giovedì 2 luglio 2015

Cade la terra, Carmen Pellegrino e l’abbandonologia

I miei genitori abitano in campagna, una meravigliosa zona collinare immersa nel verde. Meravigliosa quando ero piccina e meravigliosa oggi che ho ricominciato ad apprezzare il piacere del silenzio. Asfissiante e detestata in adolescenza, quando vivere a qualche chilometro dalla “civiltà” mi tagliava fuori dagli incontri in piazzetta, dai racconti durante la ricreazione e dall'indipendenza che i miei compagni di classe sembravano possedere.
Da piccola, invece, quei posti erano magici. Vagavo tra i sentieri abitati da pecore e farfalle alla ricerca di folletti e gnomi. Giuro, credevo che i boschi fossero popolati da creature straordinarie. E un po’ ci credo ancora.
Mi rifugiavo nelle case abbandonate, affascinata dall’idea che in quei ruderi coperti dall’edera potessero nascondersi personaggi dai cappelli a punta e vestiti sgargianti. Guardavo i resti di quelle case e fantasticavo sulla vita di chi le aveva abitate. Chissà dove erano andate a finire quelle persone…
È stata la mia infanzia a farmi appuntare il nome di Carmen Pellegrino appena l’ottimo Giuseppe Fantasia l’ha menzionato. “Se vi capita, leggete Cade la terra, un romanzo singolare, scritto da un’abbandonologa”. Non che avessi mai sentito parlare prima dell’abbandonologia, ma l’immagine di quei ruderi coperti dall’edera m’è tornata davanti agli occhi. Gli scherzi della memoria.
Cercate sulla Treccani la parola abbandonologo. Leggerete:
Neologismo. Chi perlustra il territorio alla ricerca di borghi abbandonati, edifici pubblici e privati in rovina, strutture e attività dismesse (luna park, orti, giardini, stazioni, ecc.), di cui documentare l'esistenza e studiare la storia. Si chiama Carmen Pellegrino, fa l’abbandonologa. Giovane, molto bella, vive a Napoli. Leggo i suoi post su facebook, sono drammatici oppure evocativi. Racconta di luoghi mai visti, galleggiano nella sua stranissima percezione del mondo. […] Però nel suo balcone brillano al sole semi di viole o di margherite. Intanto cerca quel che resta, l’abbandonologa, i lutti nelle cose. Lei dice: “Provo una specie di premura per i ruderi. Come per le cose che hanno perduto la destinazione d’uso, e ora stanno e non attendono nulla, se non la parola che sgorghi dal fondo di chi le guarda. Non ci sono spettri, spiriti delle infestazioni”. (Veronica Tomassini, Fatto Quotidiano.it, 1° giugno 2014, Blog) • Carmen Pellegrino, professione abbandonologa (Huffington Post.it, 23 giugno 2014) • Per definirla correttamente c'è voluto addirittura un neologismo. Perizia di un accademico? No, trovata di un bambino (un po' linguacciuto). La racconta spesso. Sembra una fiaba, ma – assicura – è tutto vero: «Ero in libreria, sfogliavo un libro sulle rovine. “Che leggi?” mi chiese. Gli risposi, lui rimase zitto un momento. Poi, piuttosto compiaciuto: “Allora sei un'abbandonologa?”» (Andrea Cirolla, Corriere della sera, 20 luglio 2014, La Lettura, p. 11).    
 
Alento è un buco di mondo nel Cilento, una grancassa posata su un piano erboso destinata a dissolversi nella terra, circondato dai dossi dei Monti Alburni, un po’ distante dalla frazione di Terzo di Mezzo (Salerno). Alento è terra di contadini solitari, bifolchi che vivono nell’oscurità delle loro catapecchie; è terra di qualche signore superbo e di qualche ambizioso commerciante. 
Alento non esiste, è frutto della fantasia di Carmen Pellegrino, ma forse il paese non è troppo diverso da ciò che fu Roscigno Vecchia, con il suo olmo, la piazza e le strade un tempo popolate di bambini.

Fonte: Wikipedia
Estella scappa dal chiostro di Napoli, dove si era ritirata per farsi suora. Torna nella sua Alento, convinta di poter vivere nella casa materna ma trova solo polvere. È magra ma non è brutta né vecchia: gli occhi fissi come quelli di una civetta erano azzurri, un vero spreco di colore turchino, accentuati dai capelli che le sbattevano biondi sulle spalle.
Neppure Estella è mai esistita. O forse sì: ha abitato e abita la mente di Carmen Pellegrino come gli altri personaggi che popolano Cade la terra.
Incontriamo Libera Forti, nata Libera e finita ad intristire con uno zoticone con i peli che gli uscivano dal naso e dalle orecchie; Giacinto il guardio, il quale non aveva mai voluto farsi chiamare guardia perché guardio tornava meglio alla sua figura di uomo; Consiglio Parisi, il cui nome era uscito dal giornale che il giorno della sua nascita riportava la notizia del Consiglio di Stato per le terre liberate
Un libro che è pura poesia, per le immagini che evoca, per i suoni di parole abbandonate: la faccia di patifacula (gatta morta in dialetto cilentano), gli occhi agri, la legge lasca con i forti e accanita con i deboli, un barbaglio di memoria, il cipresso fumido che geme, i bifolchi insuperabili nell’impetrare miracoli…

Cade la terra è tra i 5 finalisti della 53ª edizione del Campiello. Confesso di non aver letto le altre opere selezionate, ma il romanzo dell’abbandonologa merita.


4 commenti:

  1. Una conterranea di cui non avevo sentito mai dire.
    Nonostante l'abbandolonologia come neologismo non mi attragga molto (mi ricorda in modo marcatissimo la paesologia dell'Arminio, che è anche poetica dell'abbandono, ma tant'è), ora sono curiosa.
    Grazie:)

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    1. Centrato in pieno. Io di Arminio non mai letto nulla ma è stato fatto il paragone tra i due. Se ti va, ascolta la puntata di Fahrenheit del 19/06 in cui veniva presentato il libro (non ti riporto il link del podcast perché è di una lunghezza esagerata). La tipa è particolare: io l’ho trovata affascinante.

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  2. Risposte
    1. In effetti il suono non è dei migliori. Però dà un’idea di come nascano e si diffondano rapidamente i neologismi nell’era dei social network. Un ragazzetto ti dice “allora sei un’abbandonologa”, tu lo scrivi su facebook e la Treccani dopo pochi giorni ti inserisce nel suo dizionario. Dieci anni fa una roba del genere era pura fantascienza.

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