Leggiamo insieme i racconti di Rebecca Lee? Sono racconti, sono
pubblicati da un editore indipendente, ne ho sentito parlar bene… e yaaah, suuu,
leggiamoli insieme!
È la solita Maria di Scratchbook, quella fissata con gli americani,
meglio se racconti; se poi son racconti americani scritti da donne, uh! non
gliene sfugge uno! Potevo io declinare l’invito per una lettura condivisa?
Acquisto il libro al BookPride milanese. Cura editoriale impeccabile, va detto; copertina spiritosa,
formato perfetto per qualsiasi borsa. Inizio a leggere il primo racconto in
treno e vengo catturata. C’è una donna curva sul ripiano della cucina, intenta
a legare l’arrosto e a punzecchiare il marito, scrittore. John è uno che subisce
il fascino delle parole e, forse, anche della sua editor. Quanto meno, la moglie
ne è convinta. Sta finendo di preparare una cena per amici e colleghi; tra poco
suoneranno alla porta e lei si fa ancora qualche paranoia sul corretto assortimento
degli ospiti. Mi viene in mente l’inizio del film Perfetti sconosciuti, sebbene l’ambientazione sia diversa. È
pazzesco come una innocua cena in compagnia possa trasformarsi nella serata che
cambierà la tua esistenza.
Rebecca Lee, al pari di John, conosce i segreti della scrittura
creativa e gioca con le parole. In tutti i racconti contenuti nella Lince rossa e altre storie, strizza l’occhio al lettore con frasi un po’ ruffiane del tipo:
Che forza questa cosa
che con una manciata di parole si può stringere un’altra persona in un piccolo
abbraccio grammaticale, ridisporre gli oggetti del mondo in modo che ci
racchiudano.
Oppure:
Durante una delle sue
lezioni, Stasselova si era sforzato molto per spiegarci che il linguaggio non
descriveva gli eventi, ma li manipolava come una mano fa con un oggetto, e che
in questo modo riconduceva il mondo sotto il proprio controllo.
Per non parlare dello sfacciato tentativo di seduzione contenuto
in Fialta:
Una donna che legge
rappresenta una grave tentazione.
Ma tu sei un lettore attento, e non ti fai abbindolare troppo da
tutta quella luce del Saskatchewan, dai tic di un professore di psicologia
infantile, né da quelli di un pastore di una bella chiesetta luterana.
C’è chi sostiene che i racconti, no, per carità!, troppo brevi,
non riesco ad entrare nella storia che già è finita. Io appartengo al gruppo di
quelli che i racconti li leggono volentieri. Certo, se a scriverli è Alice Munro
ci vuol poco ad appassionarsi. Piccole storie condensate nel giusto numero di
pagine. Non si spreca neppure una parola ma, nello stesso tempo, si ha la
sensazione di aver conosciuto perfettamente i personaggi in cui ci si è
imbattuti. Con Rebecca Lee è diverso. Sono istantanee, non si ha il tempo di delineare
personalità e volti. Le immagini sono sfocate e scorrono velocemente. Si guarda
il fotogramma e si passa al successivo; un’altra storia, altre vite. Ogni narrazione
è incentrata sulle paure e sulle imperfezioni degli individui, persone normali,
spesso studenti o insegnanti. Leggi il racconto soffrendo con il protagonista,
ma dopo due giorni, senti solo quella sensazione di inquietudine che ti aveva
spinto a divorare le pagine per scoprire il finale. Cerchi di mettere a fuoco,
rovisti nella mente, cerchi il protagonista della storia; forse era una donna, forse
faceva la sceneggiatrice, forse il racconto aveva a che fare con il tradimento,
con la perdita… niente, non riesci proprio a ricordarlo. Ti è rimasta
addosso quella sensazione inquietante e un velo di tristezza, ma la storia è già svanita.
Rebecca Lee gioca molto bene con le parole (e neppure la
traduttrice scherza), però la sostanza è evanescente e, chiuso il libro, il racconto vola via.
traduzione di Sara Reggiani, Edizioni Clichy, collana Black Coffee, 2016.
Potrei dirti che quella sensazione (l'inquietudine) è comunque una sensazione, anzi, è la Sensazione, quello a cui ogni scrittore mira. La trama in sé non conta. Però non te lo dico perché non è detto che ad ogni lettore piaccia quel tipo di lascito, ed è sacrosanto avere dubbi in proposito. Penso che Rebecca Lee abbia buone capacità ma queste cadute "ruffiane" sono sintomo di un'insicurezza (inesperienza?), del tipo: mi concentro su quello che so fare meglio. E invece no, invece avrebbe dovuto rischiare, uscire fuori dall'esercizio e provare a vedere quel che succedeva. E quando l'ha fatto, secondo me, è stata più convincente. Ma di questo avremo modo di approfondire in live.
RispondiEliminaLa trama in sé non sempre conta. Se tra qualche anno, di questi racconti mi restasse ancora la stessa inquietudine, pur non ricordando nient’altro, Rebecca Lee potrebbe aver centrato parte dell’obiettivo. Solo una parte dell’obiettivo, perché quella sensazione deve esser associata a qualcosa di più sostanzioso. Ma il libro è del lettore e ciò che per me è stato evanescente per altri è stato profondo e intenso (così mi hanno scritto su facebook). Da qui al sole e Lince rossa sono stati i miei racconti preferiti, quelli in cui mi son ritrovata di più. Gli altri li ho letti con piacere ma non con lo stesso coinvolgimento.
Eliminaforse già l'ho detto: io ero una che "meglio i romanzi perché i racconti finiscono presto", poi ho iniziato a scriverli... :D
RispondiEliminaE ti riesce pure bene! Credo che non sia affatto semplice scrivere dei racconti. Tu hai colto la sfida, ed io ti leggo sempre con molto piacere.
EliminaI racconti, certo, non sono impresa facile, né' scriverli ne' appassionarsi, Ma come in tutte le cose, se l'artista è bravo ci sta. Buon fine settimana e buon Salone!
RispondiEliminaAl Salone manca ancora qualche giorno e sto già pagando pegno (Hai chiesto due giorni di ferie per metà maggio? Devi esser spolpata ben benino!!!) Conoscendo i tuoi gusti, non ti regalerei questo libro. Lo donerei, invece, alla nostra comune amica Amanda. A te consiglio il libro che sto leggendo in questo momento. Ancora un po' di pazienza e troverai un post boreale.
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