martedì 13 ottobre 2009

Rematori

“Uscendo da quel parco, la corrente della Vivonne riprende slancio. Quante volte ho visto, e desiderato di imitare quando fossi stato libero di vivere a modo mio, un rematore che, abbandonato il remo, s’era sdraiato quant’era lungo sulla schiena, abbandonando la testa sul fondo della barca, e mentre lasciava che questa galleggiasse alla deriva, mentre vedeva il cielo, e nient’altro, sfilare lentamente sopra di lui, mostrava in volto l’espressione di chi pregusta la felicità e la pace!”

M. Proust, Dalla parte di Swann, traduzione di G. Raboni

Ho sempre associato il piacere della libertà ad una lunga corsa nel verde, col cielo azzurro e l’aria pungente, o a una passeggiata in montagna, senza orologio. Eppure, in questa serata d’autunno, con la pioggia che batte ritmicamente sui vetri e la coscienza che borbotta: «Ci sarebbe da fare questo, questo e quest’altro ancora, e tu, che fai? Te ne stai lì a leggere! Irresponsabile…», penso a quanto vorrei esser quel rematore. Mi sdraierei nella barca, annegherei la coscienza, e lascerei i miei pensieri liberi di seguire la corrente. 

lunedì 5 ottobre 2009

C'è profumo d'autunno nell'aria

Il cielo è azzurrissimo. Spengo il computer, mi cambio rapidamente, scarpette da corsa ed esco. La schiena si srotola, le gambe si distendono, il corpo si sveglia dal torpore, in cui era stato costretto, ricominciando a dar segni di vita.
Il sole di mezzogiorno mi stordisce. Mentalmente torno al calendario per poter collocare questa giornata nel rettangolino giusto. Il calore sulla pelle non collima con una giorno di fine settembre. Zaaannn!! Il profumo del mosto mi sbatte contro. Qualcuno da queste parti ha già raccolto l’uva e si prepara per la vendemmia.
Allora non ci si può sbagliare: nonostante il cielo azzurro e l’aria calda, siamo inequivocabilmente in autunno. Perché per me, sin da piccina, l’arrivo dell’autunno ha sempre coinciso con la raccolta dell’uva. Ma sì!, poco importava se, per le bizze del tempo, la raccolta cominciava alla fine di agosto o, al contrario, all’inizio d’ottobre. A me bastava sentire quel profumo dolciastro, che ti inebria e ti si appiccica addosso, per sapere che l’estate era già alle spalle. Lo si capiva dallo sguardo eccitato di mio nonno che presidiava la cantina per giorni, lavando il tino, spostando damigiane, travasando liquidi da un contenitore all’altro. Io lo guardavo incuriosita, cercando di carpire l’ingrediente segreto che rendeva il suo vino migliore di quello dei nostri vicini. Le scarpe che facevano “ciaf ciaf” sul pavimento e lui che pronunciava tra sé e sé frasi incomprensibili. Il mistero della vendemmia.
Poi, le volte che m’è capitato d’andar a raccogliere l’uva nel Chianti (gli studenti universitari amano i lavori stagionali), la magia della vendemmia è scomparsa. Filari interminabili, un gran mal di schiena, l’insopportabile peso degli stivali a fine giornata. Ed ho iniziato a comprendere la ragione per cui mio padre s’è sempre tenuto alla larga dalla vigna di famiglia. Fortuna che a portare avanti le tradizioni ci pensa il fratello ma «Eh! Apprezzo l’impegno ma il vino buono non ti riesce proprio di farlo!...», non fa che ripetere il mio energico nonno ottantaseienne di fronte alle bottiglie di rosso, orgogliosamente ostentate da mio zio.
Il vino prodotto dallo zio, in fondo, non è tanto malvagio, eppure manca quel qualcosa… Forse bisognerebbe pronunciare la formuletta magica nota solo al nonno.
Ad ogni modo, qui si vendemmia. È arrivato l’autunno.