giovedì 16 luglio 2020

Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi, Fouad Laroui

Le mie scelte di lettura sono spesso irrazionali, soprattutto quando riguardano pubblicazioni recenti. Mi lascio ispirare dai blogger che seguo assiduamente, dai consigli che mi lasciate nei commenti, da persone che a diverso titolo parlano di libri. Una di queste è Simonetta Bitasi, una lettrice che stimo tantissimo per il fatto di aver trasformato una passione come la lettura in un lavoro. Non è la sola, ma a me il suo piglio piace particolarmente. Quando sono in cerca d’ispirazione, lascio scorrere davanti agli occhi la pagina del suo sito con i titoli appena letti. "Lascio scorrere" in senso letterale. Non mi soffermo a leggere le sue osservazioni; guardo titoli, copertine e seleziono un libro a scatola chiusa. Solo quando ho terminato il libro, vado a sbirciare le considerazioni della Bitasi.

Su Lettore ambulante, la Bitasi riporta in sintesi i romanzi che le sono piaciuti; sono quasi sempre opere arrivate da poco in libreria, molto eterogenee: si passa da romanzi impegnativi a letture lievi; spesso, ma non sempre, editori meno noti; di frequente, titoli che non trovano spazio nelle vetrine delle librerie.

Non tutte le mie scelte a sensazione sono vincenti. Anzi. In alcuni casi, un romanzo tanto apprezzato dalla lettrice ambulante, per me ha costituito tempo che avrei potuto impiegare meglio. Altre volte, invece, resto incantata.

Viste le premesse, questa copertina e questo titolo non potevano lasciarmi indifferente.


Fouad Laroui ha una biografia che è già un romanzo. Nato alla fine degli anni Cinquanta a Oujda (parte nordorientale del Marocco, ai confini con l’Algeria), dopo aver frequentato il liceo a Casablanca, si trasferisce in Francia, dove si laurea in ingegneria. Torna a lavorare in Marocco per poi continuare gli studi nel Regno Unito. Ottiene un dottorato in Scienze economiche ad Amsterdam e, mentre insegna materie economiche e scientifiche, inizia a dedicarsi alla scrittura e alla critica letteraria. Quando si dice essere eclettici.

Le note biografiche non sono casuali perché nella figura dell’ingegner Adam Sijilmassi, straordinario protagonista del romanzo, si trovano sprazzi di vita e forse della filosofia dello stesso Foud Laroui.


Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi (pubblicato da Del Vecchio Editore nella magnifica traduzione di Cristina Vezzaro) inizia in volo, sul mare delle Andamane. L’ingegner Sijilmassi, di ritorno dall’ennesimo viaggio di affari, all’improvviso si fa quella domandina che io, ma forse anche qualcuno di voi, tendo a ripetermi più volte al mese: Che ci faccio qui?

Non che volasse con le sue ali, come un uccello: era in realtà rincantucciato nel sedile 9A di un aereo di linea dipinto dei colori della Lufthansa. Si era appena fatto quella domanda (“Che ci faccio qui?”) e ne esaminava ora annessi e connessi.

Adam, proviene da una famiglia umile, originaria di Azemmour. È il primo della sua stirpe ad aver studiato presso un liceo francese, ad essersi laureato e ad aver iniziato una brillante carriera professionale. Vive a Casablanca ma, pur essendo di origini marocchine e parlando l’arabo, è imbevuto di cultura occidentale. Tutti i suoi riferimenti filosofici e letterari provengono dal mondo francese. La velocità e la superficialità della sua vita è quanto di più distante possa esserci dalla vita di suo padre, che non ha mai neppure posseduto un’automobile.

Lui, Adam, era il primo della stirpe a raggiungere velocità assurde – e per fare cosa, vani numi? Vendere del bitume, comprare acido solforico, pensare alla commissione dell’agente indiano. Miseria! E lo chiamano progresso – “marcia avanti, avanzata”; ma a quale velocità? Bisogna proprio che sia quella del Boeing? […]

Si vide seduto sul suo sedile, piccolo presuntuoso, in giacca e cravatta, che andava vrooooom nell’universo infinito. Era ridicolo. Mancava di dignità per essere il nipote dell’hajj Maati. Sinceramente, non aveva alcun senso.

Decise, hic et nunc, che non avrebbe mai più preso l’aereo.

Accadeva da qualche parte al di sopra delle Andamane, un lunedì, all’alba di un millennio.

E fu l’inizio della fine per l’ingegner Sijilmassi.

Il povero Sijilmassi vorrebbe solo rallentare; ha bisogno di cercare la vita vera, di capire se il suo malessere provenga da un mondo che va troppo in fretta o dal far parte di un mondo marocchino postcoloniale che vorrebbe respingere l’Occidente e la velocità. Fermarsi non è una scelta così innocua come potrebbe sembrare.

Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi è ricco di citazioni filosofiche e letterarie; è triste e divertente, fa incrociare culture, lingue e mondi diversi. Non ho letto il testo in lingua originale (e non ne sarei capace), ma la traduzione italiana di Cristina Vezzaro è raffinata ed elegante. Credo restituisca la musicalità e i tanti giochi di parole del testo francese.

Mi è piaciuto moltissimo. E… ingegner Sijilmassi, l’ho letto senza fretta.   

Mai stata in Marocco (sigh!). Questa foto di Azemmour proviene dal blog myamazighen.wordpress.com  


6 commenti:

  1. Quante volte durante la vita lavorativa mi sono posta la stessa domanda, complice la mia passione per Chatwin e la sua raccolta di racconti edita da Adelphi che ha per titolo lo stesso quesito.
    Coincidenza: anch'io mi ero imbattuta nella recensione di questo libro e mi sono permessa di segnalarlo (pur non avendolo letto) a un'altra mia amica che spesso s'interroga al riguardo delle sue personali tribolazioni, proprio come fa Sijilmassi e facevo io a suo tempo.

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    1. Che intuito! Pur non avendo letto il libro, sono certa che la tua amica avrà apprezzato la segnalazione. La storia del povero Sijilmassi non si conclude benissimo, anzi. Perché mi sa che interrogarsi troppo nella vita non sia un bene…

      Su Chatwin mi tocca ammettere di aver letto pochino, pur avendo diversi suoi titoli in libreria. Però, avendo ridotto gli acquisti ed incrementato lo smaltimento delle scorte, ci sono buone probabilità che anche Chatwin entri presto tra le letture in corso!

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  2. Anche a me piacerebbe moltissimo visitare il Marocco e mi stuzzica l'idea di leggere questo libro in lingua originale. Ho già un elenco di libri interminable per i giorni di pioggia 😁. Grazie

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    1. La traduzione italiana è ottima ma, tu che puoi, procedi con il testo in lingua originale e poi raccontami!
      Fare scorte per l'inverno è sempre un'ottima idea. Per quanto mi riguarda, il caldo e l'umidità di questo periodo, stanno favorendo le letture del weekend. Gironzolare in città è proibitivo. Quindi, spero di poter incrementare ancora la tua wish list con altri titoli stuzzicanti!!

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  3. Pensa che io in Marocco ci sono stata in quinta liceo in uno scambio culturale: noi eravamo state a casa di ragazze marocchine vicino a Rabat e loro erano venute da noi l'anno prima.
    E solo per dirti quanto erano avanti le mie professoresse, l'anno dopo (quindi con noi diplomati) abbiamo partecipato ad un progetto pilota e siamo stati in Libia!!!

    Questo libro mi ispira parecchio per il titolo, per il tema e per il MArocco. L'unico dubbio che mi rimane è per l'editore e forse è più un pregiudizio che un dubbio: uno dei libri più noiosi mai letti era edito da loro e da allora li evito

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    1. Ma che invidia!!! No, prof. così avanti non ne ho mai avute.

      Capisco le tue perplessità. La Del Vecchio è una casa editrice che frequento poco, nonostante le copertine intriganti e la notevole cura editoriale. Penso che approfondirò la conoscenza del catalogo.
      Forse lo trovi in biblioteca, così gli dai una possibilità e se a pagina 51 stai morendo dalla noia, puoi restituirlo senza scrupoli. È una lettura particolare. Io l’ho consigliato ad un’amica appassionata di questioni filosofiche e religiose (sono certa che le piacerà), ma non lo regalerei a chiunque.

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