Ho riscoperto l’euforia di andare in
biblioteca. Ne parlai una volta qui, felice d’aver trovato un angolo in cui vagabondare tra i libri anche nel paesello senza librerie in cui vivo da pochi
anni. Poi, però, saranno stati i tagli, sarà stato qualche altro oscuro motivo
(ne dubito: il problema principale si chiama sempre mancanza di fondi), gli
orari di apertura al pubblico della biblioteca segnina si son ridotti di giorno
in giorno. Io trascorro troppo tempo fuori casa, accanto all’ufficio di
biblioteche neanche a parlarne, la libreria lì vicino è un curioso bazar ricco
di gadget e povero di titoli, così mi sono rassegnata all’assenza di un luogo
in cui girovagare tra vecchie edizioni ormai fuori catalogo.
Quest’estate ho
realizzato che nei paeselli che gravitano intorno alla Capitale c’è un circuito
di biblioteche, non grandissime, ma alcune sono aperte fino alle 19, altre il
sabato mattina ed è perfino attivo il prestito interbibliotecario. Così, qualche
sabato mattina fa, sono entrata in biblioteca con passo incerto, ho chiesto
informazioni timidamente e poi ho cominciato a girellare tra gli scaffali
disordinatamente, estraendo i vari titoli che avrei voluto leggere. Il signor valigiesogni divertito mi ha
fatto notare che ero in una modesta biblioteca comunale mica al parco giochi.
Il piacere delle piccole cose: capisci quanto ti sono mancate solo nell’attimo
in cui le assapori nuovamente.
Non sono entrata con un’idea precisa; ho
seguito l’istinto del momento e ho portato via Troppa felicità, uno di
quei libri che dovresti possedere non prendere in prestito.
L’ho iniziato a
leggere in una domenica ancora calda, su una spiaggia con qualche bambino e
poco vociare. Un bagno tra un racconto e l’altro, l’acqua salata e volti di
donne che escono dalle storie.
Alice Munro ha centrato l’obiettivo anche questa volta. Si potrà dire che nei
suoi racconti è sempre l’universo femminile a farla da padrone, che nelle sue
storie c’è sempre un ché di autobiografico, che vi sono spesso divorzi,
problemi d’alcol, figli da educare, situazioni ordinarie sconvolte da eventi
tragici… Sì, forse i temi, i soggetti, le ambientazioni trattate in questa
raccolta, così come nelle precedenti raccolte di racconti, sono gli stessi.
Eppure sono sempre diversi. E poi la Munro, con i suoi capelli d’argento e il
suo tranquillo sguardo da nonna, riesce a farmi lavare i piatti con un racconto
nella testa, le parole che riecheggiano, l’immaginazione che galoppa dando un
seguito alla storia e cambiandone il finale.
Frequentava anche i contemporanei. Sempre
romanzi. Detestava sentirli definire “di evasione”. Avrebbe potuto ribattere, e
non solo per scherzo, che l’evasione stava nella vita vera.
Ma sì, chi riesce a porre un limite tra la
vita e la letteratura?