Copia presa in prestito dalla biblioteca di Marino. |
È il momento giusto per tornare ad Holt, tra le strade tranquille e le fattorie isolate. È il momento
giusto per condividere le giornate con persone taciturne, che cercano di fare bene
e volentieri tutto ciò che viene chiesto loro di fare. È il momento giusto per
accomodarsi in stanze illuminate dal sole del pomeriggio, mentre i granelli di polvere danzano nell’aria come
minuscole creature; l’occasione ideale per andare a scuola con DJ e poi
passare a salutare Raymond in ospedale, telefonare alla giovane Victoria Robideaux
e vedere come se la stia cavando tra le lezioni universitarie e l’educazione
della piccola Katie.
È sempre la stessa Holt di Canto della pianura, la stessa lentezza, la stessa luce obliqua del mattino; dialoghi essenziali, vite solitarie, gli
stessi gesti che si ripetono stagione dopo stagione; niente di eclatante.
Eppure non riesci a staccartene, non ti va di andar via dalla cittadina. Un po’
come quando corri in una mattinata di fine ottobre, con le foglie degli alberi
tra il giallo e l’arancio, l’aria frizzante ma non fredda, il cielo blu percorso
dalla scia bianca lasciata da un aereo. Ami ciò che stai vedendo anche se non è
niente di eccezionale.
Da mettere in valigia
quando non si va in alcun luogo; basta spostarsi dalla camera da letto al
divano: Crepuscolo, una tazza di tè (che quel gentiluomo di Raymond berrà solo per
non farci dispiacere) e tutto sembrerà come dovrebbe essere.
Non ho ancora letto Benedizione.
È bello sapere che potrò tornare a rifugiarmi nella fattoria di Raymond, prendere
una birra al bancone dell’Holt Tavern o andare a cena in una serata di primavera
al Wagon Wheel Café. Sempre che Haruf non mi riservi qualche sorpresa…
Particolare di "Nighthawks", Edward Hopper |
Kent Haruf, Crepuscolo (titolo originale: Eventide), traduzione di Fabio Cremonesi, NN Editore, Milano, 2015.
La poesia delle piccole cose :)
RispondiEliminaVero. Haruf mi sta facendo riflettere sul piacere di leggere storie essenziali scritte con una lingua asciutta. Specie se, a seguire, ti ritrovi tra le mani racconti fatti di tante belle parole che suonano bene ma non dicono nulla.
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