lunedì 31 ottobre 2016

La pelle, Curzio Malaparte

La mia copia
Non è uno di quei libri che metti in valigia per un weekend rilassante e non è neanche la lettura più indicata per un periodo in cui sei tanto, parecchio sottopressione. Ma se l’input viene dal gruppo di lettura che l’ha scelto (e tu, per giunta, l’hai pure votato), non puoi più tirarti indietro. Il danno è fatto. 

L’enciclopedia on line Treccani alla voce Malaparte recita:
Pseudonimo del giornalista e scrittore italiano Curzio Suckert. Personalità poliedrica, indipendente e controversa, passò dall’adesione al fascismo, all'antifascismo (che gli procurò nel 1933 il confino), al filocomunismo. Scrisse acuti testi politico-letterari, tra cui Italia barbara (1925), e romanzi quali Kaputt (1944) e La pelle (1950), crude testimonianze sulle atrocità della guerra.

Sulla crudezza delle scene descritte in La pelle c’è poco da discutere: ogni volta che pensavo d’aver letto pagine spietate si apriva un capitolo ancora più duro del precedente. Forse, però, ciò che mi ha veramente colpito sono state le reazioni che la penna di Malaparte riesce a scatenare tutt'oggi. Nel gruppo di lettura della biblioteca ci sono diversi pensionati, persone che, pur non avendo vissuto direttamente gli anni della seconda guerra mondiale, ricordano bene il clima dell’immediato dopo guerra e i racconti dei propri familiari. Mi ha emozionato la voce rotta di Luigi mentre difendeva appassionatamente il romanzo, zittendo chi sosteneva che, in fondo, lo stile di Malaparte è troppo ridondante, esasperante nel ripetere sempre gli stessi concetti. E mi ha fatto sorridere Gianna, che ha interrotto la lettura perché basta con le scene di guerra, la sofferenza, le miserie umane. Io ho una certa età. Voglio cose leggere, che mi facciano star bene, che trasmettano allegria. Una richiesta legittima, in fondo.
E poi c’è stato l’inevitabile scontro tra i due modi di raccontare: quello del letterato, che deve far sfoggio dei tanti libri letti in tutta la sua vita e che un po’ si riempie la bocca dei grandi capolavori, e quello dell’umile lettore. Il saccente (oggettivamente preparato): «Se questo libro è stato definito dai più un capolavoro, una ragione c’è. È evidente». La risposta irritata dell’umile lettore: «Io non sono un letterato. Di evidente non c’è nulla. A me non me ne frega niente se un libro sia considerato un capolavoro o meno. A me un libro piace se riesce a comunicarmi qualcosa, se al termine della lettura ho imparato qualcosa. Altrimenti può esser anche considerato un capolavoro, ma per me è e resterà un libro inutile». E se parlando del libro non riesci a trattenere le lacrime, quell’autore ti avrà sicuramente regalato qualcosa. 


Curzio Malaparte fu anche giornalista ma La pelle non è un reportage di guerra bensì un romanzo surreale in cui la poesia dei paesaggi si scontra con le scene più inverosimili. Non può esser reale il mormorio degli ebrei crocifissi lungo la strada di un villaggio ucraino, né risulta credibile la sirena servita sulla tavola del generale Cork (una cosa che somiglia ad una bambina bollita, presentata su un letto di lattuga e circondata da una ghirlanda di rami di corallo); eppure il lettore è così immerso nella storia da credere a tutto. Qualche volta si ha la sensazione che Malaparte sguazzi in quelle scene orripilanti e ci si chiede quale sia il limite dell’immaginazione dello scrittore e quanto orrore voglia suscitare nel lettore. Poi, ad un tratto, è Malaparte stesso, in una delle tante situazioni inverosimili narrate, ad ammettere che ciò che conta non è raccontare la verità quanto dare l’impressione della verità (chi ha già letto il libro ricorderà la cena in cui Malaparte si burla degli altri commensali, fingendo di aver appena mangiato la mano di un uomo). E allora, di fronte a questa confessione, cambia anche l’approccio al libro: c’è la guerra, c’è la Napoli del 1943, umiliata e sconfitta, ma resta un romanzo e non andrebbe preso troppo sul serio. E poi c’è la critica verso una società vigliacca: i napoletani e gli italiani tutti, this bastard people pronti a soffrire, uccidere, compiere cose meravigliose e cose orrende, non già per salvare la propria anima, ma per salvare la propria pelle. Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre solo per la propria pelle. Tutto il resto non conta.
Non è stata una lettura avvincente; lasciata Napoli ho avuto la sensazione che Malaparte fosse meno interessato alla storia, come se volesse chiudere la narrazione in tutta fretta. Ma forse, se avessi letto La pelle in un altro momento, l’avrei apprezzato di più e non sarei stata così critica.    

Curzio Malaparte, La pelle, Adelphi, Milano, 2010.



domenica 23 ottobre 2016

Il piacere delle cose inutili

La notizia è che babalatalpa è in vita, sebbene di lei si siano perse le tracce in libreria, in biblioteca, sui social e nella blogsfera. Ha letto poco, non ha scritto nulla, non ha acquistato libri, non sa bene cosa sia accaduto nel mondo negli ultimi due mesi (ma sa che il 4 dicembre ci sarà il referendum e deve iniziare a studiare per capire cosa voterà). Nella sua vita ci son state parecchie novità e ancora non sa come gestirle, ma ha la certezza che senza libri, film, corsa e quattro chiacchiere in rete, le giornate son tristanzuole e lei vuole ricominciar a sorridere e a far tutte quelle cose inutili che la mettono di buonumore.

Si riparte da qui. Deve solo decidere in che libro infilarsi.