Che
poi il 2018 non è stato troppo brutto. Ma neppure memorabile. Ho aperto
l’agenda per verificare la quantità di buoni propositi disattesi. Lo faccio
sempre in questo periodo dell’anno. In genere scorro l’elenco, annuisco
malinconicamente davanti al numero di cose non fatte, trovo inutili
giustificazioni (“Sarai autolesionista nell’elencare obiettivi
irraggiungibili?”), e riprendo a scrivere ostinatamente più o meno gli stessi
propositi dell’anno precedente, senza correggere troppo il tiro perché l’uomo deve
mirare a 100 per ottenere 60. A sorpresa, lo scorso anno un barlume di saggezza
mi ha indotto a scrivere appena due righe; nessun bilancio, nessun elenco. Mi sa che ero
ubriaca. Neppure ricordavo d’aver saltato il rito dei buoni propositi.
Devo
riconoscere d’aver letto molto meno di quanto desiderassi, d’aver scritto
pochissimo, d’aver tralasciato i social
(senza riportare traumi rilevanti), d’aver ripetuto a giorni alterni “do le
dimissioni e mi cerco un altro lavoro” (molte chiacchiere, pochi fatti), d’aver
provato spesso la sensazione d’annaspare. Come le prime volte in piscina, quando
l’istruttore continuava ad urlare alla me trentasettenne “Non affoghi, respira,
muovi quelle braccia, rilassati e staccati da quel bordo”, mentre le mie dita
blu non ci pensavano proprio ad allontanarsi da quel bordo e il corpo sembrava
sprofondare inesorabilmente verso il fondo. Perché non metto in dubbio che gli
altri corpi abbiano la naturale tendenza al galleggiamento, ma il mio tende ad
affogare e io so respirare benissimo in montagna, in bicicletta, dopo diversi
chilometri di corsa, ma sott'acqua no. Il 2018 è stato un continuo boccheggiare,
aspettando che arrivasse il piacere di quelle vasche tutto dorso e doppio dorso
con la schiena che finalmente si allungava e i pensieri altrove.
Niente,
quel piacere non è ancora arrivato. Il cambiamento richiede tempo, non lo si
può confinare in un calendario.
Eppure
sarebbe ingiusto liquidare il 2018 come l’anno dei malumori. C’è stato il mare
d’inverno (quello freddo, delle nostre coste, che ti ghiaccia le mani mentre
corri a Capodanno), le risate col coniuge, quelle che sdrammatizzano anche i
momenti bui, le corse intorno al lago la domenica mattina, Mantova, Ferrara con
il bibliopatologo, Lucca, il mare di Trieste, il quartiere ebraico di Praga, arrivare
a Bled in bicicletta, il gruppo di lettura in biblioteca, il sabato galeotta, le
serate intorno a un libro, gli amici di sempre, gli amici ritrovati, mia nipote
duenne che urla ziaaa! e mi schiocca un bacio con l’abbraccio forteforte.
E
poi c’è questo blog, che ho trascurato, è vero. Ma che continuo a considerare
casa. Uno spazio che richiede tempo, riflessione, perché è un luogo di
condivisione che se ne infischia dei pollici alzati, della velocità dell’informazione
e del numero di followers raggiunti (pochi, come potete notare qui accanto). È un
luogo che, anno dopo anno, mi ha permesso di conoscere altri appassionati di
libri, di zaini in spalla, di treni, di mappe, di librerie, di biblioteche, di
elefanti. Visitatori che sono diventati amici. Ed è per questo che, in tempi in
cui avere un blog non è più cool, sono
felice di restare ancorata a questo spazio.
Buon
2019 amici miei.