Il
ciclismo non m’ha mai appassionato. Da qualche anno mi piace l’idea dei lunghi
percorsi in bici nel periodo estivo, salvo quelle due o tre volte in cui ho
pensato di scaraventare la bici nel primo corso d’acqua cammin facendo e salvo quelle
altre due o tre volte in cui alla proposta del coniuge “prossimo anno vacanze
in bici?”, ho avanzato la riposante controproposta “divorzio?”.
Il
coniuge non mi prende troppo sul serio perché sa che di fronte ad una ciclabile, o in una qualsiasi realtà amica delle biciclette, impiegherà meno di 5 minuti
nel convincermi a salire in sella. Alla fine, pedalare ha un suo perché.
Stravaccarmi sul divano per guardare qualcuno che pedala, invece, non ha alcun
perché. Neanche per il Giro d’Italia. Neanche per il Tour de France. Neanche
quando a pedalare era Pantani.
Quindi,
non è per rievocare le mirabolanti imprese del Pirata nel 1998 che ho deciso di
prendere in prestito Cadrò, sognando di volare di Fabio Genovesi (edito
di recente da Mondadori), né perché segua con particolare interesse la
narrativa italiana contemporanea. È stato uno stralcio di un’intervista
radiofonica ad incuriosirmi. Con il suo spiccato accento toscano, Genovesi,
classe 1974, stava dicendo una cosa del tipo “sono nato insieme agli anziani,
mio nonno aveva dieci fratelli maschi, non s’è sposato mai nessuno, quindi ho
vissuto con undici nonni perché ero il nipote di tutti loro. Vivo bene solo con
gli anziani; più uno è anziano, più mi sento a mio agio. Gli anziani hanno
passato di tutto e non hanno più nulla da perdere, solo loro sanno darti il consiglio giusto”. Il semaforo è passato dal rosso al verde, qualcuno dietro
di me ha suonato e io ho lentamente messo da parte la risata contagiosa di mio
nonno e la voce tonante di mia nonna, che sapeva bene come metterlo in riga.
Non credo d'aver mai chiesto loro un consiglio, non direttamente; bastava la loro
espressione per sapere se stessi facendo la cosa giusta o se avessi sbagliato
di grosso.
Insomma,
è la prima volta che sento la voce di Fabio Genovesi, non ho mai letto un suo
romanzo, Mondadori non è la mia casa editrice di riferimento, però prenoto il prestito
la sera stessa.
Siamo
nel 1998 e il protagonista del romanzo, Fabio, ventiquattrenne, studente di
giurisprudenza non troppo brillante, deve partire per il servizio civile.
Mentre i suoi amici fanno l’Erasmus in Spagna, Fabio viene spedito in una
località isolata, dove dovrebbe fare l’educatore in una scuola religiosa. Solo
che in quel luogo la scuola non c’è più da anni; sono rimasti due anziani
sacerdoti e una guardiana. Nessuno attende Fabio, non si capisce bene cosa
debba fare e da educatore si trasforma in una specie di assistente: inizierà ad
accudire e a lavare Don Basagni, un sacerdote ottantenne, apparentemente
incapace di alzarsi.
Fabio
potrebbe approfittare del nulla che lo circonda per scrivere la sua tesi e prepararsi
ad intraprendere la vita professionale pensata per lui. Potrebbe, se quella
vita gli piacesse. Oppure potrebbe osare: attaccare, alzarsi sui pedali,
scattare su per la montagna, crederci e tentare l’impossibile. Ma Fabio non è
mica Pantani che stacca Tonkov e va a vincere il Giro d’Italia; e poi, come se
non bastasse, va anche al Tour.
Fabio sa che dovrebbe fare qualcosa per uscire da quella gabbia che è la sua vita; eppure, è più facile rimanere nella vita che viviamo (anche se non ci piace), è più facile lamentarci che trovare il coraggio per fuggire. È più facile dire “me ne occuperò domani”, e poi domani, e poi domani… Ma così rischi di arrivare a 80 anni, come Don Basagni, senza che quel domani sia mai arrivato.
Fabio sa che dovrebbe fare qualcosa per uscire da quella gabbia che è la sua vita; eppure, è più facile rimanere nella vita che viviamo (anche se non ci piace), è più facile lamentarci che trovare il coraggio per fuggire. È più facile dire “me ne occuperò domani”, e poi domani, e poi domani… Ma così rischi di arrivare a 80 anni, come Don Basagni, senza che quel domani sia mai arrivato.
Genovesi
fa vedere un pezzo di Giro d’Italia anche a chi non ne ha mai visto una tappa
in vita sua; è bravo nell’intrecciare più storie e nel ricostruire con
delicatezza le imprese di Pantani, accennando appena alla brutta faccenda del
doping e al triste epilogo dell’esistenza del Pirata.
Cadrò,
sognando di volare fa parte dell’ultimo
pacchetto di libri presi in prestito prima della chiusura delle biblioteche.
Non è un’opera imprescindibile, né il romanzo da portare sull’isola deserta; probabilmente,
in “tempi normali” l’avrei snobbato. Ma Genovesi sa raccontare storie ed ha
avuto il merito di allontanare i pensieri foschi nei primi giorni dell’epidemia,
quando la mia mente faticava a concentrarsi sugli altri libri che giacevano sul comodino.
Per
ovvie ragioni, non so quando il libro tornerà alla biblioteca di Ciampino;
intanto è stato letto anche dal coniuge. Dice che alcune di quelle tappe se le
ricordava bene, perché il 1998 è stato un anno grandioso per il ciclismo
italiano; però, sostiene che non regalerebbe Cadrò, sognando di volare
a un ciclista. La bici resta sullo sfondo e non è detto che un ciclista
possa apprezzarlo. Se lo dice lui.
Insomma, potrei chiosare con un bel "lo scatto del riscatto".
RispondiEliminaPerché no! In fondo tutti abbiamo necessità di alzare la testa, di un'impennata, di pestar duro sui pedali della nostra vita. Proprio come fanno tutti i ciclisti. Quasi tutti...
Esatto. Non è un romanzo memorabile e forse strizza troppo l'occhio al lettore, ma hai presente quando ti fa bene sentir qualcuno che ti esorti a provarci, a non farti spaventare dalla contingenza e ad andar dritto per la tua strada? Sì, insomma, so che ci siamo capite.
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