mercoledì 27 maggio 2020

Lui e io. La corsara, i fratacchioni e le piccole virtù

È stato il fenomeno social della quarantena. I suoi video ottengono più visualizzazioni di quelli del Presidente Trump. Dal “lanciafiamme per le feste di laurea” ai “vecchi cinghialoni” che vanno a correre con tre tute (di cui una alla zuava), passando per l’intervista in cui dà del fratacchione a Fabio Fazio. De Luca super star.
Il fratacchione. Comicità campana, mi dico.
Poi mi imbatto in due fratacchioni, a distanza di poche pagine, in un racconto molto ironico, distante anni luce dai nostri giorni e dalla comicità del Presidente De Luca.

Da Lui e io di Natalia Ginzburg

Lui e io è un breve racconto autobiografico di Natalia Ginzburg, scritto a Roma nell’estate del 1962 e pubblicato nella raccolta di saggi Le piccole virtù (Einaudi).
Lui ha sempre caldo; io sempre freddo. […]
Lui sa parlare bene alcune lingue; io non ne parlo bene nessuna […]
Lui ha un grande senso dell’orientamento; io nessuno. […]
Io non so amministrare il tempo. Lui sa.
Io non so ballare e lui sa. […]

Lui è Gabriele Baldini, il secondo marito di Natalia Levi Ginzburg; professore universitario, stimato anglista (anche se avrebbe preferito diventare direttore d’orchestra o cantante lirico), esuberante, spiritoso, un po’ troppo attaccato all'alcol. Più giovane della vedova Ginzburg, caratterialmente e fisicamente diverso da Leone, primo marito di Natalia, e molto diverso anche dalla stessa Natalia. Invece:
L’unione sembrò improbabile all'ambiente borghese e romano da cui Gabriele proveniva, ma poi si rivelò solidissima. In Natalia Gabriele trovò un esempio vivo e tangibile di profondità, di solidità e anche, direi, di felicità espressiva sulla pagina.
A Natalia Gabriele attaccò un po’ di leggerezza, di ironia. Prima di Gabriele, Natalia deve essere stata una persona più ispida di quella che ho avuto la gran fortuna di frequentare […]
Masolino D’Amico, in La corsara di Sandra Petrignani (Neri Pozza editore)


Da giorni, sono totalmente immersa nell'universo di Natalia Ginzburg, nella Torino antifascista in cui nacque la casa editrice Einaudi, nell’esilio in Abruzzo dell’autrice e di Leone Ginzburg, in quell’ultimo bacio che Nat dà clandestinamente a quel corpo livido, coperto da un lenzuolo nel carcere di Regina Coeli, nel confino lucano di Carlo Levi, nell’amicizia con gli Olivetti, nella lunga amicizia con Cesarito Pavese, nella brevissima e sofferta relazione con Salvatore Quasimodo, nelle case torinesi, nell’appartamento romano in Campo Marzio. 
La corsara di Sandra Petrignani non è solo il ritratto di Natalia Ginzburg, come recita il sottotitolo dell’opera, ma anche l’affresco di un’epoca, di una certa idea di Paese. C’è il fervore politico (sebbene la Ginzburg dicesse di non capire nulla di politica), la religione, l’entusiasmo per il mestiere di scrivere di un’intera generazione, l’intenso lavoro editoriale, la passione per la traduzione, il cinema, la musica, la pittura…
Intervallo la narrazione della Petrignani con la lettura dei saggi raccolti in Mai devi domandarmi e in Le piccole virtù. Non fatevi ingannare dal titolo di quest’ultima raccolta, che prende il nome da un breve saggio scritto nel 1960: l’autrice esorta ad insegnare ai figli non le piccole virtù ma le grandi. Non il risparmio ma la generosità; non la prudenza ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo […], non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere.  
Il titolo del saggio, e poi della raccolta, nasce da una ragione semplice: le piccole virtù è un bel titolo. Le grandi virtù non lo è. Io non ho figli, ma leggendo questo saggio ho molto riflettuto su cosa fosse l’educazione per Natalia Ginzburg:
E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni. In verità, la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin dal principio, dovrebbe essere chiaro che quello è un suo campo di battaglia, dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e irrisorio.
Chissà cosa avrebbe detto la Ginzburg dei gruppi WhatsApp delle mamme e della didattica a distanza.


Per chi ama gli audiolibri, Le piccole virtù è distribuito dalla Emons, letto da Giovanna Mezzogiorno. Volendo, è possibile ascoltare questo titolo su Storytel, dove è disponibile, tra l’altro, anche l’audiolibro di La corsara.      

domenica 17 maggio 2020

Lady Barbara


Domenica scorsa, nel riordinare la libreria, è saltato fuori questo libricino.
Me lo donò Fabietto, amico lettore, anzi “il lettore”, spesso menzionato nei miei post. Fabio è una brutta persona, una di quelle che comprano i libri d’impulso pensando ai propri amici; ma la tentazione di leggerli, prima di regalarli, è tale da far intercorrere il giusto intervallo di tempo tra l’acquisto e la consegna al destinatario, in modo da poterseli gustare. Se il libro lo colpisce e comprende d’aver fatto la scelta giusta, se ne troverà traccia nella dedica iniziale. Altrimenti succederà come con Barbara (tradotto da Simona Costaggini, Sellerio editore). 
Non ricordo esattamente quando accadde, ma Fabio si presentò al nostro appuntamento tirando fuori dalla tasca questo volumetto. “Dovevo passare in libreria, m’è capitato tra le mani – sorriso – poi, siccome è un raccontino e io ero in anticipo…” Altro sorrisetto. Ma non c’era nessuna dedica. E quindi Fabie’?
Espressione indecifrabile seguita da un mah!  
Brutto segno. Avrei potuto leggerlo quella sera stessa, tuttavia il libro finì accantonato su uno scaffale.
Di Thomas Hardy non avevo mai letto nulla; mi era rimasta una spiacevole sensazione di cupezza, pessimismo e una sorta di disperazione dei suoi personaggi, retaggio dei manuali liceali di letteratura inglese. Certo che se i titoli dei romanzi più noti sono un Via dalla pazza folla e Jude l’oscuro, c’è poco da sperare.  
Tra il 1880 e il 1890 Thomas Hardy affiancò alla scrittura dei romanzi un lavoro di revisione e adattamento dei racconti già scritti, per inserirli in raccolte che avessero un filo conduttore preciso. Barbara of the House of Grebe fu il secondo racconto della raccolta A group of Noble Dames: dieci membri di un club, impossibilitati ad uscire a causa di una pioggia incessante, per ingannare il tempo raccontano a turno una leggenda su nobildonne di quell’area che Thomas Hardy chiama Wessex (la parte sudoccidentale dell'Inghilterra, corrispondente al Dorset).   
Immagine da Google
Il racconto è ambientato alla fine del Settecento; la diciassettenne Barbara, della casa dei Grebe, perde la testa per un Edmond Willowes qualunque. Giovane integerrimo, di famiglia onesta, ma una famiglia qualsiasi. Sangue blu neanche a parlarne. E bello, così bello che lady Barbara non ci pensa due volte ad organizzare una fuga nella notte col suo amato, seguita da matrimonio. L’alternativa sarebbe stata quella di sposare il maturo e risoluto Lord Uplandtowers, ricco proprietario, stimato dai genitori di Barbara e, per giunta, conte. Ma se hai ai tuoi piedi un Apollo in carne ed ossa, perché dover sottostare alle regole del sangue blu e sposare un conte qualsiasi? Giammai.
La vita, però, fa strani scherzi; la bellezza può esser distrutta da un incendio e di quel corpo magnifico e di quel volto perfetto non resterà nient’altro che una statua, a grandezza naturale, nel più pregiato marmo di Carrara, raffigurante Edmond in tutto lo splendore di una volta.
Il cuore umano, però, è portato a cambiare inclinazione come le foglie dei rampicanti sui muri; col passare del tempo non arrivarono più notizie di Edmond, e Barbara ascoltava con aria indifferente quando la madre e gli amici le sussurravano all’orecchio, «Beh, era il meglio che potesse capitare». Iniziò a crederlo anche lei, perché ancora non riusciva a ripensare a quella forma invalida e mutilata senza rabbrividire.
Anche la mente fa strani scherzi e lady Barbara, che non aveva riconosciuto la bellezza d’animo di quel primo marito, dopo aver deciso di sposare il cinico Lord Uplandtowers, davanti alla statua di Edmond perde il senno.
Il racconto non piacque alla critica. Lo Spectator lo definì “tanto affettato quanto ripugnante” e neppure T.S. Eliot gli dedicò pensieri migliori.
Perturbante e crudele, sono i primi aggettivi che mi vengono in mente. Eppure Hardy è riuscito a condensare tutte le sfumature di questi due aggettivi in pochissime pagine. Quindi, non escludo di dare una chance ai suoi romanzi più noti.

mercoledì 13 maggio 2020

Disordine organizzato

Frammento di libreria

Ora che la sessantena è agli sgoccioli (o forse è già finita, non mi è chiaro ancora), posso serenamente dire che in questo periodo non ho imparato nulla. Da quello che leggo sembrerebbe che in molti abbiano fatto tesoro delle lunghe giornate d’isolamento. Hanno ricominciato a cucinare, hanno imparato a dipingere, a fare pilates seguendo corsi on line, hanno cominciato a studiare una lingua, seguito webinar di scrittura creativa, si son dati al giardinaggio, hanno sanificato più volte casa, dépendance e scantinato.
Io mi sono innervosita molto più del solito; sono diventata più irascibile, ho discusso con il mio capo ad oltranza, nel mese di marzo ho lavorato il triplo e mi sono chiesta, nuovamente, che senso avesse tanta irritazione in giornate in cui si parlava solo di morte.  
Così, tra un attacco di gastrite acuta e l’altro, siamo arrivati a metà maggio e il pensiero principale, a quanto pare, è diventato se, come e dove andremo in vacanza. Senza aver risistemato la libreria: l’unico proposito che avevo in testa da due mesi.
Il punto è che da quando ci siamo trasferiti in quest’appartamento, non ho fatto altro che accatastare libri un po’ dove capitava. Il vantaggio del disordine è che non hai l’effettiva consapevolezza del numero di volumi ancora intonsi e ti arrendi all’ennesimo raptus di shopping compulsivo. Perché l’editoria italiana è in crisi, le librerie pure, ed io, che voglio bene ad entrambi i settori, ho acquistato tantissimo. Era un obbligo morale. Ma, sia l’editoria che le librerie sono in crisi da sempre, e lo scorso weekend ho avvertito l’urgenza di fissare dei paletti e fare ordine.
Ordine. Vabbè, diciamo disordine organizzato rispetto all’umore del momento. Quindi, niente ordine alfabetico perché, per dire, che senso avrebbe frapporre Levi tra la Ginzburg e la Morante? È ovvio che le due scrittrici debbano continuare a bisticciare anche sulla mia libreria, no?
Ordine per casa editrice. Sì, però, come si fa con Saramago? È Feltrinelli, nonostante le mie copie de Le intermittenze della morte e Cecità siano della Einaudi.
Per area geografica. Sì, si fa presto con case editrici tipo Iperborea, ma in altre circostanze? L’italianissimo Claudio Fava, ad esempio, con il suo Mar del Plata (add editore) va accanto agli scrittori argentini pubblicati da Sur, c’è poco da fare. Insomma, ora che l’ho risistemata, nella mia libreria un ordine preciso non c’è. Però ho tolto moltissima polvere, e in questa finta organizzazione mi sento a casa. La osservo estasiata.
I libri in attesa d’esser letti sono tantissimi e occupano uno spazio ben definito. Un solo sguardo dovrebbe far evaporare qualsiasi tentazione di nuovi acquisti nei prossimi mesi. Chissà.
Così, a ben pensarci, posso dire anch’io d’aver fatto qualcosa di utile durante l'isolamento. Tecnicamente siamo nella fase 2, ma vale lo stesso, giusto?