegrino, che dovrebbe
parlare degli epistolari di Goliarda Sapienza ma è troppo il compiacimento
nell’ascoltare sé stesso per dar voce alla figura della Sapienza; in compenso,
il ricordo commosso di Simona Weller e la rappresentazione di una Roma
pullulante di collettivi femminili, talvolta violenti, dà senso all’incontro.
Poi, c’è la Siria di Hola Kodmani e
la Siria vista dalla Germania attraverso gli occhi di Olga Grjasnowa, in un
dialogo serrato che riaccende il mio interesse per quella parte di mondo. Uno
degli incontri più interessanti ai quali ho partecipato.
E la piacevole leggerezza del
sabato, la leggerezza che ti fa riflettere senza farti avvertire il peso dei
pensieri; una cosa che riesce benissimo a Marcello Fois e Gabriele Romagnoli, ma
anche a Bruno Gambarotta che chiacchiera con Fouad Laroui del Marocco come
oggetto letterario. Laroui si muove agevolmente tra i ricordi giovanili, il
Marocco dei caffè (“tra due caffè c’è sempre un caffè”), libri e lingue che
hanno caratterizzato la sua vita e che riecheggiano nella sua scrittura. Il mondo senza libri sarebbe un inferno.
Tutte le foto scattate in Toscana, sono state gentilmente concesse dal coniuge.