La mia copia |
L’enciclopedia on line Treccani alla voce Malaparte recita:
Pseudonimo del giornalista e scrittore italiano Curzio
Suckert. Personalità poliedrica, indipendente e controversa, passò dall’adesione
al fascismo, all'antifascismo (che gli procurò nel 1933 il confino), al
filocomunismo. Scrisse acuti testi politico-letterari, tra cui Italia barbara (1925), e romanzi quali Kaputt
(1944) e La pelle (1950), crude testimonianze sulle atrocità della
guerra.
Sulla crudezza delle scene descritte in La pelle c’è poco da discutere: ogni volta che pensavo d’aver letto
pagine spietate si apriva un capitolo ancora più duro del precedente. Forse, però,
ciò che mi ha veramente colpito sono state le reazioni che la penna di
Malaparte riesce a scatenare tutt'oggi. Nel gruppo di lettura della biblioteca
ci sono diversi pensionati, persone che, pur non avendo vissuto direttamente
gli anni della seconda guerra mondiale, ricordano bene il clima dell’immediato
dopo guerra e i racconti dei propri familiari. Mi ha emozionato la voce rotta di
Luigi mentre difendeva appassionatamente il romanzo, zittendo chi sosteneva che,
in fondo, lo stile di Malaparte è troppo ridondante, esasperante nel ripetere sempre
gli stessi concetti. E mi ha fatto sorridere Gianna, che ha interrotto la
lettura perché basta con le scene di
guerra, la sofferenza, le miserie umane. Io ho una certa età. Voglio cose leggere,
che mi facciano star bene, che trasmettano allegria. Una richiesta
legittima, in fondo.
E poi c’è stato l’inevitabile scontro tra i due modi di raccontare:
quello del letterato, che deve far sfoggio dei tanti libri letti in tutta la
sua vita e che un po’ si riempie la bocca dei grandi capolavori, e quello dell’umile
lettore. Il saccente (oggettivamente preparato): «Se questo libro è stato
definito dai più un capolavoro, una ragione c’è. È evidente». La risposta
irritata dell’umile lettore: «Io non sono un letterato. Di evidente non c’è
nulla. A me non me ne frega niente se un libro sia considerato un capolavoro o
meno. A me un libro piace se riesce a comunicarmi qualcosa, se al termine della
lettura ho imparato qualcosa. Altrimenti può esser anche considerato un
capolavoro, ma per me è e resterà un libro inutile». E se parlando del libro
non riesci a trattenere le lacrime, quell’autore ti avrà sicuramente regalato qualcosa.
Curzio Malaparte fu anche giornalista ma La
pelle non è un reportage di guerra bensì un romanzo surreale in cui la
poesia dei paesaggi si scontra con le scene più inverosimili. Non può esser
reale il mormorio degli ebrei crocifissi lungo la strada di un villaggio
ucraino, né risulta credibile la sirena servita sulla tavola del generale Cork
(una cosa che somiglia ad una bambina bollita, presentata su un letto di
lattuga e circondata da una ghirlanda di rami di corallo); eppure il lettore è
così immerso nella storia da credere a tutto. Qualche volta si ha la sensazione
che Malaparte sguazzi in quelle scene orripilanti e ci si chiede quale sia il
limite dell’immaginazione dello scrittore e quanto orrore voglia suscitare nel
lettore. Poi, ad un tratto, è Malaparte stesso, in una delle tante situazioni
inverosimili narrate, ad ammettere che ciò
che conta non è raccontare la verità quanto dare l’impressione della verità
(chi ha già letto il libro ricorderà la cena in cui Malaparte si burla degli
altri commensali, fingendo di aver appena mangiato la mano di un uomo). E
allora, di fronte a questa confessione, cambia anche l’approccio al libro: c’è
la guerra, c’è la Napoli del 1943, umiliata e sconfitta, ma resta un romanzo e
non andrebbe preso troppo sul serio. E poi c’è la critica verso una società
vigliacca: i napoletani e gli italiani tutti, this bastard people pronti a soffrire, uccidere, compiere cose meravigliose e cose orrende, non già per
salvare la propria anima, ma per salvare la propria pelle. Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si
lotta e si soffre solo per la propria pelle. Tutto il resto non conta.
Non è stata una lettura avvincente; lasciata Napoli ho avuto la
sensazione che Malaparte fosse meno interessato alla storia, come se volesse
chiudere la narrazione in tutta fretta. Ma forse, se avessi letto La pelle in un altro momento, l’avrei
apprezzato di più e non sarei stata così critica.
Curzio Malaparte, La pelle, Adelphi, Milano, 2010.
Non l'ho letto fino ad oggi, non credo che lo leggerò domani, nella guerra c'era già tanto orrore che bastava saper narrare l'enormità che era per rendere l'idea senza aggiungere le iperboli della fantasia personale.
RispondiEliminaPosso chiederti come il gruppo ha deciso per questa lettura?
Certo che puoi! Ho avuto la malaugurata idea di rendere la scelta del libro del mese molto democratica. Ogni partecipante propone un libro (o un autore), si verifica che la biblioteca disponga un numero sufficiente di copie dei libri proposti e si procede con le votazioni. Il libro è stato proposto dal signor Luigi, che ha voluto omaggiare la sua città natale condividendo un romanzo che a lui era piaciuto particolarmente, ambientato per la gran parte a Napoli. È stato votato da molti, me compresa, forse anche per la curiosità di leggere Malaparte, scrittore controverso e riscoperto negli ultimi anni. Per dirla tutta, non mi sembra che Napoli ne sia venuto fuori granché bene… Non è un libro facile ma è un buon testo per un gruppo di lettura: discussione animata come poche altre volte.
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