«Se ancora non hai deciso cosa regalarmi per il compleanno,
potresti prendere Non abitiamo più qui di Andre
Dubus». Forse proprio per la sua sfacciataggine, Fabio è tra gli amici a
cui sono più affezionata. Gli regalo il suo Dubus e, a distanza di pochi
giorni, incuriosita, ne regalo una copia anche a me.
Vengo da un libro brutto assai, e dopo una decina di pagine,
Andre Dubus mi fa tornare l’amore per la lettura.
Dentro Non abitiamo più
qui ci sono Hank, Jack, Edith e Terry: due coppie, quattro amici, quattro
adulteri, quattro giovani della provincia americana diventati genitori troppo
presto. Ci sono figli, studentesse provocanti e smaliziate, sogni svaniti,
letteratura, fede in Dio, passione. Tutto condensato in tre racconti,
perfettamente incastrati tra loro.
È sconcertante ritrovare in un racconto le turbe mentali di mia
zia, casalinga perfetta. Più vado avanti nella lettura e più forte è il suono
della sua voce. A sconcertarmi ulteriormente è il fatto che sia un uomo a
parlarne. Un uomo che descrive il tedio, il senso di soffocamento e oppressione
che può atterrire quella che un tempo è stata una ragazza brillante, dagli
occhi azzurri e lo sguardo felice. Una ragazza che è stata travolta dal ruolo
di moglie, di mamma, dai letti da rifare, i piatti da lavare, dalla polvere in
ogni angolo e dall’ossessione della lavatrice e dell’asciugatrice (suvvia!,
alzi la mano chi tra voi femminucce non viva con l’incubo costante del bucato e
dei panni da piegare e stirare).
Da qualche anno sono
diventato allergico alle parole marito e moglie. Quando leggo o sento la parola
marito, io mi immagino un uomo di una serenità sinistra sulla sua station
wagon, che porta in giro la famiglia rumorosa una domenica pomeriggio.
Termineranno la giornata con un gelato, sedili della macchina appiccicosi,
stanchezza e arrabbiature.
Quando qualcuno dice
la parola moglie vedo il viso sicuro, possessivo e divertito di una donna in
cucina; fra tendine luminose, muri, l’odore di olio riscaldato e lei che porge
a suo marito un bacio non appena questi torna a casa sobrio, con la pancetta,
diretto verso qualche nebuloso obiettivo che è cominciato come amore, si è
trasformato in benessere economico durante il matrimonio, e ora si sta
convertendo in una dignitosa sopravvivenza.
Dubus va oltre la narrazione di ciò che è nascosto dietro al
quadretto felice della famiglia americana, spingendosi a raccontarci i
molteplici turbamenti che si celano nei tradimenti e negli inganni. Perché se
il matrimonio è una faccenda complessa, l’adulterio non è da meno. Le
contraddizioni dell’amore.
«Un tempo un uomo
aveva moglie e bambini. E quella era una vita. E poi aveva la puttana. Non confondeva
mai le due cose. Ma ora non è più così; un uomo ha la moglie e ha l’amante e si
confonde, capisci? Non sa più dove collocare i suoi sentimenti. È innamorato. E
questo è irragionevole».
Quando i pensieri si fanno così ingarbugliati da non riuscir più
a districarli, l’unico rimedio resta la corsa, quanto di più intimo c’è
nell’amicizia tra Jack e Hank. Svaniscono le preoccupazioni e resta solo il
lago, il sentiero, il bosco, il ritmo dei piedi e il respiro. Nell’ostinato sforzo di correre, non c’è più
nulla che possa distrarre il corpo da sé stesso.
Questi tre racconti sono anche una dichiarazione d’amore per la
scrittura e per la letteratura. Le parole che escono dalla pagina e che ti
aiutano a capire la tua vita; la scrittura che risponde alle domande evitate da
anni per il timore di dar voce alle tue paure. Basta leggere Cercarsi una ragazza in America (il
terzo dei racconti di questa raccolta) per trovare tutta la gioia di leggere e di
scrivere che deve aver caratterizzato la vita di Andre Dubus.
La letteratura era
ciò a cui Hank si rivolgeva per ritrovare passione ed eccitazione, era la possibilità
di aprire la porta su un mondo di interrogativi ai quali da solo non riusciva a
rispondere […] E allora finiva per preferire la compagnia di ragazze che amavano
la letteratura, e che se non avevano letto molto era per il semplice fatto che
erano ancora giovani.
Pagina dopo pagina, mi convinco del fatto che Dubus debba aver
abitato i suoi racconti, altrimenti non avrebbe potuto scrivere storie così
vere. E ho il sospetto che il racconto, più del romanzo, sia davvero la forma
più alta di letteratura.
Come i poeti, noi
scrittori di racconti viviamo in un mondo più sicuro. Non dobbiamo venderci a
nessuno, non dobbiamo affrettarci a scrivere per nessuno; il nostro solo debito
è verso noi stessi e verso quelle storie che vivono da qualche parte, dentro di
noi, fino a quando non decidiamo di metterle per iscritto.
Prima di riporre il libro, scorro di nuovo le pagine
sottolineate. E mi viene una gran voglia di leggere Checov.
Andre Dubus, Non abitiamo più qui
Traduzione di Nicola Manuppelli e Gian Fulvio Nori
Postfazione (splendida) di Tobias Wolff,
Mattioli 1885
Nota della lettrice
I tipi della Mattioli 1885 selezionano spesso piccoli capolavori
passati inosservati in Italia. Gli aspetti grafici, il formato e le copertine
dei libri sono impeccabili.
A mio avviso, in questo caso, una revisione della traduzione e
una più attenta correzione di bozza, avrebbe giovato. È un peccato sciupare la
perfezione per colpa di qualche sciatteria.
La combriccola dei libri in testa chiacchiererà di Andre Dubus giovedì, 21 gennaio alle ore 19.15,
alla libreria Altroquando di Roma (Via del Governo Vecchio, 82/83). Purtroppo
io non potrò partecipare, ma se ne avete la possibilità non saltate l’incontro!
Viva i racconti! E mi raccomando, scegli con cura l'edizione di Čechov, le vecchie traduzioni dei classici russi sono illeggibili.
RispondiEliminaAscolterò attentamente i tuoi consigli! Per restare in tema di racconti, al momento sto leggendo Rock Springs, una raccolta di racconti di Richard Ford. Non so se sia partita con il piede giusto, visto che è il mio primo approccio a Ford. Forse per iniziare avrei dovuto scegliere un romanzo?
EliminaOra mi domando: quale sarà mai stato il libro brutto che precedeva la lettura di questo? Mi piace il Manuppelli scrittore e poeta, poco invece so di lui come traduttore, hai letto il suo "bowling"?
RispondiEliminaIo ho scoperto Manuppelli come traduttore ma confesso di essere già un po' innamorata. Non so se sia merito suo o di Dubus. Per togliermi il dubbio, leggerò il suo Bowling che, mi par di capire, mi consigli caldamente.
EliminaPer quanto riguarda il libro brutto, non temere: ne parlerò prestissimo. Questo mese sono stata presa da diverse cose che non mi hanno permesso di raccontare le mie letture. Ma vuoi che non vi sconsigli un libro brutto??!
Post gradevolissimo, come sempre del resto. Scrivere la recensione sottolineando che si è convinti del fatto che l'autore debba aver abitato i suoi racconti è una frase bellissima.
RispondiEliminaGrazie gemmellina. E' facile scrivere una recensione quando il libro merita, come in questo caso.
EliminaFinalmente posso leggere la tua recensione.
RispondiEliminaAnche a me è piaciuto molto, come forse ti ho già detto più di una volta. L'ho trovato travolgente, in alcune parti arriva a essere anche struggente (Dio mio, la parte delle pentole è sensazionale).
Una scoperta unica quella di Dubus. Ma a Fabio grazie della scoperta non lo dirò mai :P
Mai dare certe soddisfazioni! Anche perché te lo ripeterebbe compiaciuto ogni sacrosanta volta in cui vi vedete. E poi non è merito suo. È la sua mania a frequentare tutti i gruppi di lettura del mondo che gli permette di scoprire voci nuove.
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