martedì 19 gennaio 2016

Coimbra, camminando sotto la pioggia

Zaino in spalla, prendiamo un intercity (con tanto di wifi perfettamente funzionante) che da Lisbona - Santa Apolonia ci porta nella favoleggiata Coimbra
Ho favoleggiato su Coimbra per quasi vent’anni. Molti dei miei compagni universitari scelsero la cittadina portoghese come meta per l’Erasmus (mentre io optai per il Galles). Partivano per un semestre e tornavano dopo un anno, raccontando di un luogo meraviglioso, giornate lunghe e indimenticabili, un centro universitario pazzesco. Noi studiavamo a Siena (che non è né brutta, né dispersiva); eravamo tutti studenti fuori sede (quindi già abbastanza autonomi ed indipendenti): Coimbra qualcosa di particolare doveva pur averlo per lasciare quella malinconia negli occhi dei miei compagni che non sarebbero più voluti tornare in terra toscana.


Approdiamo in una stazione ferroviaria di metà Novecento. Cielo grigio tendente al nero. Il nostro appartamentino è a due passi dalla stazione principale (Coimbra A). Via angusta e deserta. Il coniuge, con la faccia a punto interrogativo, mi fa: “Ma cosa c’è di bello da vedere a Coimbra?”. Un miraggio. La ricerca tardiva di un sogno da acchiappare? Non so rispondere.
Il loft essenziale ma molto carino (e altrettanto economico) ci mette di buonumore. Usciamo fiduciosi, pronti ad affrontare la pioggia. Ci dirigiamo nella parte alta di Coimbra, cuore della città e sede dell’Università. 


Visitiamo la storica Biblioteca Joanina, i cui soffitti in legno e oro provocano una leggera sensazione di soffocamento. L’architettura barocca, i libri posti ad altezze impossibili da raggiungere, la luce soffusa e l’umidità costante (per preservare gli antichi volumi) mettono a tacere il visitatore. Bisbigliamo, temendo di svegliare i leggendari pipistrelli che, sembra, popolino gli scaffali. Tali bestiole, cacciando tarli e insetti mangiatori di carta, pare contribuiscano alla salvaguardia dei volumi. 
Scaccio il pensiero dei pipistrelli e curioso tra le opere di Pessoa. Ma, a ben pensarci, mica mi ci vedo a girare tra i corridoi dell’università col rischio di inciampare nella lunga capa negra (il mantello nero a ruota indossato dagli studenti a Coimbra), chiedendo ai turisti di supportare le attività universitarie, acquistando una foto, scattata nel meraviglioso chiostro gotico della Sé Velha, o una piccola guida della cittadina portoghese.


Sotto la pioggia incessante, la Baixa, la zona pedonale in cui si concentrano localini e negozi, è una via deserta e un po’ triste. Gli azulejos perdono la loro brillantezza e si ammantano di malinconia; avvicinandoci al fiume Mondego e al Ponte di Santa Clara ritrovo quelle sensazioni che emergono dalla letteratura portoghese. Una specie di solitudine che ti stringe lo stomaco ma che ti ammalia, al punto da non farti staccare dalle pagine che stai leggendo. Lusitanitudine.

Mi aspettavo una cittadina allegra, solare, con sciami di ragazzi per le strade. Mi aspettavo di trovare un’altra me, a vent’anni. Invece ho trovato il fascino misterioso di pagine lette, storie dimenticate di cui mi è rimasto addosso solo l’odore di chiuso, una voglia di cioccolato caldo mentre fuori piove.


Tra le chiese più belle, sicuramente il Mosteiro de Santa Cruz, con le pareti decorate da azulejos e un pulpito straordinario. Una donnina, raccolta in preghiera, è infastidita dalla mia scarsa propensione allo scatto. E al monito di “Menina! Tira uma foto!”, immortalo le bellezze che mi circondano.
La cattedrale nuova mi impressiona solo per le due signore all’ingresso che, tra un gossip e l’altro, chiedono un’offerta volontaria di due euro per poter visitare la chiesa. Berciano senza ritegno, incuranti delle affissioni in ogni angolo che ammoniscono il visitatore al silenzio.
Nelle due serate piovose trascorse a Coimbra abbiamo starnutito tanto, soddisfatto il desiderio di lettura e brindato a suon di aspirina.
Qualora ve lo stiate chiedendo, nello zaino avevo infilato insieme all’ebookreader questi due volumetti, di cui vi narrerò prossimamente.


Più che in altri posti, sono andata via da Coimbra con la certezza che ogni città andrebbe vista in diversi momenti dell’anno. Anche i luoghi familiari mostrano un volto diverso illuminati dal sole; probabilmente, in una giornata di primavera, avrei visto un’altra Coimbra. E ci tornerò, perché tra le curiosità insoddisfatte c’è pure il non aver ascoltato il fado poetico di Coimbra, quello cantato da un uomo (e non dalla voce femminile, che caratterizza il fado di Lisbona). Dovrei tornarci a maggio, per i festeggiamenti della Queima das fitas, quando gli studenti celebrano la fine dell’anno accademico. In quei giorni, dubito che si respiri l’aria malinconica e silenziosa percepita agli inizi di gennaio. Chissà, prima o poi…  


La viaggiatrice segnala:
-     Noi s’è dormito qui. Abbiamo speso poco e goduto di un appartamento carinissimo e funzionale.
-      Per una gustosa pausa pranzo, Maria Portuguesa (R. Joaquim Antonio de Aguiar 134). Una dozzina di euro a persona (vino incluso). Proprietaria molto simpatica, locale piccolissimo ma particolare.


     

4 commenti:

  1. Il monito della donnina que ti incita a scattare una foto è un vero cameo. Ma di "queste cosiddette donnine" che io e mio marito chiamiamo "Sine", il Portogallo ne è pieno, soprattutto nei paesi piccoli. PS anche tu hai preso il virus della Lusitanitudine, vedo che ho coniato un nome che rende bene l'idea. :-)

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    1. Cara gemella malata di lusitanitudine, vedrai che prima o poi il termine da te coniato finirà sulla treccani per identificare “lo stato d’animo di dipendenza dal Portogallo, che si manifesta in una sorta di crogiolamento nella struggente malinconia delle persone innamorate della terra e della cultura lusitana”.

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    1. Amanda, a ripensarci oggi, a venti giorni di distanza, mi sembra esser passato un secolo. Ma è normale farsi travolgere dalle cose e dover faticare per strappare qualche ora per pensare? Boh!

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