giovedì 26 febbraio 2015

Elizabeth von Arnim

Le camere da letto e due salotti di San Salvatore erano al piano superiore, e si affacciavano su un salone spazioso, delimitato a nord da un’ampia vetrata. San Salvatore era ricco di giardinetti disposti un po’ dovunque e su diversi livelli. Il giardino su cui guardava questa vetrata era ricavato nella parte più alta delle mura, ed era raggiungibile soltanto attraverso il corrispondente atrio del piano inferiore. Quando Mrs Wilkins uscì dalla sua stanza, questa finestra era spalancata, e al di là di essa, al sole, vi era un albero di Giuda in fiore. Non c’era segno di vita, non un rumore, né voci o passi. Sul pavimento di pietra vi erano mastelli pieni di calle, e su un tavolo splendeva un grosso mazzo di nasturzi. Questo grande spazio fiorito e silenzioso, delimitato da quell’ampia finestra che si apriva sul giardino, con l’albero di Giuda di una bellezza irreale nella luce del sole, sembrò a Mrs Wilkins, che si fermò mentre stava andando da Mrs Arbuthnot, troppo bello per essere vero. Davvero avrebbe trascorso un mese intero in un posto simile?
Traduzione di Luisa Balacco, Bollati Boringhieri, Collana Varianti

Ricetta veloce veloce per riflettere sul ruolo della donna all’interno di una coppia. Prendete quattro donne inglesi di inizio Novecento, accomunate dall’essere spente e insoddisfatte, mettetele a soffriggere in un delizioso castello medievale vista mare in località San Salvatore, Liguria, isolandole da coniugi, spasimanti, mariti defunti. Mescolate delicatamente per evitare che le quattro personalità, troppo diverse l’una dall'altra, si attacchino ai lati del contenitore, pur di appropriarsi di uno spazio tutto per sé. Coprite il composto e andate a fare shopping. Al ritorno scoprirete che gli sguardi cupi sono scomparsi, le quattro si sono facilmente amalgamate e la vita di coppia da cui erano fuggite si è trasformato in idillio. L’amore che vince su ogni cosa e la donna che in un modo o nell’altro trova la felicità tra le braccia di un uomo.

Se non siete ancora sazie ed avete voglia di un’altra cosetta leggera, potete sempre prendere una deliziosa fanciulla inglese d’inizio Novecento, minuta, elegante, con le fossette e gli occhi ridenti, con un’insolita voglia d’indipendenza (marito? Matrimonio?Giammai!), farle morire uno zio in modo da ereditare una bella tenuta in Pomerania. Lontanuccia da Londra, sì. Tedeschi, vero. Ma ciò che conta è aver acquistato l’indipendenza per… Per poter dissipare la fortuna ereditata ospitando gratuitamente una cerchia di donne, accuratamente selezionate, che hanno patito atroci sofferenze (tipo aver un figlio che spende e spande senza ritegno) e garantir loro una vita agiata senza dover lavorare. Peccato che le bisognose si mostreranno ingrate e che la benefattrice scoprirà che un compagno da amare appaga più dell’indipendenza e di progetti bizzarri.
A fine pasto vi sentirete leggere, perché le portate non erano impegnative, e avrete ritrovato il buonumore.
 Giunte a ventiquattro anni, quasi tutte le ragazze che avevano debuttato in società assieme ad Anna si erano ormai sposate, e a lei pareva di essere il fantasma di una generazione precedente rimasto a infestare le sale da ballo. Infastidita da quella sensazione, si era irrigidita diventando sempre più inavvicinabile; fu allora che cominciò a inventare scuse per eludere buona parte degli inviti ai ricevimenti e a ostentare austerità di abito e acconciatura. Susie era più esasperata che mai. «Non riesco proprio a capire perché sei tanto determinata a mostrarti nella luce peggiore» aveva detto con rabbia quando Anna si era rifiutata caparbiamente di cambiare pettinatura.
       «Mi sono stancata di essere frivola» aveva risposto Anna. «Hai un’idea di quanto tempo ci vuole per fare tutte quelle onde? E sai bene quanto parla Hilton. Ora per sistemarli bastano due minuti, e in più mi risparmio le sue chiacchiere». «Però così sei insignificante» aveva ribattuto Susie. «Non sembri neanche più tu. Ora l’unica cosa che la tua migliore amica potrebbe dire di te è che hai un’aria pulita».
       «Beh, non mi dispiace affatto» aveva risposto Anna, e aveva continuato imperterrita ad andare in giro con i capelli tirati ordinatamente dietro le orecchie; l’immediata conseguenza era stata la proposta di matrimonio di un ecclesiastico.
       Peter Estcourt era persino più stupito di sua moglie che Anna non avesse ancora trovato un buon partito. D’accordo, sua sorella non aveva denaro, ma era molto attraente e di buona famiglia, dunque non doveva essere poi un’impresa così difficile. Desiderava con tutto il cuore vederla al più presto felicemente sposata; le voleva bene e sapeva che lei e Susie, neppure mettendocela tutta sarebbero mai diventate grandi amiche. E poi ogni donna doveva avere una casa tutta sua, un marito e dei figli.

Traduzione di Simona Garavelli, Bollati Boringhieri, Collana Varianti


Mary Annette Beauchamp, alias Elizabeth von Arnim, figlia di un mercante inglese, nacque in Australia ma si trasferì prestissimo in Inghilterra. A venticinque anni Elizabeth sposò il conte tedesco Henning August von Arnim, conosciuto durante un viaggio in Italia. Scelta non troppo felice visto che il matrimonio fu caratterizzato da liti, tradimenti e difficoltà finanziarie appianate dai proventi dell’attività letteraria di Elizabeth. L’autrice, al pari delle protagoniste dei suoi romanzi, era minuta, spiritosa, elegante, “la donna più intelligente dell’epoca” la definì H.G. Wells che, non a caso, la scelse come amante (non l’unica, of course).
Sia in Un incantevole aprile che ne Il circolo delle ingrate si trovano molti riferimenti biografici. Ho letto che la Von Arnim fu femminista a sua insaputa: certamente fu una scrittrice ironica, si divertì nel descrivere una società superficiale, ancora legata ai titoli nobiliari e alle apparenze. Una società in cui la donna doveva essere bella, ben educata e sottomessa, al fine di accaparrarsi un buon partito, sposarlo ed essergli devota vita natural durante. Le donne della Von Arnim sono spesso spiriti ribelli e anticonformiste che alla fine trovano pace tra le braccia di un uomo. Però non la si deve leggere come una sconfitta o una rinuncia alla propria indipendenza, si percepisce una diversa consapevolezza della donna che compie una libera scelta, dettata dai propri sentimenti, senza arrendersi alle regole imperanti.   
Ho letto solo tre dei ventuno romanzi scritti dall’autrice: la sensazione è che siano tutti un po’ simili. Eppure sono un ottimo rimedio per quelle giornate che iniziano storte e sembrano non poter migliorare.


   

lunedì 16 febbraio 2015

Il libro dell’amore perduto, Lucy Foley

Mi sa che se continuo ad essere così critica, i tipi della Neri Pozza mi inviteranno educatamente a lasciare il loro book club.  Il fatto è che quando mi precipitai ad inviare la mia candidatura, avevo in mente letture straordinarie. Storie che mi avevano fatto sorridere; esagerate file alla Posta perché, presa dalla lettura, avevo dimenticato di guardare il display perdendo il turno; giorni in cui mi sarei data malata in ufficio pur di restare a casa a leggere (vabbè, questa qui forse non vale perché, se non fosse per lo spiccato senso del dovere e la necessità di soldi, mi darei malata quotidianamente). Insomma, felice di essere stata scelta dalla redazione della Neri Pozza, prefiguravo letture brillanti e situazioni tipo “Ho appena finito un libro fighissimo. Eh no, mi spiace, non lo trovi ancora in commercio perché noi del book club lo leggiamo in anteprima. Però appena esce ti consiglio di passare in libreria”.  Così, ci son rimasta parecchio male nel sentire la mia voce sbuffare un: “Ho appena finito un libro della Neri Pozza, uno di quei libri che noi del book club leggiamo in anteprima. Una noia…” 
Il libro dell’amore perduto si aggiudica il premio del romanzetto più noioso tra quelli letti nell’ultimo anno. Già il titolo non lasciava ben sperare, però mi si sono aggrappata all’originale (The Book of Lost & Found, meglio no?). Neanche la copertina mi entusiasmava, ma la scheda messa cortesemente a disposizione dalla casa editrice proclamava che per l’acquisizione dei diritti “Neri Pozza vince l’asta in Italia anche grazie a un’appassionata lettera inviata all’autrice”.  
La lettera inviata dalla direzione della casa editrice italiana all’agente incaricato recitava: IL LIBRO DELL’AMORE PERDUTO è una bellissima storia d’amore di una coppia che si ama profondamente, ma che viene separata dagli eventi e dalle aspettative rigide delle proprie famiglie.
Ci è piaciuto moltissimo che gli eventi muovono tra Londra, New York, Parigi, Venezia e la Corsica, rendendola una storia d’amore che attraversa i confini di luogo e tempo, parlando di ciò che avrebbe potuto essere.
Come dice Alice alla fine del romanzo, non è la storia d’amore felice che tutti vogliono sperimentare, ma è senza dubbio il racconto appassionante di due persone innamoratissime, sfidate dalle circostanze storiche e un codice morale molto rigido. Questo è un aspetto che noi europei comprendiamo molto bene. Lo vorremmo sottolineare, perché a volte manca nei romanzi americani, dove gli autori aspirano fin troppo spesso al lieto fine.
Ovviamente, di fronte a cotanto entusiasmo, le mie aspettative aumentano. Dopo un inizio tutto sommato brillante, intorno a pagina 60 capisco che un pezzo di lieto fine ci sarà. Comprendo, inoltre, che:
- Al momento, la fotografia tira parecchio: da ottobre a febbraio è venuta fuori in 2 romanzi su 5;
- Anche nella sfiga (essere mollati davanti ad un istituto religioso appena nati, una guerra mondiale, il campo di concentramento, un aereo che precipita e tu sei proprio là sopra) si può essere molto fortunati. Molto americano;
Si è quasi sempre bellissimi, si ha sempre uno sguardo intenso, cadono dal cielo eredità milionarie, si nasce sempre con qualche dono speciale, che sia la danza, la pittura o, magari, la fotografia. E si diventa inevitabilmente celebri. Se non è pura felicità è una condizione da non disprezzare. Il miracolo americano, pure se vivi in Europa.
Un intreccio amoroso piatto, nessuna sorpresa, frasi banali, tanti luoghi comuni. Il libro lo leggi ma ti senti come quando, per mantenere i rapporti di buon vicinato, inviti la coppia della porta accanto. Dopodiché non fai altro che sbirciare l’ora chiedendoti perché diamine tu voglia essere sempre amichevole e cordiale con tutti.

Va detto che in questi giorni sono sull’acido andante. A qualcuno il libro è piaciuto, l’avrebbe scelto anche come regalo per San Valentino. Boh, sarà che io non lo festeggio da anni…    

trad. Massimo Ortelio, Neri Pozza, I narratori delle Tavole

martedì 3 febbraio 2015

Elena Ferrante – Storia della bambina perduta

I casi letterari non mi affascinano. Ne parlano tutti, riempiono le vetrine, escono in prossimità del Natale, sono l’acquisto perfetto di chi non sa cosa mettere sotto l’albero: “Sa, la mia amica legge molto. No, non so che genere le piaccia. Ah, la Ferrante? Non so chi sia, ma se lei dice che può andar bene, prendo questo. Al massimo, se ce l’ha già, lo regalo a qualcun altro”.
Passata la grande abbuffata, mi avvicino anch’io al libro tanto venduto. E a volte finisco per elogiarlo. È quanto accaduto con L’amica geniale della misteriosa Elena Ferrante.
2013, Fiera della Piccola e media editoria di Roma, davanti allo stand della casa editrice e/o vengo presentata ad una lettrice vorace che sta saccheggiando lo stand. È uscito da pochi giorni il terzo volume della saga di Elena Greco e la lettrice mi guarda esterrefatta: “Ma come? Non hai letto ancora nessuno dei volumi dell’amica geniale? Devi comprarlo assolutamente.”
Finisce che leggo i primi tre volumi uno dietro l’altro, sedotta dalle vicende di Lila, Lenù e da tutti i volti che popolano il “rione” di Napoli. I giardinetti, le case anguste, le pareti scrostate, le panchine sgangherate, la pompa di benzina, il bar-pasticceria. Pagina dopo pagina, il rione assume nuove sembianze: Nino è sempre più fascinoso, i Solara sempre più potenti, Elena sempre più colta, Lina sempre più donna. Si passa da un traffico all’altro, dall’usura alla ricettazione, arrivano l’informatica, la droga, i nuovi partiti politici con i vecchi volti. Cambia tutto e tutto resta uguale. Il rione racchiude il degrado, il malaffare, la miseria e gli intrighi. Amori violenti, inganni, passioni, amicizie indissolubili, ipocrisia. Un condensato di vita, nel bene e nel male. Solo tinte forti, nessun colore pastello.
Alla fine del secondo volume mi passa la sbornia; il terzo già mi sembra più fiacco. Senza l’ansia della Ferrantefan in crisi d’astinenza, posso attendere che i miei bibliotecari preferiti (e non lo dico solo perché frequentano questo blog ma perché sono simpatici davvero) mi mettano da parte l’ultimo volume della serie. Con Storia della bambina perduta ripiombo nella magica scrittura della Ferrante e per tre giorni mi dimentico del lavoro, degli allenamenti, delle incombenze casalinghe. 
Guardo le copertine di questi libri popolati da donne ritratte di spalle, senza volto, e mi chiedo quanto l’anonimato in cui si è trincerata la Ferrante possa aver inciso sul successo della storia. Strategia di marketing? Forse. Soprattutto negli ultimi mesi si è certamente (s)parlato più dell’alone misterioso che circonda l’autrice che della potenza dei suoi libri (autrice? No, dietro la Ferrante si nasconde Starnone. Romanzi così posso essere scritti solo da un grande scrittore. Maschio. Ma quale Starnone! La Ferrante è la di lui consorte, che per giunta è pure consulente della e/o).
Io mi son fatta un’idea. Dietro Elena Ferrante si nasconde una donna matura, di origini campane, che non vive più in Italia. Banalmente, mi piace pensare che la Ferrante altri non sia che Elena Greco, protagonista del romanzo. Stanca del rione si è finalmente trasferita altrove e con il distacco che la distanza riesce a dare, ha romanzato la sua vita. Non può essere Starnone, come non può essere un maschietto. Uno scrittore, per quanto potente, non può sviscerare i pensieri, le ossessioni, il mondo interiore dell’universo femminile in modo così magistrale. Che smacco se scoprissi che un uomo sa descriverci così bene.
Comunque, autore misterioso o meno, la saga di L'amica geniale l’avrei letta ugualmente, non perché imprescindibile, ma perché ha il raro dono di catturarti e trascinarti altrove, fermando lo scorrere dei minuti.


 Elena Ferrante, Storia della bambina perduta
(L’amica geniale, quarto e ultimo volume)

Edizioni e/o, Collana Dal mondo.