martedì 14 aprile 2020

Raccontami una storia


Il ciclismo non m’ha mai appassionato. Da qualche anno mi piace l’idea dei lunghi percorsi in bici nel periodo estivo, salvo quelle due o tre volte in cui ho pensato di scaraventare la bici nel primo corso d’acqua cammin facendo e salvo quelle altre due o tre volte in cui alla proposta del coniuge “prossimo anno vacanze in bici?”, ho avanzato la riposante controproposta “divorzio?”.
Il coniuge non mi prende troppo sul serio perché sa che di fronte ad una ciclabile, o in una qualsiasi realtà amica delle biciclette, impiegherà meno di 5 minuti nel convincermi a salire in sella. Alla fine, pedalare ha un suo perché. Stravaccarmi sul divano per guardare qualcuno che pedala, invece, non ha alcun perché. Neanche per il Giro d’Italia. Neanche per il Tour de France. Neanche quando a pedalare era Pantani.
Quindi, non è per rievocare le mirabolanti imprese del Pirata nel 1998 che ho deciso di prendere in prestito Cadrò, sognando di volare di Fabio Genovesi (edito di recente da Mondadori), né perché segua con particolare interesse la narrativa italiana contemporanea. È stato uno stralcio di un’intervista radiofonica ad incuriosirmi. Con il suo spiccato accento toscano, Genovesi, classe 1974, stava dicendo una cosa del tipo “sono nato insieme agli anziani, mio nonno aveva dieci fratelli maschi, non s’è sposato mai nessuno, quindi ho vissuto con undici nonni perché ero il nipote di tutti loro. Vivo bene solo con gli anziani; più uno è anziano, più mi sento a mio agio. Gli anziani hanno passato di tutto e non hanno più nulla da perdere, solo loro sanno darti il consiglio giusto”. Il semaforo è passato dal rosso al verde, qualcuno dietro di me ha suonato e io ho lentamente messo da parte la risata contagiosa di mio nonno e la voce tonante di mia nonna, che sapeva bene come metterlo in riga. Non credo d'aver mai chiesto loro un consiglio, non direttamente; bastava la loro espressione per sapere se stessi facendo la cosa giusta o se avessi sbagliato di grosso.
Insomma, è la prima volta che sento la voce di Fabio Genovesi, non ho mai letto un suo romanzo, Mondadori non è la mia casa editrice di riferimento, però prenoto il prestito la sera stessa.
Siamo nel 1998 e il protagonista del romanzo, Fabio, ventiquattrenne, studente di giurisprudenza non troppo brillante, deve partire per il servizio civile. Mentre i suoi amici fanno l’Erasmus in Spagna, Fabio viene spedito in una località isolata, dove dovrebbe fare l’educatore in una scuola religiosa. Solo che in quel luogo la scuola non c’è più da anni; sono rimasti due anziani sacerdoti e una guardiana. Nessuno attende Fabio, non si capisce bene cosa debba fare e da educatore si trasforma in una specie di assistente: inizierà ad accudire e a lavare Don Basagni, un sacerdote ottantenne, apparentemente incapace di alzarsi.
Fabio potrebbe approfittare del nulla che lo circonda per scrivere la sua tesi e prepararsi ad intraprendere la vita professionale pensata per lui. Potrebbe, se quella vita gli piacesse. Oppure potrebbe osare: attaccare, alzarsi sui pedali, scattare su per la montagna, crederci e tentare l’impossibile. Ma Fabio non è mica Pantani che stacca Tonkov e va a vincere il Giro d’Italia; e poi, come se non bastasse, va anche al Tour. 
Fabio sa che dovrebbe fare qualcosa per uscire da quella gabbia che è la sua vita; eppure, è più facile rimanere nella vita che viviamo (anche se non ci piace), è più facile lamentarci che trovare il coraggio per fuggire. È più facile dire “me ne occuperò domani”, e poi domani, e poi domani… Ma così rischi di arrivare a 80 anni, come Don Basagni, senza che quel domani sia mai arrivato.
Genovesi fa vedere un pezzo di Giro d’Italia anche a chi non ne ha mai visto una tappa in vita sua; è bravo nell’intrecciare più storie e nel ricostruire con delicatezza le imprese di Pantani, accennando appena alla brutta faccenda del doping e al triste epilogo dell’esistenza del Pirata.
Cadrò, sognando di volare fa parte dell’ultimo pacchetto di libri presi in prestito prima della chiusura delle biblioteche. Non è un’opera imprescindibile, né il romanzo da portare sull’isola deserta; probabilmente, in “tempi normali” l’avrei snobbato. Ma Genovesi sa raccontare storie ed ha avuto il merito di allontanare i pensieri foschi nei primi giorni dell’epidemia, quando la mia mente faticava a concentrarsi sugli altri libri che giacevano sul comodino.
Per ovvie ragioni, non so quando il libro tornerà alla biblioteca di Ciampino; intanto è stato letto anche dal coniuge. Dice che alcune di quelle tappe se le ricordava bene, perché il 1998 è stato un anno grandioso per il ciclismo italiano; però, sostiene che non regalerebbe Cadrò, sognando di volare  a un ciclista. La bici resta sullo sfondo e non è detto che un ciclista possa apprezzarlo. Se lo dice lui.

2 commenti:

  1. Insomma, potrei chiosare con un bel "lo scatto del riscatto".
    Perché no! In fondo tutti abbiamo necessità di alzare la testa, di un'impennata, di pestar duro sui pedali della nostra vita. Proprio come fanno tutti i ciclisti. Quasi tutti...

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    1. Esatto. Non è un romanzo memorabile e forse strizza troppo l'occhio al lettore, ma hai presente quando ti fa bene sentir qualcuno che ti esorti a provarci, a non farti spaventare dalla contingenza e ad andar dritto per la tua strada? Sì, insomma, so che ci siamo capite.

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