lunedì 26 settembre 2011

Giovinezza a Vienna

Ho acquistato Giovinezza a Vienna in estate, prima di partire per l’Austria, con l’idea di leggere le vie di Vienna prima di percorrerle. Da questo libro mi aspettavo di scoprire la Vienna di fine ‘800 più che di conoscere la giovinezza dissennata di un borghese ebreo negli anni in cui, in Europa, iniziava a mettere radici l’antisemitismo. Volevo incontrare una casa editrice nuova (SE Edizioni), leggere finalmente un’autobiografia e possedere un libro dalla copertina suggestiva come questa:


Poi, però, il libro è rimasto sulla scrivania insieme agli altri che si vanno pian piano ammonticchiando, in attesa che una probabile libreria Ikea faccia il suo ingresso trionfale in casa valigiesogni.
Poiché un viaggio non termina solo perché si è scesi dal treno, qualche giorno fa ho liberato l’autobiografia di Arthur Schnitzler dalla pila di libri da leggere, spostandolo dalla scrivania alla mia borsa. Incipit accattivante:

 “Sono nato a Vienna il 15 maggio del 1862 nella Praterstraße, chiamata allora Jägerzeile, al terzo piano dell’edificio attiguo all’hotel Europa; poche ore dopo, mio padre me lo raccontò più volte, trascorsi qualche tempo sulla scrivania. Non son più se quella sosta, comunque insolita per un neonato, fosse stata decisa da mio padre o dalla levatrice; in ogni caso l’episodio gli fornì sempre lo spunto per una profezia palesemente scherzosa sulla mia carriera di scrittore- una profezia, peraltro, al cu avverarsi egli avrebbe assistito solo per un tempo assai breve, e con una gioia non priva di riserve.”

Dopo un inizio promettente, la lettura è diventata sempre più faticosa. Stile ridondante, attenzione al dettaglio, descrizione minuziosa di eventi apparentemente banali, elenchi dettagliati di amici, insegnanti, conoscenti, date e fanciulle. Tante fanciulle. Eppure, nonostante una certa difficoltà nel procedere con la lettura, non sono riuscita a distaccarmene fino alla fine, postfazione inclusa. Forse ha prevalso il desiderio di scoprire quale fosse lo stile di vita e la quotidianità di un giovane di buona educazione nell’Austria dell’Ottocento. E più ancora la smania di capire come Arthur Schnitzler sia diventato Arthur Schnitzler.
Chissà perché mi aspettavo un’educazione rigida e una vita seriosa ed assennata. Sì, certamente. Ore ed ore trascorse, fin dall’adolescenza, incontrando (e fantasticando) su donne più o meno “serie”, qualche ora al pianoforte, serate a teatro, pomeriggi spesi al caffè Central, lunghe passeggiate al Volksgarten sempre in dolce compagnia, tanto tempo dedicato alla scrittura di diari, lettere, alla stesura delle prime opere teatrali (nelle quali nessuno credeva) e poche, pochissime ore dedicate allo studio.
“Fin da piccolo avevo nutrito il sogno di diventare medico come il babbo. In tal modo mi sarebbe stato possibile girare in carrozza tutto il giorno, non solo, ma avrei potuto anche farla fermare a mio piacimento dinanzi a qualsiasi negozio di dolciumi, per acquistare leccornie deliziose […] A voler essere più seri, senza dubbio subì l’influsso dell’esempio paterno e ancor più quello dell’atmosfera che regnava in casa nostra fin dalla mia prima fanciullezza; e poiché durante il ginnasio nessuno aveva pensato che potessi seguire un corso di studi diverso, risultò del tutto normale che  nell’autunno del 1879 mi iscrivessi alla Facoltà di Medicina dell’università di Vienna. Fino ad allora non avevo dato prova di una reale attitudine e neppure di un particolare interesse per le scienze naturali. Senza dubbio, il piano di studi del ginnasio e la personalità dei nostri professori non erano stati in grado di risvegliare il mio interesse per quella disciplina, e anche l’educazione e l’istruzione che venivano impartite in casa – non soltanto nella mia – non tendevano a sviluppare le capacità percettive.  Nei confronti della natura in quanto tale, il mio atteggiamento sarebbe rimasto ancora per lungo tempo incerto, poetico-sentimentale piuttosto che ingenuo contemplativo, e la mia sete di conoscenza si sarebbe rivolta all’ideologia, alla storia ed alla psicologia più che al fenomeno, al presente ed alla forma”.

Nonostante lo scarso impegno, Arthur Schnitzler divenne poi un medico. Ma le sue memorie non mostrano mai un reale interesse verso la professione. Solo nelle ultime pagine dell’autobiografia, parlando dell’ipnosi e degli esperimenti fatti utilizzando la tecnica dell’ipnosi, si percepisce il diverso coinvolgimento del dottor Schnitzler.
L’indole ribelle, incosciente e un po’ frivola di AS contribuì ad instaurare un rapporto freddo e sempre più distante nei confronti del padre. L’autore esprime, in diversi momenti della sua vita, giudizi molto severi verso il padre, nonostante non neghi che “nato nella miseria, ciò che aveva raggiunto era unicamente frutto del suo talento, della sua volontà e della sua forza”. 
Ma, insomma, una pacifica convivenza era difficile da realizzare stando alla confessione dello stesso AS, già in età adulta.

“In un primo momento l’esercizio della libera professione restò limitato a un ambito assai ristretto e devo ammettere, in tutta sincerità, che continuai la vita da studente: ero un giovane di buona famiglia che per un paio di ore al giorno si dava da fare in ospedale, al policlinico, nel laboratorio di istologia patologica, che frequentava con assiduità il teatro, i concerti e la buona società, che trascorreva una parte eccessiva del suo tempo libero al caffè con gli amici e viveva ancora con il denaro per le piccole spese, che non gli bastava mai, naturalmente.” 

E poi, balli, lettere d’amore, amanti che si alternano, altre che riemergono, cocotte, donne di tutte le età e tutti i ceti sociali che entrano ed escono dalla vita di AS. Viaggi, inquietudini. Una giovinezza incredibile, assai distante da quella che avevo immaginato. Un’autobiografia che non scorre velocemente ma che costituisce un ottimo strumento per leggere, e rileggere, con occhi diversi le opere di Schnitzler.