giovedì 15 agosto 2019

La simmetria dei desideri


In principio fu Marilena. Erano i lontani tempi del Neri Pozza bookclub e serpeggiavano i primi malumori sulla gestione poco chiara del gruppo da parte della casa editrice. Eravamo al baretto e manifestavamo le nostre perplessità. Qualcuno già pensava di abbandonare il gruppo e di non acquistare più alcun libro della casa editrice come forma di protesta permanente. “Però i tipi di Neri Pozza mi hanno pubblicato La simmetria dei desideri di Eshkol Nevo e io gli voglio bene lo stesso”. Disse proprio così Marilena. Lapidaria. Il tipico sbrilluccichio negli occhi della donna innamorata. Però Marilena è una che s’innamora spesso e i nostri gusti son diversi. Poteva essere un’infatuazione passeggera.  
Poi fu la volta di Amanda, e Amanda non è una che racconta tutte le sue letture. Se scrive d’aver letto un bel romanzo o, come in questo caso, se scrive d’aver letto più d’un bel romanzo dello stesso autore, significa che siamo oltre la passiuncella. Dal secondo post di Amanda al prestito bibliotecario è stato un attimo.

Copia della biblioteca di Rocca Priora
Tutto ha inizio durante la finale dei Mondiali di calcio del ’98, anche se la storia che ci racconta Yuval non ha un vero inizio. Comunque, quattro amici non ancora trentenni s’incontrano per vedere la partita a casa di Amichai, il più assennato del gruppo, quello già sposato, con prole, che vive al centro di Tel Aviv.
Meno male che ci son i Mondiali, così il tempo non diventa un blocco unico e ogni quattro anni ci si può fermare a vedere cos’è cambiato, osserva Yuval.
Sarà capitato anche a voi, no, a chiacchiera con gli amici di sempre, quelli fidati, quelli con cui s’è condiviso tanto, di passare dalla rassegna delle cose fatte insieme al “chissà dove saremo l’anno prossimo a quest’ora”. Ecco, i quattro amici di Haifa, non ancora trentenni, dopo l’ultima partita dei Mondiali del ‘98 appuntano su un fogliettino tre desideri che vorrebbero veder realizzare nell’arco dei quattro anni successivi. I biglietti verranno aperti e letti solo ai Mondiali del 2002. La proposta entusiasma persino Eliana la piagnona, lei che non s’è entusiasmata neanche per il suo matrimonio. Poi, il primo dei tre desideri viene letto seduta stante, però ne restano ancora due.
Potrebbe sembrare solo un gioco eppure ha la sua importanza, non solo per Amichai, che ha proposto l’idea dei bigliettini (sebbene il creativo del gruppo sia Ofir), ma anche per Churcill, il più spavaldo, l’avvocato con lode, e per Yuval, il narratore, l’anima sensibile del quartetto.
Sono fatti così i ragazzi di Haifa. Cioè, scusa, che vorresti dire?

     Be', eccoti la definizione: v'importa l'uno dell'altro. È una cosa un po' antiquata, sai? Oggi non c'è nessuno a cui importa davvero di qualcosa. A parte il danaro.
Dai, questa è una generalizzazione bella e buona. Anche a Gerusalemme c'è qualche persona a cui importa.
Succede solo a quelli di Haifa. Anzi, sai cosa ti dico? In realtà siete solo voi quattro. Il mondo intorno a voi diventa sempre più cinico e violento, e voi mantenete in piedi questa vostra comitiva, in cui v'importa l'uno dell'altro.
Ma questa è proprio la definizione dell'amicizia, no? Un’oasi che ci permette di dimenticare il deserto... o ... una zattera le cui assi si tengono unite. O ... un piccolo staterello circondato dai nemici. Non credi?
Non ne ho idea, ha risposto Yaara. Lo sai che non ho mai avuto amici.
Haifa, Monte Carmelo - Tempio Baha'ì

C’è anche Israele in questo romanzo sull’amicizia: Tel Aviv, una città in cui in piena notte ti può capitare di assistere alla cerimonia dell’hennè; ci sono le terrazze Bahá'ì sul Monte Carmelo; c’è l’Intifada (la prima e la seconda). Ma c’è soprattutto l’amicizia.
Un bel libro. Marilena e Amanda avevano ragione.   

Eshkol Nevo, La simmetria dei desideri (traduzione dall'ebraico di Ofra Bannet e Raffaella Scardi), prima edizione Neri Pozza, 2010. Edizioni successive Beat, Biblioteca Editori Associati di Tascabili. 



martedì 13 agosto 2019

Solo bagaglio a mano


L’altro pomeriggio, mentre guidavo, mi è capitato di ascoltare un’intervista a Paolo Conte, non il cantautore bensì il planetarista e comunicatore scientifico. A poche ore dalla notte di San Lorenzo, Paolo Conte parlava dei cacciatori di meteoriti. Eh già, pare che dagli anni Novanta, parallelamente ai ricercatori scientifici, sia nata la figura del cacciatore di meteoriti free lance; gente che, con un equipaggiamento minimo, si dirige verso il deserto del Sahara (e non solo) alla ricerca di meteoriti, per poi venderle a collezionisti privati e istituzioni museali. Ho scoperto che nel mondo c’è un'umanità variegata disposta ad acquistare una fetta di meteorite (ebbene sì: vengono affettate) e spendere fino a 20mila dollari al grammo per avere un frammento di Luna o di Marte (le più pregiate. Quindi, se vi capita di acquistare una fetta di meteorite, che so io, un paio di etti, a 4/5 mila dollari, non avete fatto un affare ma, come direbbero da queste parti, avete preso una sola, pronunciato con una bella o aperta).
Nantan Meteorite - Oxford University Museum of Natural History
La collezione di meteoriti non è contemplata da Gabriele Romagnoli tra le cose futili che soffocano la nostra esistenza e che ci ossessionano fino a quando non riusciamo a possederle. E se io mi fustigo periodicamente per la mia incapacità di gettare quella maglietta (però, dai, non è così rovinata, posso ancora usarla quando sono a casa), di smetterla d’acquistar libri, di eliminare la tazza sbreccata (ti ricordi che weekend fantastico quando la comprammo?!) … almeno non ho il pensiero di dove collocare la collezione di meteoriti.
Copia della Biblioteca di Ciampino
Anelo alla leggerezza, soprattutto quando si avvicina il momento di preparare lo zaino per un breve viaggio. Eppure, il bagaglio è sempre troppo pesante rispetto alle effettive esigenze. Ultimamente mi sembra che anche la quotidianità si sia appesantita più del dovuto; ma non è facile liberarsi della zavorra. Non ci riuscirò neppure dopo aver letto Solo bagaglio a mano di Gabriele Romagnoli (edito da Feltrinelli), però non credo fosse intenzione dell’autore scrivere un manuale di self-help, né avere l’arroganza di spiegare l’arte di star al mondo per vivere felici. 
Gabriele Romagnoli è uno che ha viaggiato e viaggia molto, che ha abitato in quattro continenti e vissuto in città impegnative come Beirut o Il Cairo.
Traslocare dall’Egitto al Libano solo per avere una diversa prospettiva del Medio Oriente: sicuro che serva a qualcosa? Un cacciavite elettrico serve. Un milione di euro serve, non spostarsi da un luogo ad un altro senza una ragione concreta. Epperò, l’idea di vivere una vita senza appesantirci, senza illuderci; l’idea di scegliere la libertà, di consumare il necessario, di saper perdere cose, di non lasciarsi bloccare dal passato, di osare… non può che affascinarmi. Senza elogiare il pauperismo (come afferma lo stesso Romagnoli), né mitizzare la decrescita o la bellezza del sacrificio. Tutt’altro. Non possedere non equivale ad essere poveri.
È bravo Romagnoli nel toccare i punti deboli dell’uomo contemporaneo (specie se sei già in crisi di tuo), e anche se a tratti appare un po’ banale e non nascondo ci sia qualche frase retorica, è piacevole leggere alcuni aneddoti di viaggio e appuntare titoli per nuove scorribande in biblioteca.
Nel mentre, vado a disfarmi delle magliette che non indosso più. Forse.

martedì 6 agosto 2019

Gli inquilini, Bernard Malamud


Se quella sera Fabietto non fosse arrivato a casa con ben tre regali, non credo avrei letto Gli inquilini. Non subito almeno. Penso che, alla prima occasione utile, avrei acquistato L’uomo di Kiev e suppongo sarebbe rimasto impilato tra i libri da leggere per un paio d’anni, cosa che accade con una certa frequenza ormai. 
Invece, quella sera, prima ancora che leggessi Il commesso, Fabio era arrivato con Gli inquilini dicendo che era un libro bellissimo, che l’aveva catturato beh molto più del commesso, perché qui si parla di scrittura. È intenso, affascinante, diverso; siamo noi e il nostro rapporto con la letteratura.
Non è Bernard Malamud, mi son detta dopo il primo capitolo. Non può essere lo stesso scrittore che mi ha presentato Morris Bober. Lo stile è senza fronzoli, l’atmosfera è cupa ma la voce è diversa, più potente, disperata, senza pietà.
Sono qui, a New York, all’angolo tra la Trentunesima Strada e la Terza Avenue e guardo questo palazzo fatiscente che attende d’esser demolito: un edificio di mattoni sbiaditi, costruito all’inizio del 900, in cui hanno abitato almeno 35 famiglie prima di raggiungere un compromesso con il proprietario, il signor Levenspiel. La maggior parte degli inquilini ha incassato la liquidazione ed è andata via. Harry Lesser no. Gli altri edifici si sgretolano intorno a lui ma Harry non demorde. Bianco, ebreo, scapolo, 36 anni di cui dieci trascorsi cercando di scrivere il capolavoro della vita, il romanzo che lo riscatterà dall’ultima disastrosa pubblicazione. È uno scrittore di professione, un abitudinario: quello che sarà il suo grande capolavoro è stato concepito in quest’appartamento al sesto piano ed è qui che verrà finito. Non c’è dubbio.
La casa è dov’è il mio libro.
Poi, un mattino presto, il silenzio del palazzo viene interrotto dal ticchettio di una vecchia macchina da scrivere.
Il deserto corridoio era deserto.
Si sforzò di ascoltare, e sebbene ascoltasse per non udire, udì lo smorzato ticchettio di una macchina da scrivere, inconfondibile. Gli parve, nonostante la familiarità di quel rumore, di sentirlo per la prima volta in vita sua, sensazione non scevra da un’invidia competitiva. Lui stava da tanto tempo sopra un unico libro – qui c’era forse qualcuno che ne scriveva un altro?
Già, Willie Spearmint, afroamericano, giovane, barbetta a punta, labbra sensuali, occhi gonfi per la concentrazione, niente affatto brutto.
Batte su quella macchina da scrivere come un forsennato; ha bisogno di un luogo in cui rifugiarsi per scrivere il suo primo libro e quel sesto piano di un palazzo fatiscente è il luogo perfetto.
L’inquilino abusivo contro l’inquilino irriducibile.
Per Willie, il bardo della negritudine, la vera arte è la rivoluzione. Pagine che traboccano di contenuto ma prive di forma. Harry, invece, è ossessionato dalla forma, il suo è un continuo lavoro di riscrittura. Forma, forma, forma ma la sostanza sembra scivolar via. Scrive dell’amore senza saper neppure cosa sia.
Malamud contro Malamud, la disciplina contro l’istinto, la scrittura per sopportare la vita contro la scrittura per imporsi nella vita. E, da ultimo, la scrittura che ha il sopravvento sulla vita.


Fabietto aveva ragione: un libro affascinante, non so dire se più bello o più coinvolgente del commesso. Diverso. A tratti irritante, a tratti fuffa, a tratti incomprensibile, a tratti vorresti prendere l’inquilino irriducibile, fargli accettare quella buonuscita e sbatterlo una volta per tutte fuori da quel palazzo. Ma poi chiudi il libro e resti a rimuginare sulla parola pietà.

Bernard Malamud, Gli inquilini (The Tenants), traduzione di Floriana Bossi, minimum fax.