«Sto leggendo il libro della tua Giusi Marchetta», invio. Un
antiquato sms, niente whatsapp. Lui,
che Giusi Marchetta me l’ha fatta conoscere trascinandomi alla presentazione di
una sua raccolta di racconti (Dai un bacio a chi vuoi tu, Terre di Mezzo
editore), ironizza: «Perché? Hai deciso che da grande farai l’insegnante?»
Se prima che essere scrittrice fai la prof. e se nei tuoi
interventi pubblici parli molto di ragazzi, corri il rischio che il tuo libro, Lettori si cresce, venga
considerato una sorta di manuale per addetti ai lavori. Se non sei insegnante
non lo sfogli a prescindere. Errore.
L’ho preso dopo una costruttiva pausa pranzo in cui un saccente
trentenne, laurea scientifica, ha confessato di non leggere libri perché “se
inizio un libro e mi prende, rischio di leggere tutta la notte. E non posso
andar a lavoro con gli occhi pesti solo perché sono rimasto a leggere”. Pochi
minuti prima, aveva dichiarato di esser stanco per aver fatto come al solito
tardi sbevazzando con i suoi amici. È socialmente giustificabile l’occhio pesto
per la consueta uscita serale, lo è meno il vizio di leggere. Vedendo che ho
sempre un libro con me, si è sentito in dovere di dire che leggere è una
vocazione, un’attività lodevole che rende le persone migliori.
No, non mi sento unta dal Signore solo perché leggo qualche
libro l’anno, né penso di essere migliore di un non lettore. Semmai peggiore.
Sono, ad esempio, una casalinga distratta: finisco di leggere il capitolo e poi,
solo molto poi, vado a rassettare la cucina; perché perder tempo nel preparare
un piatto elaborato, quando ho un romanzo da terminare? Sono una pendolare
asociale: apro il mio libro già sui binari, salgo sul treno e continuo la
lettura, evitando qualsiasi forma di contatto umano (salvo rare eccezioni. Ma
quelle sono persone a cui voglio veramente bene). In ufficio approfitto di ogni
ritaglio di tempo per tirar fuori il mio libro e immergermi altrove.
Perché? Quando ho iniziato?
Ahimè, non ho avuto insegnanti illuminate come Giusi Marchetta, ma neppure ricordo di aver mai sentito il “dovere” di leggere. Non sono neanche figlia di lettori ma, fortunatamente, i miei mi hanno sempre fatto percepire
che i soldi spesi per acquistare un libro fossero una forma di investimento. Si
facevano consigliare dal cartolibraio (no, nessuna libreria nei paraggi) o mi
facevano scegliere il mio regalo di carta, senza porre veti. Non ho mai pensato
che stessi sperperando del denaro. Sarà per questo che ancora continuo a
spendere soldi in libri anche quando dovrei frenarmi.
A ripensarci oggi, so di
non esser stata una lettrice vorace né da piccola né da adolescente. Comunque, il fatto stesso di leggere
per puro piacere, incurante che nessuno dei miei compagni leggesse,
mi sembra un piccolo miracolo.
Leggere non era più
un’alternativa alla noia, ma alla vita stessa, perché per quanto possa essere
spaventoso ammetterlo, i libri erano meglio di tutta la vita, non solo di
quella parte che veniva messa in pausa ogni tanto. […] Un desiderio legittimo
di fuggire, isolarci e proteggerci. Di cercare un’alternativa migliore alla
vita.
Dice proprio così Giusi Marchetta. E in modo del tutto
impopolare per un lettore, nonché insegnante, aggiunge che in fondo è la stessa
motivazione che spinge un adolescente oggi a consumarsi gli occhi davanti alla playstation.
Lettori si cresce non è un
vero saggio; è una lettera scritta con tono informale dalla prof. Marchetta al giovane
Polito, un ipotetico studente sveglio ma svogliato, come ce ne sono tanti.
Qui
dentro non c’è la ricetta in grado di trasformare in lettori un popolo che non
legge. Gli ultimi dati Istat affermano che nel 2014 solo il 41,4% della
popolazione italiana ha letto almeno un libro (dico uno) nel corso dell’anno. Le riflessioni della Marchetta non dovrebbero riguardare solo gli insegnanti ma noi tutti. Ci
sono le sue sconfitte in classe, ma anche le sue vittorie; ci sono le sconfitte
della scuola stessa, le biblioteche assenti, gli insegnanti non sempre
motivati, gli alunni distratti da una vita veloce e i genitori abbastanza
frustrati dalla quotidianità per preoccuparsi di quanto i loro figli amino la
letteratura o in cosa cerchino la bellezza. Non tutte le famiglie sono uguali. C’è
anche una non troppo leggera critica nei confronti di quei genitori sempre
pronti a soddisfare i desideri e le attese di figli viziati; di quei genitori che
sono più propensi a lamentarsi di quanto sia spesso il libro anziché spronare
alla lettura. Un atteggiamento che mi ricorda un gruppetto di mamme di mia
conoscenza (“Poverino!, ha troppi compiti da fare. Non può concedersi un attimo
di relax. Devo parlarne con la maestra”).
Leggo e lo farei in
continuazione: persone, paesaggi, possibilità sono stati trascurati nella corsa
e non mi è importato e non mi importa. È una fame che conosco, questa: mi
accompagna da sempre; quando non c’è, vuol dire che qualcosa non va e mi
costringe al digiuno. Avrei potuto fare altro, se non cercarmi un lavoro che mi
permettesse di leggere i libri e addirittura di raccontarli a chi non li aveva
mai letti?
Perciò perdona la
supponenza con cui mi propongo da tramite tra te e quest’arte bellissima, ma
una parte di me è convinta che questa potrebbe essere la strada per
accompagnarti al libro: non considerandola qualcosa che si limiti all’ora di
italiano così come non si ama a giorni alterni.
Forse leggere non servirà a niente ma oggi non riuscirei a
rinunciare al piacere di esplorare nuovi mondi, vivere altre vite, provare
rabbia, amore, orrore, noia, entusiasmo. Leggere non servirà a niente ma Giusi
Marchetta ha ragione: l’abitudine alla lettura fa diventare il libro un aspetto
irrinunciabile della nostra vita.
far leggere i miei nipoti è una sfida, quante legnate sui denti per la miseria, ma non demordo!
RispondiEliminaBravissima, però hai ragione, non è facile. Anch’io mi ostino a regalare libri e magari iniziare a leggerli insieme. Però i due decenni, dopo l’entusiasmo iniziale, sono distratti da altro e il libro viene dimenticato…
EliminaIn questi giorni (settimane anzi) di apatia al tutto e nervosismi mal celati, la lettura è l'ossigeno di cui non posso fare a meno.
RispondiEliminaAh! cara mia, noi due viaggiamo sullo stesso binario! Nervosismo è un eufemismo. Un eremo potrebbe essere la soluzione più appropriata per il mio caso. Sarà il caldo a rendermi così irritabile… Mah…
Elimina