giovedì 30 giugno 2016

Canto della pianura, Kent Haruf



Per essere una cittadina immaginaria, nata dalla mente di un autore semisconosciuto in Italia fino allo scorso anno, Holt in breve tempo è diventato uno dei luoghi più chiacchierati tra gli appassionati della narrativa americana. E la neonata casa editrice milanese NN è diventata tra le più popolari in rete. Forse troppo: improvvisamente sono stata circondata da persone che parlavano solo di Kent Haruf e di NN editore. 
I libri non scadono, quindi, mi son detta, se questo Haruf (deceduto nel 2014) aveva una voce così quieta e luminosa come si narra in giro, il talento resterà immutato anche se non mi precipito subito in libreria. Sicché sono approdata nei pressi di Denver, Colorado, solo la settimana scorsa, mentre la maggior parte degli estimatori della Plainsong Trilogy, avendo letto tutto, era già in crisi di astinenza da Holt.
La luminosità della scrittura di Haruf non si è fatta attendere. Con così tante giornate luminose ho avuto il dubbio che Fabio Cremonesi si fosse fatto prendere la mano con la traduzione di Canto della pianura (arrivato in Italia la prima volta nel 2000 con la Rizzoli e poi dimenticato), aggiungendo un po' di luce qua e là. Invece no, anche il testo originale (Plainsong) è costellato di bright.
Finisco di leggerlo, mi piace ma non so spiegare il perchè. Allora, con la vecchia fattoria dei fratelli McPheron nella testa, mentre i piccoli Ike e Bobby consegnano con le loro biciclette le copie del Denver News, imbocco una stradina secondaria e inizio a correre. L’erba è cresciuta a dismisura, il sole abbagliante rende il percorso più incerto. Non è Holt ma non riesco a descrivere ciò che vedo con parole diverse dal semplice “è una giornata luminosa”. Non è accaduto nulla di esaltante, un sabato come tanti, scandito da ritmi casalinghi consolidati nel tempo. Come una giornata trascorsa ad Holt: lenta, prevedibile e luminosa. Svelato il mistero: a piacermi è la semplicità di Haruf. Non mente, non c'è finzione; si chiama Holt ma potrebbe essere la frazioncina vicino a casa tua.
Leggendo Canto della pianura mi è sembrato di tornare nella campagna del Missouri, nei pressi delle mura dell’università, in compagnia di William Stoner. Un’altra vita silenziosa e anonima, altre ingiustizie, un altro romanzo in cui non accade nulla, lento e magnetico. Così come Stoner, anche Canto della pianura mi è parso perfetto nell’imperfezione delle vite che racconta.

Dal sito University of Texas Libraries
Da mettere in valigia per quella settimana in cui, spossato dalla tranquillità della vita di provincia, ti regalerai un salutare bagno di folla nel caos cittadino. Se sopravvivrai all’ebrezza della metro senza aria condizionata intorno alle 18.00, sarà un sollievo arrivare in hotel e potersi rifugiare nella solitudine di Holt. 


Kent Haruf, Canto della pianura, trad. Fabio Cremonesi
NN editore, 2015.
 

mercoledì 22 giugno 2016

Andarsene, Rodrigo Hasbún



Rodrigo Hasbún presenta Andarsene, con il supporto della traduttrice Giulia Zavagna, in un rumoroso spazio del Salone del Libro di Torino. Io sono seduta lì per la pura curiosità di ascoltare un autore boliviano, paese di cui non so nulla. Guardo questo ragazzo moro, che parla lentamente e a voce bassa, la camicia a quadri, la barba incolta, ogni tanto si risistema gli occhiali sul naso. Riflette sulle domande di Peano, sorride poco, non sembra interessato ad accattivarsi le simpatie dei presenti.
Se sento l’urgenza di acquistare Andarsene non è per la voce di Hasbún, ma per lo sguardo di Giulia Zavagna. Parla di Los afectos con gli stessi occhi di una donna che ha appena ricevuto una carezza dal proprio compagno. Vorrebbe far capire che esperienza straordinaria sia stata tradurre questo libro, ma non trova le parole; e resta quel luccichio degli occhi che occupa lo spazio delle frasi non dette. 

Andarsene, era questo che papà sapeva fare meglio, andarsene ma anche tornare, come un soldato sempre in guerra, giusto il tempo di radunare le forze per andarsene una volta ancora.

A volerlo riassumere sbrigativamente, si potrebbe dire che Andarsene è l’occasione per raccontare una famiglia e un certo periodo storico; oppure che è un libro che narra gli affetti e gli effetti (come ben sintetizzato dal titolo spagnolo Los afectos, intraducibile in italiano). Gli affetti, i vincoli, le relazioni che stringiamo con mogli, figli, compagni, sorelle, genitori; e gli effetti, le conseguenze sulle vite altrui che scaturiscono da questi vincoli.
Papà sapeva i nomi di mille esploratori, io no. Mi mancava un anno di scuola e le mie preoccupazioni erano altre, per esempio cosa avrei fatto dopo. La Paz non era poi così male, ma era caotica e lì non avremmo mai smesso di essere degli stranieri, gente venuta da un altro mondo, un mondo vecchio e freddo. 

Andarsene è un romanzo, pura immaginazione, ma c’è dentro la famiglia degli Ertl, Leni Riefenstahl, la fuga dei collaboratori e di molti simpatizzanti del nazismo tedesco in Bolivia, la guerriglia rivoluzionaria, le mani amputate del Che, Monika Ertl, Vittoria o morte.
Andarsene è Paitití, la leggendaria città inca, rimasta sepolta nella foresta amazzonica. Andarsene è fuggire dalle cose orribili del mondo e cercare un rifugio sicuro nell’utopia della foresta.
 
Hans e Monika Ertl

L’ho letto fino alla fine senza fare ricerche, senza indagare sul movimento nazionale rivoluzionario e la nazionalizzazione delle miniere. Sono caduta nel romanzo e per uscirne sono andata su Google e ho iniziato a riempire le caselline vuote e a separare la storia dalla finzione. Ho trovato un padre cineasta, fotografo, esploratore e tre figlie completamente diverse: quella sentimentale, legata agli affetti e alla memoria, quella radicata all’Europa, e la rivoluzionaria, la donna che poi ha causato tanto dolore.
Sono i silenzi a rendere così potente Andarsene. Se Hasbún avesse raccontato la stessa storia in 500 pagine, avrebbe scritto solo un bel romanzo, ma avrebbe detto troppo e non avrebbe lasciato spazio alla curiosità del lettore. Invece ha condensato la narrazione in 120 pagine, costringendomi a sottolineare e annotare ogni capitoletto.  

Il silenzio è fondamentale, aveva detto papà diverse volte da quando eravamo partiti; gli esploratori sono persone in grado di ascoltare meglio di chiunque altro, persone che devono stare attente a ciò che le circonda.

Qui, lo sguardo della Zavagna che vi parla di questo libro non posso proprio riproporlo; ma se vi è venuta curiosità e deciderete di leggere Andarsene, ripassate da queste parti per raccontarmi le vostre impressioni.   

Rodrigo Hasbún, Andarsene, trad. Giulia Zavagna, SUR, Roma, 2016.