giovedì 25 settembre 2014

La vita davanti ai suoi occhi

Sono una lettrice disordinata. Ho provato a stabilire qualche regola: classici, divisione per paesi, x classici alternati da y contemporanei; vabbè, se proprio non riesci a stabilire un criterio facciamo che leggi almeno un paio di libri consecutivi dello stesso autore, tanto per farti un’idea dello stile. Nisba: passa l’attimo e passa il libro.

Questa volta, invece, sono stata bravissima: terminato Un animo d’inverno ho prontamente preso in prestito La vita davanti ai suoi occhi, scritto da Laura Kasischke nel 2002 e pubblicato in Italia dalla Neri Pozza con traduzione di Massimo Ortelio.

Inizio folgorante: due belle adolescenti, una mora e una bruna, si spazzolano nei bagni di una scuola in una cittadina qualunque del Midwest. Uno di quei luoghi in cui l’inverno dura parecchio, le famiglie bene hanno case immacolate con giardini ombrosi e piscina, e gli adolescenti, che siano agiati o meno, hanno tatuaggi e piercing, fumano marijuana e non desiderano altro che lasciar quella cittadina monotona per sempre.
Il ciarlare delle ragazze in bagno viene bruscamente interrotto dall’irruzione di un loro compagno di classe, una nullità di cui mai nessuno ha percepito la presenza né l’assenza. Quella nullità sogghigna con una pistola in pugno. «Chi devo ammazzare di voi due?»
Maureen, la mora, quella che va in chiesa, pronuncia un «Se devi uccidere una di noi due, uccidi me».
Diana, la bionda, quella che non crede in nulla, ci riflette per un po’, i cerchietti che ha al polso iniziano a tintinnare, poi si chiede perché non dovrebbe scegliere la vita. «Non uccidermi. Uccidi lei. Non me».
Fine del prologo. Il romanzo è tutto un flashback tra la vita della Diana, ribelle adolescente, e la vita della Diana adulta, elegante quarantenne, immersa in un mondo quasi perfetto: è diventata una mamma invidiata per il fisico ancora da modella, un marito attraente e una figlia graziosa. “Il mondo era davvero rotondo. Tondo e liscio come la boccia dei pesci. E i pensieri ci nuotavano dentro”.
In questa perfezione iniziano ad esserci segnali di squilibrio: il lettore si confonde. Qual è il confine tra la vita vera e l’immaginazione? E tutto ciò che era ovvio nelle pagine precedenti cambia volto. La penna poetica della Kasischke ti ha tratto in inganno e solo negli ultimi capitoli esci dalla bolla di sapone e intuisci cosa sia realmente accaduto.
Disseminati nel romanzo si trovano elementi che la Kasischke infila anche nell’appena pubblicato Un animo d’inverno. Il rapporto morboso tra madre e figlia, il gusto ferroso della carne cruda, gli screzi con i vicini per faccende che riguardano le abitudini del cane/gatto della protagonista, le fiabe e Raperonzolo dalle lunghe chiome d’oro.
In entrambi i romanzi, il tema della morte è centrale. Il perché è evidente nelle parole della stessa Kasischke in un’intervista di qualche anno fa:
Penso di aver associato, fin dall'inizio, la letteratura a “grandi temi”: quando ero giovane, ero così affascinata dalla tragedia greca, da non essere attratta dai romanzi o dalla poesia per semplice divertimento, ma molto più per una forma di catarsi. La condizione umana mi sembra, anche nei momenti migliori, davvero precaria, e il mondo, pur nella sua bellezza, mi sembra oscurato da ombre di morte e pericolo.  
Suppongo di avere una consapevolezza più acuta di questa sensazione, quando la esploro attraverso la scrittura.
In La vita davanti ai suoi occhi non c’è la stessa tensione che accompagna il lettore fino all’ultima pagina di Un animo d’inverno, però ci sono più spunti di riflessione. Inevitabilmente ci si ritrova a pensare alle curiose coincidenze della vita, a chi eravamo a 16 anni e a chi siamo diventati. Ma si medita anche su cosa sarebbe accaduto se… e a tutti i SE che ci portiamo dentro.


Note: dal libro è stato tratto un film. Non mi sembra abbia riscosso un gran successo ma, non avendolo visto, non posso giudicare.

mercoledì 17 settembre 2014

Sugli esperimenti della Neri Pozza Editore e sull’uscita di “Un animo d’inverno”

I tipi della Nera Pozza si son inventati una roba fighissima: un book club. “Hai visto la novità…”, mi direte voi. Invece no, questa volta non è il solito pretesto per qualche reading letterario, nè il gruppetto di persone che si riunisce per discettare su romanzi già pubblicati. No, no. Funziona così: la Neri Pozza ha messo insieme venti persone, a prima vista abbastanza diverse l’una dall’altra (dal signore distinto alla silenziosa ventenne che si guarda intorno con aria perplessa), fornisce a ciascuno di loro una bozza definitiva di un libro che la casa editrice pubblicherà nei prossimi mesi e chiede ai lettori il loro parere. 
Il gruppo romano si incontra una volta al mese in un luogo meraviglioso (la Casa delle Letterature), si mette intorno ad un tavolo e si confronta sul libro di prossima pubblicazione. Essendo stato creato un blog ad hoc, il lettore è invitato a postare il suo commento e ad esprimere educatamente il proprio pensiero. Sottolineo entrambi i termini perché, mentre il direttore editoriale della Neri Pozza, Giuseppe Russo, esponeva le motivazioni del book club  e disegnava il futuro del libro, io mi dicevo: “sì, vabbè, ma se a me questo libro che stanno per darmi non piace neanche un po’, come faccio a dirlo liberamente?”. Russo deve avermi letto nel pensiero perché ha pronunciato una frase che suonava piùomeno così: “Cercate di essere obiettivi nei vostri commenti: non esagerate con l’entusiasmo né con le stroncature. I commenti devono essere liberi. Però siate educati nel motivare i vostri non mi piace”.
Perché il Neri Pozza Book Club? L’ottimista Russo ritiene che il criterio già adottato da alcune case editrici americane sia quello vincente: il piano di distribuzione del libro dovrebbe partire dal fruitore. Mi spiego meglio: le case editrici dovrebbero avere un gruppo di lettori affidabili e una cerchia di librai competenti a cui sottoporre la lettura di un titolo di prossima pubblicazione. I riscontri ricevuti da questo campione di lettori “specialisti” aiuterebbe la casa editrice a pianificare la distribuzione del testo; inoltre, il sistema dovrebbe incentivare il meccanismo del passaparola e influire sulle vendite e sul successo dei libri migliori.
Un discorso razionale anche se non so quanto sia attuabile. Ma se a dirlo è un direttore editoriale, un minimo di credito bisognerà pure darglielo, no?

Passiamo ai primi compiti per casa. Trattasi di questo libro qui.
Premessa: dell’autrice, Laura Kasischke, non sapevo nulla. Sentendone pronunciare il nome, ho pensato che avesse origini russe. Dal suo sito non emerge granché, se non che è nata nel Michigan, dove risiede con un figlio, un marito e la figlia del marito. Nessuna traccia di figli adottivi. Osservazione non casuale, visto che Un animo d’inverno è tutto incentrato sulla relazione tra una madre (Holly, un passato da aspirante poetessa tramutatosi in un presente di frustante lavoro impiegatizio) e la quindicenne figlia adottiva, Tatiana, prelevata da uno sperduto orfanotrofio siberiano, Pokrovka Orphanage n. 2, all’età di due anni.
I fatti si svolgono il giorno di Natale in un imprecisato anno 20… Gli eventi vengono intramezzati da quello che gli inglesi chiamano stream of consciousness, una sorta di monologo interiore di Holly in cui emergono tutti i suoi conflitti irrisolti, emozioni, sentimenti, frustrazioni.

Mi è piaciuto il libro? Nì.
La Kasischke è una poetessa ed emerge anche nella bella traduzione di Maddalena Togliani. Alcune descrizioni sono surreali, ma si resta incantanti dal suono delle parole e dalle immagini che evocano (non riesco a togliermi davanti agli occhi l’ombra delle rose incappucciate sotto la neve).
Ombre, appunto. Sono disseminate in tutto il romanzo. L’autrice sa che niente spaventa più delle ombre che ci portiamo dentro, dei desideri nascosti, dei fallimenti, delle paure inconfessabili. Lo sa e utilizza i suoi pensieri – il monologo interiore di Holly – per tenerci sulle spine fino all’ultima pagina (proprio l’ultima), in cui si ricomporranno tutti i pezzi del romanzo. Ma, a mio parere, la tira un po’ troppo per le lunghe, facendo venir meno la rivelazione finale. Da un certo punto in poi, pur non capendo esattamente cosa stia avvenendo nella realtà, si intuisce l’epilogo della storia. Indubbiamente resta un alone di mistero sull’intera vicenda. Ma manca il brivido del colpo di scena.
E poi i continui flashback, i numerosi richiami all’orfanotrofio, al periodo intercorso tra la prima visita e la seconda, quella in cui i coniugi Clare porteranno finalmente con sé la piccola Tatty negli Stati Uniti, le innumerevoli paranoie sulla grandezza degli occhi e sulla lunghezza dei capelli della “regina delle fate” finiscono con l’appesantire il romanzo.

Note a margine:
Se vi piace la narrativa contemporanea e il romanzo psicologico, apprezzerete Un animo d’inverno. Al contrario, se le elucubrazioni mentali non fanno per voi, rischiate di fermarvi a metà romanzo e andare alle ultime pagine solo per sapere come va a finire.
Il titolo del romanzo è tratto da una bella poesia di Wallace Stevens, The Snow Man.
One must have a mind of winterTo regard the frost and the boughsOf the pine-trees crusted with snow; And have been cold a long timeTo behold the junipers shagged with ice,The spruces rough in the distant glitter […]


lunedì 15 settembre 2014

Valle Aurina (Ahrntal)

Non è stata l’estate dei grandi trekking. Un po’ per difficoltà organizzative, un po’ per le condizioni meteo (tranquilli, qui vi sarà risparmiata la cantilena del “ma quale estate? Non ha fatto altro che piovere!”), quest’anno abbiamo optato per un trekking a base fissa alla scoperta della Valle Aurina
Altissimo Nord, praticamente Austria. Il libro della Gruber, seguito dalla lettura del saggio di Marcantoni e Postal, “Südtirol: Storia di una guerra rimossa”, mi avevano preparato ad un clima tedesco, però confesso che il passaggio da Trento a Brunico si è fatto sentire. In senso positivo: ordine e rigore. E in senso negativo: un atteggiamento gentile ma scostante (non se ne abbiano gli amici di Bolzano, ma per una che arriva dai dintorni di Roma, Profondo Sud, la sensazione di distacco è immediata).
Come già accaduto negli anni precedenti, abbiamo optato per un trekking organizzato perché è divertente conoscere persone nuove, dalle provenienze ed esperienze più disparate, accomunate dalla tua stessa passione: l’amore per la montagna. È bello girare con una guida che conosce i sentieri, la vegetazione, la storia di quei posti. È bello tornare a casa con un po’ di stanchezza ma con un bagaglio pieno di aneddoti, sentieri che forse, da solo, non avresti scoperto, nuove amicizie, voglia di ripartire. 


Rispetto agli anni passati, quest’anno non siamo stati troppo fortunati. La guida non era di quelle memorabili (ma si può beccare una guida escursionistica perennemente stanca?): ogni pretesto ero buono per camminare un po’ meno e la preparazione, diciamocelo, non era eccelsa. Fortunatamente, il gruppo era simpatico e stimolante. Non grandi camminatori ma persone piacevoli, alcuni molto originali; uomini e donne con cui s’è riso ma si son fatti anche discorsi interessanti; quelle persone con cui vorresti restare in contatto.


Abbiamo soggiornato a San Giovanni: una delle località più grandi del comune di Aurina. Un posto interamente immerso nel verde, con il suono tumultuoso del torrente Aurino che scorreva a pochi metri dal nostro hotel. Una voce così possente che al buio, dal letto della mia stanza, avevo sempre l’impressione che stesse diluviando. Con il cielo grigio, la valle assumeva un aspetto tra il malinconico e l’irreale. Il verde diventava scuro, il rimbombo dell’Aurino veniva amplificato e la foschia avvolgeva il campanile  a cupola della chiesa di San Giovanni Battista.


Delle escursioni fatte, mi è rimasto nel cuore il sentiero (indicato con il n.13) che dal centro di Casere (Kasern, una frazione di Predoi, m 1665) porta al rifugio Brigata Tridentina (2.440 m). Tragitto magnifico, specie se si ha la fortuna di percorrerlo, come nel nostro caso, in un’incredibile giornata dal cielo azzurro. Rivoli e cascatelle che si staccano dal torrente Aurino: è tutto un gioco d’acqua e di verde brillante. Salendo il sentiero a zigzag, in una giornata così limpida, si riesce a vedere benissimo sia il Picco dei Tre Signori (a destra) che la cima della Vetta D’Italia, a sinistra (m. 2912, al confine tra Austria e Italia, è considerata il punto più a nord del nostro paese).

Picco dei Tre Signori
Vabbè, diciamo che la Vetta d’Italia l’avevo immaginata più imponente, una di quelle vette che ti si stagliano davanti gli occhi e non riesci a distaccartene. Non è stato così. Sono rimasta, invece, ipnotizzata dal Picco dei Tre Signori e pranzare di fronte a quello spettacolo immenso è servito ad accantonare le mancate escursioni dei giorni precedenti.
La camminata fino al Rifugio Brigata Tridentina richiede passo sicuro e un minimo di allenamento ma non è difficile; ben più impegnativo, presumo, la restante parte del sentiero e i vari percorsi che conducono alla vetta d’Italia e sotto il Picco dei Tre Signori.

Chiesa di S. Spirito
Note: A San Giovanni, abbiamo soggiornato nell’Hotel Schachen. Cucina non eccezionale; abbastanza gentili ma credo si possa trovare di meglio.

Non perdete una visita alla chiesetta di Santo Spirito, l’emblema della Valle Aurina, e una sosta presso la malga lì vicino. Mai mangiato un piatto di uova, patate e speck più delizioso!

venerdì 12 settembre 2014

L’angioletto

L’angiolettoGeorges Simenon, traduzione di Marina Di Leo, Adelphi Edizioni.

Verso i trent’anni Luois ingrassò, e le guance tonde gli guastarono un po’ i lineamenti. Quasi tutti i giorni andava in un ristorante per camionisti, con il bancone di zinco, le sedie impagliate e la scritta “Caves d’Anjou” sull’insegna. Si sedeva sempre nello stesso angolo – aveva un debole per gli angoli, e quando era al centro di una stanza si sentiva a disagio, troppo in vista o vulnerabile. […]
Aveva lavorato molto. Lavorava ancora. Ci sarebbero voluti ancora anni perché riuscisse a esprimere ciò che sentiva dentro di sé da sempre.
«Qual è esattamente il suo obiettivo?»
«Non lo so». 
Era la frase che aveva pronunciato più spesso in vita sua e che seguitava a ripetere.
  
Ho imparato a viaggiare con un solo libro e con l’e-reader. Vantaggi:
-  lo zaino è più leggero;
- se nella tua libreria elettronica non trovi nulla che ti ispira, puoi sempre acquistare un nuovo titolo in qualsiasi momento, nel primo punto in cui riesci a trovare una rete wifi gratuita.
Eccezioni: hai voglia di continuare a leggere su carta. Hai l’insana abitudine di entrare in tutte le librerie, caffè letterari, locali non meglio definiti che vendono libri. Risultato: nonostante le buone intenzioni iniziali, strada facendo il peso dello zaino aumenterà.
A Trento, il caso ha voluto che il nostro appartamentino si trovasse accanto ad un bistrot letterario, Controvento. Un posticino accogliente in cui fermarsi a fare colazione, sfogliare il giornale, ascoltare buona musica e dare una sbirciata ai libri. Piccoli editori a chilometro zero (Keller e Zandonai), accanto a titoli di sicuro successo. Così, tanto per continuare l’indigestione di Simenon, ho portato via il discusso L’angioletto.
Ne avevo letto commenti cosìcosì (“penso che troppo, davvero troppo in Italia, con la casa editrice Adelphi, si sia raschiato il tegame del Simenon. Sacralizzandone ogni scheggia”), e quindi volevo provare anch’io il brivido di dire: “No, non mi è piaciuto”.
Ma niente, mi tocca parlarne bene anche questa volta.
Facciamola breve. È la storia di un bambinetto un po’ tonto, Louis Cuchas, cresciuto in una zona sfigata di Parigi, rue Mouffetard, senza padre, con una madre allegra e disinvolta che ogni sera porta a casa un uomo diverso, un fratello più grande che intima alla sorella di nove anni «Fam­melo!... E sta’ attenta con i denti», e due gemelli rosso malpelo, crudeli sin da piccoli. Louis Cuchas, piccolo santo (titolo originale del romanzo) o l’angioletto, guarda il mondo intorno a sé con un sorriso beato e nulla, proprio nulla riesce a turbarlo. Potete deriderlo, picchiarlo, insultarlo e lui continuerà a guardarvi con quel sorrisetto malizioso. Si alza spontaneamente nel cuore della notte per accompagnare sua madre al mercato delle Halles e in mezzo a tutti quei facchini, ortaggi, frutta, pollame, cassette di uova sente di vivere la più bella avventura della sua vita. E sarà sempre così: tutto ciò che potrebbe trasformare una persona normale in un delinquente, è per Louis un’esperienza da studiare, mettere su tela… Tutto ciò che spaventerebbe una persona normale, tipo due guerre mondiali, lo lasciano del tutto indifferente.
Termini il romanzo con la sensazione che non sia accaduto nulla eppure non sei riuscito a staccarti dal libro. Di tanto in tanto avresti voluto dargli una sberla all’angioletto ma poi ti sei rassegnato, apprezzandone l’originalità.

La capacità di Simenon di descrivere gli aspetti più controversi dell’animo umano resta indiscutibile.

mercoledì 10 settembre 2014

Trento

Per qualche misteriosa ragione, impiego diversi giorni per rimuovere il trantran quotidiano e impostare il mio cervello in modalità riposo, trasformandomi in un soggetto simpatico e rilassato; poi bastano 10 minuti in ufficio per tornare alla consueta modalità squilibrata.
Pensavo proprio a questo curioso fenomeno venerdì 22 agosto, a Trento, nel bel mezzo del pomeriggio, sorseggiando una bionda davanti a questo spettacolo qui:

Trento - Piazza del Duomo
Piazza del Duomo è uno di quei posti che ti aprono il cuore e ti permettono di respirare con il diaframma senza pensarci (roba che il fisioterapista pagherebbe me, pur di smettere di ripetere “inspira come si deve!”). Sarà il candore degli edifici incorniciati dai monti in una giornata dal cielo terso a rendere gli abitanti così tranquilli.
Sarà la frescura proveniente dalla fontana del Nettuno a far muovere le persone e le bici più lentamente. Sarà che siamo ad agosto e l’estate mette di buonumore. Ma perché, mi chiedo, quando vengo in queste cittadine senza cartacce per strada, in queste cittadine tutte raccolte intorno ad una piazza, un duomo e una fontana, la gente sembra così sorridente? Perché qui le signore con le buste della spesa e i signori con lo zainetto con pc si muovono lievemente senza avere quel muso perennemente ingrugnito che caratterizza noialtri che gravitiamo intorno alla Capitale? Sono io che nel mood ferie osservo il mondo con occhi diversi oppure è il mondo ad essere diverso?    


Il giorno successivo al nostro arrivo è iniziato con pioggia e cielo grigio. Trento, anche  in versione malinconica, conserva intatto il suo fascino.
Ho fatto un salto in biblioteca. Tanta gente di età diversa. Tutti i divanetti occupati. Qualcuno lavora, altri leggono il giornale, i più sono sprofondati in libri che forse porteranno a casa. Il coniuge dice che sono fissata con il fatto che su al Nord le persone leggano di più. “Tu confronti piccoli realtà con una biblioteca di una città media”. Avrà ragione lui… Però, ripensando ai miei anni capitolini, non ricordo altrettante persone in un sabato mattina di fine agosto, pioggia inclusa, in una biblio di Roma. Ma è risaputo che ho la memoria corta.
Troviamo rifugio al Castello del Buonconsiglio, particolarmente affollato, dove c’è una bella mostra di Dosso Dossi, pittore rinascimentale ferrarese, arrivato a Trento nel 1530. Spettacolare la vista di Trento gocciolante dall’alto delle Torri. Uscendo, ci fermiamo a pranzo qui: atmosfera d’altri tempi, luci soffuse (quasi buio, per dirla tutta), canederli al puzzone di Moena (puzzerà pure ma quanto è buono!), innaffiati con un buon teroldego.
Sarà stato il vino o forse il dolce a richiamare il primo spiraglio di sole. Ad ogni modo, dopo un po’ sembrava non avesse mai piovuto.
Vista da Doss Trento
Siamo entrati in tutte le chiese del centro, abbiamo visto qualche esposizione temporanea ma ciò che più mi ha colpito è stato il Mausoleo di Cesare Battisti a Doss Trento, il colle che sorge sulla riva destra dell’Adige.
Noi ci siamo arrivati inerpicandoci tra le case di Piedicastello (un quartiere periferico alle porte di Trento) e percorrendo il sentiero pedonale immerso nel verde. 

All’interno del Mausoleo, dalla forma circolare, vi è l’altare su cui poggia l’area tombale commemorativa a Cesare Battisti e, alle pareti circostanti, sono esposte foto, ritagli di giornale, epistole che ripercorrono la storia di Battisti nonché le vicissitudini di Trento verso l’agognata annessione al Regno d’Italia.


Ci tenevo a visitare il Mausoleo dopo aver “conosciuto” Cesare Battisti attraverso le parole della Gruber. Mi è stato presentato come sostenitore dei diritti della nazionalità italiana nell’impero austro-ungarico, irredentista e, pertanto, “welschen traditore” agli occhi dei sudtirolesi di nazionalità e lingua tedesca. Probabilmente, ancora oggi nei dintorni di Bolzano, qualcuno considera quest’uomo un traditore. Ma a Trento è un eroe.
Cesare Battisti, nato a Trento nel 1875,  è stato un giornalista, un socialista, un convinto irredentista italiano, un fine studioso formatosi presso le università di Graz, Vienna e Firenze; attento, sin da adolescente, alle condizioni della popolazione trentina, alla crisi dell’agricoltura, al mancato sviluppo industriale. Pubblicò numerosi saggi scientifici dedicati al territorio trentino; fu consigliere comunale a Trento, deputato al Parlamento di Vienna e alla dieta di Innsbruck e, sì, combatté fin dai tempi dell’università per l’indipendenza delle province italiane dall’Impero austro-ungarico. 


Era così convinto delle sue idee che, con lo scoppiare della Grande Guerra, si arruolò volontario negli Alpini nelle fila dell’Esercito italiano. Catturato vicino a Rovereto fu processato a Trento per alto tradimento in quanto cittadino austriaco che aveva voltato le spalle all’Impero. Chiese di essere fucilato come soldato nemico catturato ma, in quanto cittadino austriaco appunto (e per giunta deputato austriaco), venne impiccato come traditore nella fossa del Castello del Buonconsiglio.
Tanto per capire il tipo, riporto il verbale dettato dallo stesso Battisti durante il processo:
« Ammetto inoltre di aver svolto, sia anteriormente che posteriormente allo scoppio della guerra con l'Italia, in tutti i modi - a voce, in iscritto, con stampati - la più intensa propaganda per la causa d'Italia e per l'annessione a quest'ultima dei territori italiani dell'Austria; ammetto d'essermi arruolato come volontario nell'esercito italiano, di esservi stato nominato sottotenente e tenente, di aver combattuto contro l'Austria e d'essere stato fatto prigioniero con le armi alla mano. In particolare ammetto di avere scritto e dato alle stampe tutti gli articoli di giornale e gli opuscoli inseriti negli atti di questo tribunale al N. 13 ed esibitimi, come pure di aver tenuto i discorsi di propaganda ivi menzionati. Rilievo che ho agito perseguendo il mio ideale politico che consisteva nell'indipendenza delle province italiane dell'Austria e nella loro unione al Regno d'Italia. »

Perché il weekend trentino è stato speciale? Forse perché è stato uno di quei rari momenti in cui ti regali del tempo. Tempo per leggere con calma, per riflettere, per camminare, per fermarti in un bel caffè e guardarti intorno, tempo per sederti su una panchina, gustarti un gelato e poi tirar fuori un taccuino e scribacchiare qualche appunto. Quelle piccole cose a cui dovresti dar spazio quotidianamente ma che, se riesci a fare, fai sempre un po’ in affanno, piena di sensi di colpa perché stai togliendo tempo al lavoro, alle pulizie di casa, al pranzo, ai Doveri. Se riuscissi a volermi bene più spesso…