domenica 27 dicembre 2020

Il mio 2020 in libri


Il 2020 è stato l’anno in cui

- ho acquistato pochissimi libri e ho finalmente iniziato a smaltire volumi portati a casa compulsivamente negli ultimi… dodici anni?

- ho ricominciato a leggere anche in digitale (con molta moderazione);

- ho acquistato la mia prima mic card, senza peraltro poterla utilizzare (se non una volta).

Doveva essere l’anno del cambiamento, quello in cui avrei fatto scelte dirompenti e coraggiose, ma sono ancora qui, nel limbo. E non credo d’esser l’unica. Pare sia stato un anno immobile, eppure non ne sono certa: marzo mi sembra lontanissimo, ma ci sono momenti in cui ho la percezione che anche questo 2020, nonostante tutto, mi sia sfuggito tra le mani.

La scelta delle mie letture non è stata condizionata dalle proposte dei gruppi di lettura, programmazioni, condivisioni varie. Ho seguito l’istinto del momento, riscoprendo anche il piacere della lettura in solitaria, senza scadenze “perché con il gruppo c’incontriamo tra due giorni e io sono ancora in alto mare”. Non dico che sia un bene né un male. Dico solo che staccare dalla pianificazione degli incontri di lettura mi ha fatto assaporare romanzi e testi di non fiction che giacevano negli scaffali da tempo. 

Un anno soddisfacente e se dovessi scegliere un solo titolo per ciascun mese direi:

Un romanzo poetico, politico, un po’ favola un po’ realtà. Ho visto Istanbul, pur non essendoci mai stata, ne ho percepito bellezza e contraddizioni, ho respirato l’aria del Bosforo e ho sognato un nuovo viaggio (era gennaio e viaggiare, in fondo, non sembrava così impossibile).

L’ho letto nell’edizione Einaudi e poi l’ho anche ascoltato dalla voce di Paolo Pierobon (Emons Audiolibri): mi sono divertita tantissimo. Era uno di quei titoli che mi ripromettevo di leggere da anni, ma ero troppo terrorizzata. I russi, talvolta, fanno paura. Geniale, irriverente, dissacrante. Uno di quei romanzi che meritano più letture perché so già che ogni lettura sarà una nuova lettura, in cui emergeranno frasi, concetti, riflessioni…

Non so perché sia stata sempre respinta dalla narrativa cinese. Penso dipenda dal fatto che non subisco il fascino dell’Oriente. Non ho mai letto neppure autori molti noti, tipo il premio Nobel Mo Yan.

Yu Hua, con questo breve saggio, mi ha avvicinato alla Cina. Dieci parole per raccontare cos’è stata e cos’è diventata negli ultimi 40 anni. Per gli appassionati, segnalo che la rivista Internazionale dedica alla Cina l’ultimo numero del 2020. Otto racconti selezionati proprio dallo scrittore Yu Hua.

  • Aprile – Una stella incoronata di buio, Benedetta Tobagi (ed. Einaudi).

Ne ho straparlato qui. Resta una delle letture più memorabili del mio 2020.

  • Maggio – Mese corsaro.

Ero entrata in modalità Natalia Ginzburg. Qui.

  • L’estate fredda.

Nel periodo estivo (settembre incluso) ho letto abbastanza. Romanzi piacevoli, diversi tra loro ma niente di esaltante. Tra i più particolari e struggenti direi Perché il bambino cuoce nella polenta di Anglaya Veterani. Qui.

  • Ottobre – Notturno cileno, Roberto Bolãno (trad. Angelo Morino, ed. Sellerio).

Il mese delle camminate pomeridiane intorno ad un lago insolitamente caldo e il mio periodo cileno. Non avevo mai letto nulla di Bolãno, sebbene avessi questo libro da tantissimo tempo (tant’è che lo acquistai nell’edizione della Sellerio. Oggi lo trovate edito da Adelphi).

Chi conosce bene la produzione letteraria di Bolãno mi ha fatto notare che non sarei dovuta partire da Notturno cileno. Lettura inizialmente ostica, un monologo fiume, senza un a capo, periodi lunghissimi in cui si ritrovano i fantasmi di Neruda, di Allende, di Pinochet. Ti distrai un attimo e non riesci più a discernere le ombre dei personaggi veri da quelli inventati. Non so se sia stato il miglior romanzo per approcciare Bolãno. Indubbiamente, ha lasciato il segno.

  • Novembre – Case vuote, Brenda Navarro (trad. Carlotta Aulisio, Giulio Perrone editore).

La madre di Daniel:

Sai che ho fatto un figlio per aver un pretesto per allontanarmi da te? […] Che idea idiota, così idiota che alla fine te ne sei andato davvero.

Non ho mai voluto essere madre, essere madre è il peggior capriccio che possa venir in mente a una donna.

La madre di Leonel:

Quello che non riuscivo a fare era viver senza esser madre. Perché questa fissazione? Be’, perché sì, che c’è di male a voler essere madre, che c’è di male nel voler dare amore?

Un romanzo duro, una pugnalata. 173 pagine sulla maternità, sulla violenza domestica, sulla solitudine, sulle aspettative della famiglia e della società, sulle disuguaglianze e sulle frequenti sparizioni dei bambini in Messico.

Molto consigliato.

E venne il momento del classicone, quello dalla mole spaventosa; quello che puoi non leggere, tanto la storia - bene o male - la conosciamo tutti; quello che faceva dire al coniuge “Non puoi non averlo ancora letto. Di questo passo, finirò per chiedere il divorzio!”

Il coniuge è profondo conoscitore di Dumas e in casa avevamo l’edizione della Mondadori, con la storica traduzione di Emilio Franceschini. Se neppure voi avete ancora letto Il conte, in rete troverete diversi articoli sulla complessa sorte delle traduzioni italiane. Insomma, alla fine ho scelto una traduzione sul testo critico francese stabilito nel 1993 da Claude Schopp.

Dumas mi ha riportato alle letture invernali dell’adolescenza, quelle in cui infilavo la testa sotto il piumone (sono molto freddolosa e la stanzetta della giovane Baba non godeva di temperature caraibiche) e faticavo a spegnere la luce.

Avvinghiata alle pagine per sapere fino a che punto si sarebbe spinta la tremenda vendetta del conte, sono giunta a Natale.

Il coniuge ha vissuto risvegli altalenanti: Lo odio, lo odio!

Chi?

Ma Danglars, ovvio!, chi altri?!

Lo adoro! Così geniale, così saggio…

Ma chi?

Ma come chi? Don Faria, chi altri! Te l’avevo detto che ero ancora nelle segrete del Castello di If…

Sì, va bene, non è il romanzo perfetto: qualche incongruenza qui e là si trova; e sì, nelle pagine finali il delirio di onnipotenza di Montecristo un po’ infastidisce; troppo dramma, troppe smancerie… Epperò Dumas mi ha preso per i capelli e mi ha infilato nella sua storia; per diversi giorni ho lavorato, studiato, fatto cose in attesa di tornare a Marsiglia, Roma, Parigi o su quello scoglio deserto tra la Corsica e l’Elba.

Il coniuge aveva ragione, così come aveva ragione Claudia, che più volte sul suo canale ha dichiarato di essere tornata ai classici grazie al Conte di Montecristo.

 


A questo punto, dovrei elencare i buoni propositi per l’anno che verrà, dire che m’impegnerò ad essere più costante nella scrittura, dichiarare apertamente quali saranno le letture che non posso rimandare ulteriormente etc. etc. etc. Salvo poi seguire l’istinto del momento e mandare tutto all’aria. Quindi, vi risparmierò i buoni propositi.

Mi auguro che stiate tutti bene, che, nonostante tutto, stiate trascorrendo giorni lieti e che il 2021 inizi con il sorriso.

venerdì 27 novembre 2020

Piccola guida tascabile ai mestieri sconsigliabili in letteratura

 


Quando ho bisogno di farmi un regalo, prendo lo zainetto, salgo sul trenino locale e vado a perdermi in qualche libreria. Il regalo non è connesso al numero di libri che forse porterò a casa, bensì al tempo trascorso, senza guardare l’orologio, tra gli scaffali. Talvolta, anche tra una libreria e l’altra. In quelle giornate, non esco per acquistare un libro specifico ma per curiosare tra i volumi di case editrici minori, tra i volumi dell’usato (goduria massima) o tra i generi letterari che frequento meno. A ripensarci oggi, era il piacere della scoperta a farmi cerchiare sull’agenda le date della Fiera della Piccola e media editoria di Roma (quando era più piccola che media), a farmi prendere almeno un paio di giorni di ferie in occasione di un festival letterario o del Salone del libro. Poi c’ho perso il gusto (tutta quella confusione, peggio dell’Ikea nei giorni di maggior splendore), ma ho pure perso contatto con piccole realtà editoriali che è difficile incontrare altrove.

Così, mi sono affezionata a un gruppo di youtuber che, l’ultimo giorno del mese di ogni mese, parlano di una casa editrice indipendente, raccontando la lettura che ciascuno di loro ha scelto. Hanno dedicato il mese di ottobre ad una casa editrice a me totalmente sconosciuta: ABEditore. Il catalogo non è propriamente nelle mie corde, ma sono stata colpita dall’originalità e dall’attenzione per l’oggetto libro e, da buona feticista, ho acquistato due volumetti direttamente dal sito della casa editrice. “Un po’ macabri, no?”, ha commentato il coniuge sfogliandoli. Più ironici che macabri, se li si osserva attentamente.   

Sono due mini raccolte di racconti; per il momento, ho letto questa qui:


Il titolo mi ha tratta in inganno: pensavo di trovare racconti su mestieri attinenti all’ambito letterario, tipo lo scrittore, l’editore, il copista…In realtà, i racconti riguardano contesti lavorativi insoliti, avvolti da un alone di mistero. Gli autori sono tutti celebri; i traduttori, invece, sono giovani e poco noti.


Non avevo mai letto nulla di Théophile Gautier, né di Joseph Sheridan Le Fanu, anzi, per dirla tutta, non sapevo neppure chi fossero. Eppure, i loro sono stati i racconti che più ho apprezzato, insieme alle atmosfere del sempre magistrale Arthur Conan Doyle. Quel brividino che ti percorre la schiena sebbene sia ovvio che ciò che stai leggendo non può essere vero: il Diavolo non giocherà mai a fare l’attore, i fantasmi non esistono e i morti non tornano indietro per vendicarsi! Forse...

Una lettura piacevole anche per chi non è attratto dal romanzo gotico.


giovedì 15 ottobre 2020

Di pregiudizi e nuove scoperte. Il giorno in cui incontrai il graphic novel

 

Ho scoperto di avere una serie di preconcetti difficili da accantonare. Dico davvero. Non posso leggere più libri contemporaneamente, i libri per ragazzi non fanno per me, graphic novel giammai, booktuber vade retro…

Non che avessi letto chissà quanta narrativa per ragazzi e graphic novel prima di decidere di starne alla larga. Né avevo esplorato i numerosi canali YouTube in cui si parla di libri, prima di decidere di snobbarli. Li snobbavo e basta.

Nel famigerato periodo del lockdown, cercando idee in rete, ho iniziato a guardare qualche video dei bookinfluencer più seguiti in Italia (tema su cui, a periodi alterni, si torna a fare sterile polemica). Snervanti. Mi sono anche chiesta come riuscissero a pagare l’affitto con quel lavoro lì.

Poi, però, ho scoperto i canali di persone più normali. Gente che nella vita fa altro, ma che ha una gran passione per la lettura e ne parla su YouTube con spontaneità, senza troppi fronzoli, affiliazioni, marketing spinto. Quello che in fondo faccio io su questo blog. Ma loro ci mettono anche la faccia. 

Da mesi, seguo con piacere i canali di quattro ragazze molto diverse l’una dall’altra, dai gusti eterogenei e spesso diversi dai miei. Eppure, riescono sempre ad incuriosirmi. È stato l’entusiasmo di Laura - La libreria dietro l’angolo - a farmi acquistare d’impulso Là dove finisce la terra. Io che fino a dieci giorni fa possedevo solo uno straordinario graphic novel (dalle illustrazioni magnifiche), regalatomi da un caro amico, e nient’altro, ho scoperto improvvisamente un nuovo mondo meraviglioso.

Per la neofita, il primo problema è stato: ma graphic novel è maschile o femminile?

Vi lascio all’articolata riflessione dell’Accademia della Crusca. Dal punto di vista linguistico, sarebbe preferibile l’opzione maschile (perché novel significa romanzo), però l’espressione è largamente utilizzata al femminile. Insomma, fate voi. Io opto per il maschile.

I miei sciocchi pregiudizi avevano offuscato le potenzialità e la versatilità della forma graphic novel: le illustrazioni possono raccontare un periodo storico, un contesto politico, uno scenario di guerra, episodi di stretta attualità. Possono anche trattare temi divertenti e d’intrattenimento. Ma non esclusivamente quelli. Grande scoperta, direte voi, che vi siete innamorati del graphic novel sin dai tempi di Persepolis. Ma io vivevo nell’ignoranza e, da un rapido sondaggio, ho capito di non esser la sola.

Fine della premessa.


Ascolto Laura. Si spertica in lodi per questo gioiellino che è Là dove finisce la terra. “Se non conoscete la storia del Cile, dal dopoguerra all’elezione di Salvador Allende, non potete lasciarvelo sfuggire”.

Mumble mumble.

Il libro è pubblicato in Italia da add editore, casa editrice torinese dal catalogo interessante per l’attenzione ai temi di attualità, all’Asia, alle biografie. Ho già acquistato e letto altro pubblicato da loro. C’è da fidarsi.

Ordino direttamente sul sito della casa editrice (5% di sconto e spedizione gratuita con corriere espresso). Leggo il libro in un weekend di pioggia e so di dover ringraziare Laura.


Pedro Atías, figlio dello scrittore socialista Guillermo Atías, nasce in Cile, a Santiago, nel 1948. Suo nonno, Antonio Atías, aveva lasciato il Libano agli inizi del Novecento, alla ricerca di una vita migliore e aveva messo radici Là dove finisce la terra.



Pedro cresce in una famiglia che crede nel cambiamento, negli ideali democratici e nelle idee del partito socialista; una famiglia che non tollera l’egemonia statunitense sui paesi dell’America Latina e che guarda con simpatia alla Cuba di Fidel.

Pedro è un idealista (una bella parola, piena di idee e ideali), ama la letteratura, la musica, il teatro; è tra i fondatori di una compagnia teatrale che mette in scena opere d’avanguardia. Siamo ancora in piena guerra fredda, ma il Cile è stanco dei governi di destra che, quando non governano direttamente, lo fanno attraverso esponenti di una finta Democrazia cristiana. Il Cile è pronto al cambiamento. E, nel settembre del 1970, a vincere le elezioni è il socialista Salvador Allende.


“Una vittoria di mille giorni.

Mille giorni belli come una tempesta in mare”.

Tre anni dopo cambierà tutto. Poi, per Pedro, arriverà l’esilio in Francia. Altri anni dopo ancora, nel 2013, arriverà l’incontro tra Pedro Atías, Désirée Frappier (scrittrice) e Alain Frappier (disegnatore). Da quella serata di Capodanno nascerà un’amicizia e questo graphic novel, a cui farà seguito un secondo volume (Il tempo degli umili, Cile 1970 – 1973, in preparazione).

In Là dove finisce la terra c’è la storia di Pedro e della sua famiglia, c’è un pezzo di storia del Cile, inevitabilmente collegato ad un pezzo di storia contemporanea mondiale. Perché dal 900 in poi è impossibile raccontare la storia di un paese isolandolo dallo scenario internazionale.

Illustrazioni in bianco e nero di grande impatto (il nero delle ultimissime pagine è indelebile). Il libro mi è piaciuto moltissimo. L'avevo già detto?

Qui trovate le impressioni di Federica (non c’eravamo messe d’accordo. Ma Federica ha una naturale inclinazione verso L’America Latina. Non poteva sfuggirle questo titolo!).


sabato 10 ottobre 2020

Appunti di lettura

Non sono caduta in un buco nero. Ho fatto cose, ho sentito gente; ci sono state anche giornate in cui non so bene cosa abbia fatto. Capita anche a voi di arrivare a sera con la sensazione d’aver sperperato tempo rimuginando su banalità o su frecciate velenose che vi hanno prosciugato la dose giornaliera di energia? A me succede con una certa frequenza. Starò invecchiando… 

Nell’ultimo mese, ci sono state anche cose belle ma, come spesso accade, se non ne scrivo subito la quotidianità prende il sopravvento e mostre, pensieri, passeggiate, libri si perdono per strada. Però, sì, un paio di cose interessanti le ho lette. 


Perché il bambino cuoce nella polenta, di Aglaja Veteranyi, traduzione di Emanuela Cavallaro, Keller editore. 

Uno di quei libri che t’incuriosiscono sin dalla newsletter della casa editrice. Fosse solo per il titolo. Aglaja Veteranyi nasce a Bucarest nel 1962, in una famiglia dedita all’arte circense. Il circo sarà un’ottima via di fuga per lasciare la Romania e girare per il mondo tra uno spettacolo e l’altro prima di approdare in Svizzera.  

Qui ogni paese è all’estero. 

Il circo è sempre all’estero. Ma nella roulotte c’è casa. Apro la porta il meno possibile perché casa mia non evapori. Le melanzane arrostite di mia madre profumano ovunque come a casa, non importa in che paese siamo. Mia madre dice che all’estero si trovano molte più cose del nostro paese, perché tutto il cibo del nostro paese viene venduto all’estero. […]  

Conosco il mio paese dall’odore. Profuma come la cucina di mia madre. 

Tutto scritto in prima persona, con la leggerezza di una bambina. Una bambina che sa intenerirti quando racconta l’angoscia che prova durante gli spettacoli della mamma, la donna dai capelli d’acciaio. Sta appesa per i capelli alla cupola e fa giochi di abilità con palle, anelli e fiaccole infuocate. 

Una bambina che ti fa sorridere con le sue ingenuità; una bambina che ti spezza il cuore per il modo in cui ti racconta l’adolescenza di chi vive d’espedienti, alla ricerca della propria identità e di un posto in cui sentirsi a casa.  

Si legge in un soffio, ma non è un romanzo leggero. 

N.B.: Ho acquistato il romanzo sul sito della Keller; ho pagato con bonifico, spedizione con corriere gratuita; romanzo ricevuto in meno di 48 ore. Per dire che non esiste solo Amazon prime.   

 


1948 di Yoram Kaniuk, traduzione di Elena Loewenthal, Giuntina. 

Ha preso polvere nella mia libreria per qualche anno. L’avevo acquistato d’impulso ad un Salone del Libro di Torino, dopo una presentazione in cui Elena Loewenthal raccontava la sua esperienza di traduttrice dall’ebraico e presentava alcune opere significative della casa editrice Giuntina. Si era soffermata sulla personalità irriverente e geniale di Yoram Kaniuk, scrittore ebreo, nato nel 1930 in Palestina, quando Tel Aviv non era ancora in Israele. Insomma, un sabra, come ho appreso leggendo 1948 

Romanzo autobiografico scritto molti anni dopo quel 1948, quando Kaniuk, insieme ad altri ragazzi della sua generazione, fondarono uno Stato perché gli altri ci facessero il servizio militare. 

Dopo il primo massacro a Hulda sapevo della guerra più dei miei superiori. Perché bisogna essere dei giovani pazzi per combattere una guerra suicida per qualcuno che non sai chi sia e per qualcosa che non hai la più pallida idea di cosa sia. Solo dopo la guerra abbiamo scoperto, e non sempre con simpatia, che avevamo fondato uno Stato per dei morti che non ci avrebbero mai vissuto. 

È un libro duro, molto ironico e fare ironia su una guerra che hai combattuto a 17 anni è spiazzante anche per il lettore. Per me è stato così destabilizzante da doverlo ricominciare daccapo un paio di volte. Ho messo da parte tutte le idee che mi ero fatta sulla nakba e la fondazione dello Stato di Israele e sono finalmente entrata nella scrittura di Kaniuk e nei suoi ricordi di quel 1948. 

Tu pensi e un attimo dopo ricordi solo quello che vuoi. Avevo diciassette anni e mezzo, ero un bravo ragazzo di Tel Aviv finito in mezzo a un bagno di sangue. Sto cercando di pescare me stesso da dentro quel che mi pare siano ricordi. 

Traduzione di Elena Loewenthal magistrale.  




Maschiaccio e Femminuccia, di Silvia Pillin, edizioni EL. 

Considero Silvia un’amica, anche se non ci siamo mai incontrate di persona. Ha un blog che seguo assiduamente; mi piacciono i suoi post sintetici, informali, spesso ironici. Prendo nota dei suoi consigli di lettura perché, prima di essere una scrittrice, Silvia è una lettrice onnivora e bisogna sempre dar retta a chi ne sa.  

Maschiaccio e femminuccia è un libro per ragazzi; i protagonisti principali sono Caterina, capello corto e una straordinaria passione per il calcio, e Riccardo, il Bullo della classe; grosso, enorme, dall’odore tutt’altro che piacevole (tipo di carne putrefatta). 

La dura vita della quinta elementare, quando inizi a percepire che sei diverso da ciò che gli altri si aspettano tu sia. E fai di tutto per nasconderlo.  

Non sono una lettrice di libri per ragazzi, quindi non ho termini di paragone. So che a me questo libretto ha fatto sorridere, ma mi ha fatto anche riflettere. La scuola media è stata un inferno. Non per la scuola in sé, ma per la capacità che hanno i ragazzini di isolarti e fare battutine perfide solo perché non indossi quel paio di jeans, non hai ancora le tette come le compagnette più popolari (non che con gli anni la situazione sia migliorata), non puoi andare in piazzetta il pomeriggio. Passano gli anni, cambiano i parametri ma fare i conti con il conformismo sin dall’adolescenza resta un lavoraccio. 

 


La vegetariana, Han Kang, traduzione di Milena Zemira Ciccimarra, Adelphi edizioni. 

Man Booker International Prize nel 2016. Avevo acquistato l’ebook incuriosita dal titolo, dal premio, dall'entusiasmo delle recensioni, dalla certezza che l’Adelphi non mi deluderà mai. 

Inquietante.  

Yeong – hye è una donna anonima, anzi, per dirla con le parole del marito, del tutto insignificante.  

Né alta né bassa, capelli a caschetto né lunghi né corti, colorito itterico e malaticcio, zigomi un po’ sporgenti […] Tuttavia, pur non avendo attrattive speciali, non presentava nemmeno particolari difetti, e quindi non ci fu ragione di non sposarci. 

Quando si dice un colpo di fulmine. 

A ben vedere, c’è una stranezza in questa ragazza scialba: non le piace portare il reggiseno. A parte ciò, gestisce diligentemente tutti i doveri della buona moglie: è un’ottima cuoca, lava, stira, prepara la colazione, non infastidisce il marito in alcun modo, non sporca. Fino a quando, una mattina, svuota il congelatore, infilando in un sacco della spazzatura manzo, maiale, pollo, pesce e poi uova, latte... 

«Ma sei matta? Perché diamine stai buttando tutta questa roba?». 

[…] 

«Ho fatto un sogno». 

Non è la storia di una tizia che, improvvisamente, decide di diventare vegana e di stravolgere le convinzioni del marito. Le scelte alimentari di Yeong – hye, la sua crescente insofferenza verso gli abiti sono il frutto di un percorso mentale tortuoso. Mentre la pelle di Yeong – hye cerca la luce e il calore del sole, mentre il suo corpo rifiuta il cibo, ogni suo gesto e ogni suo silenzio determinano una frattura con il mondo che la circonda. Le conseguenze saranno irreparabili. 

Ho cercato risposte alle mie domande una pagina dopo l'altra, ma tutto il romanzo è rimasto un punto interrogativo. Un romanzo destabilizzante, che non credo d’aver capito; eppure, non son riuscita a togliermelo dalla testa per giorni. C'è voluto un po’ prima di riuscire a concentrarmi di nuovo su una lettura diversa. 

Qualcuno di voi l’ha letto? Impressioni? 


Domani è prevista pioggia. Divano e graphic novel