lunedì 31 dicembre 2018

La scomparsa dei buoni propositi


Che poi il 2018 non è stato troppo brutto. Ma neppure memorabile. Ho aperto l’agenda per verificare la quantità di buoni propositi disattesi. Lo faccio sempre in questo periodo dell’anno. In genere scorro l’elenco, annuisco malinconicamente davanti al numero di cose non fatte, trovo inutili giustificazioni (“Sarai autolesionista nell’elencare obiettivi irraggiungibili?”), e riprendo a scrivere ostinatamente più o meno gli stessi propositi dell’anno precedente, senza correggere troppo il tiro perché l’uomo deve mirare a 100 per ottenere 60. A sorpresa, lo scorso anno un barlume di saggezza mi ha indotto a scrivere appena due righe; nessun bilancio, nessun elenco. Mi sa che ero ubriaca. Neppure ricordavo d’aver saltato il rito dei buoni propositi.
Devo riconoscere d’aver letto molto meno di quanto desiderassi, d’aver scritto pochissimo, d’aver tralasciato i social (senza riportare traumi rilevanti), d’aver ripetuto a giorni alterni “do le dimissioni e mi cerco un altro lavoro” (molte chiacchiere, pochi fatti), d’aver provato spesso la sensazione d’annaspare. Come le prime volte in piscina, quando l’istruttore continuava ad urlare alla me trentasettenne “Non affoghi, respira, muovi quelle braccia, rilassati e staccati da quel bordo”, mentre le mie dita blu non ci pensavano proprio ad allontanarsi da quel bordo e il corpo sembrava sprofondare inesorabilmente verso il fondo. Perché non metto in dubbio che gli altri corpi abbiano la naturale tendenza al galleggiamento, ma il mio tende ad affogare e io so respirare benissimo in montagna, in bicicletta, dopo diversi chilometri di corsa, ma sott'acqua no. Il 2018 è stato un continuo boccheggiare, aspettando che arrivasse il piacere di quelle vasche tutto dorso e doppio dorso con la schiena che finalmente si allungava e i pensieri altrove.         
Niente, quel piacere non è ancora arrivato. Il cambiamento richiede tempo, non lo si può confinare in un calendario.
Eppure sarebbe ingiusto liquidare il 2018 come l’anno dei malumori. C’è stato il mare d’inverno (quello freddo, delle nostre coste, che ti ghiaccia le mani mentre corri a Capodanno), le risate col coniuge, quelle che sdrammatizzano anche i momenti bui, le corse intorno al lago la domenica mattina, Mantova, Ferrara con il bibliopatologo, Lucca, il mare di Trieste, il quartiere ebraico di Praga, arrivare a Bled in bicicletta, il gruppo di lettura in biblioteca, il sabato galeotta, le serate intorno a un libro, gli amici di sempre, gli amici ritrovati, mia nipote duenne che urla ziaaa! e mi schiocca un bacio con l’abbraccio forteforte.
E poi c’è questo blog, che ho trascurato, è vero. Ma che continuo a considerare casa. Uno spazio che richiede tempo, riflessione, perché è un luogo di condivisione che se ne infischia dei pollici alzati, della velocità dell’informazione e del numero di followers raggiunti (pochi, come potete notare qui accanto). È un luogo che, anno dopo anno, mi ha permesso di conoscere altri appassionati di libri, di zaini in spalla, di treni, di mappe, di librerie, di biblioteche, di elefanti. Visitatori che sono diventati amici. Ed è per questo che, in tempi in cui avere un blog non è più cool, sono felice di restare ancorata a questo spazio.
Buon 2019 amici miei.

martedì 11 dicembre 2018

Nella Nuvola. Sprazzi di Più libri più liberi 2018


Venerdì pomeriggio, ufficio. All’ennesimo tutorial dell’ennesimo software di fatturazione costruito apposta per me, ho la sensazione che il mal di testa non sia una conseguenza della fatturazione elettronica ma del raffreddore in arrivo. Non ho mai capito la ragione per cui riesca ad ammalarmi puntualmente di venerdì, mandando in fumo i programmi del weekend, per tornare al lavoro il lunedì stropicciata e nervosa.
A Roma c’era la XVII edizione di Più libri più liberi; i tempi in cui prendevo addirittura un paio di giorni di ferie per vivere pienamente la fiera della Piccola e Media editoria sono lontani, però rinunciare al sabato nella Nuvola mi rodeva un po’. Programma della fiera alla mano, impasticcata e confusa, son salita sul mio trenino, dribblando gruppuscoli di Salviniani diretti in Piazza del Popolo. 
Girare tra gli stand non mi entusiasma più. La sindrome da sabato mattina al supermercato m’ha preso dopo dieci minuti. Eppure era presto, i corridoi non erano ancora affollati e avrei anche potuto scambiare due parole con gli espositori. Invece sono fuggita anzitempo nella sala in cui si teneva l’incontro con Gianrico Carofiglio e Jacopo Rosatelli.
I miei incontri:
- Ho ascoltato un caustico Carofiglio concentrato sulle parole della comunicazione politica e sull’utilizzo improprio di espressioni giuridiche. Prende spunto dall’attualità politica, è più pungente di quanto non lo sia già in alcune puntate di Otto e mezzo della Gruber, spiega la differenza tra trasparenza e riservatezza, ricorda l’accezione positiva del termine compromesso, racconta un aneddoto esemplificativo di cosa sia la buona politica.
Gianrico Carofiglio con Jacopo Rosatelli, Con i piedi nel fango. Conversazione su politica e verità, Edizioni Gruppo Abele;
- Ho dato un volto a Florinda Fiamma, una delle voci di Radio3, che ha coordinato la presentazione di Adulterio e altre scelte, raccolta di racconti di Andre Dubus. In Italia, a farci scoprire Dubus sono stati il traduttore Nicola Manuppelli e la casa editrice Mattioli 1885
Manuppelli racconta ancora una volta il suo primo approccio con Dubus. Una sera va al cinema a vedere I giochi dei grandi. Il film non lo fa impazzire ma lo colpisce la tensione fra i personaggi. Gli sembra una cosa nuova, non sa neanche bene come poterla descrivere ma sa di non aver mai letto una roba simile. Dopo qualche mese, s’imbatte nelle short stories di un narratore americano che sa creare quella forte tensione tra i personaggi. Lo scrittore è Andre Dubus e, non a caso, I giochi dei grandi era stato tratto dai suoi racconti.    
Andre Dubus, Adulterio e altre scelte, Mattioli 1885. 
- Mi sono persa dietro le immagini evocate dall’antropologo Marco Aime e dal geografo Davide Papotti mentre parlano di mappe, viaggi, Altro e altrove.
Piccolo lessico della diversità a cura di Marco Aime e Davide Papotti, Fondazione Benetton Studi Ricerche - Antiga Edizioni.
- Massimo Cacciari e la Divina Commedia. E non dico altro perché non ne ho gli strumenti. Lo ascolto in piedi, in silenzio, troppe cose mi sfuggono. Da profana, avrei eliminato le letture di Massimo Popolizio: una Divina Commedia troppo recitata, esasperata, eccessiva. Insomma, declamata da Popolizio non m’è piaciuta.
Divina Commedia a cura di Enrico Malato, Salerno editrice.
- Marco Damilano interroga Luciano Canfora sul moto violento della storia che spazza via il marciume e l’immobilismo di alcune fasi storiche. Non fa sconti a nessuno Luciano Canfora: spietato con la sinistra italiana e francese, spietato verso L’Europa, spietato verso i cosiddetti intellettuali.
Chiude ricordando una frase profetica di Karl Marx: il conflitto di classe come possibile comune rovina delle classi in lotta. Non si può star tranquilli che in qualche modo i problemi si risolvano: li dobbiamo affrontare noi.   
Luciano Canfora, La scopa di Don Abbondio, Laterza.
- L’ironia di Diego Bianchi e della banda di Propaganda live.


Altre cose belle:
- Abbracciare un pezzo di scratchreaders (tipi strani che leggono e commentano su facebook una quantità enorme di libri, scritti prevalentemente da gente morta);
- Mangiare un panino nella Nuvola, ciarlando di racconti e editoria;
- Sbirciare gli incontri evidenziati dal coniuge, stravolgere i miei programmi pomeridiani e seguirlo;
- Scendere dalla Nuvola mentre Propaganda non è ancora concluso ma la fiera è già chiusa da un pezzo. I corridoi puliti, gli stand con i libri in ordine, pronti per essere sfogliati, spostati, imbustati il giorno successivo. Le luci soffuse, un silenzio irreale. È come se vedessi la Nuvola per la prima volta. L’immagine più bella della giornata. Vacillo. Ma forse è solo la febbre che ricomincia a salire.