Giravo
intorno ai libri di Donatella Di
Pietrantonio da parecchio tempo, ma l’occasione d’iniziare a leggerne uno è
arrivata solo qualche giorno fa, grazie alla proposta del gruppo di lettura del
baretto. Quelli del baretto sono gli
amici divenuti tali libro dopo libro; un gruppo informale che ancora non ha ben
deciso se sia meglio incontrarsi in una nota
libreria della Capitale (indipendente dai grossi gruppi editoriali) o in
un baretto, che spesso ci accoglie con aperitivi abbondanti (elemento che
incrementa l’indecisione). Talvolta è complicato incastrare i miei orari di
lavoro con i luoghi d’incontro del gruppo, però mi piace ascoltare l’opinione
di altri lettori su libri di recente pubblicazione, solitamente autori
contemporanei di cui, forse, avrei continuato a rimandare la lettura.
Con
l’ebook di Donatella Di Pietrantonio tra le mani ho finalmente iniziato a
pronunciare il titolo corretto del libro: l’Arminuta e non l’Arminauta, come
mi sono ostinata a ripetere fino alla settimana scorsa. Che poi, a ben
pensarci, la parola “arminauta” ricorda per assonanza quella di astronauta,
cosmonauta, persona che viaggia nello spazio, e racchiude un alone di mistero e
fascino. Niente di troppo diverso da ciò che deve esser stata “la ritornata” per
i ragazzi del paesino abruzzese in cui è ambientata la storia.
Donatella
Di Pietrantonio racconta in forma romanzata la pratica, a quanto pare piuttosto
diffusa nell’Abruzzo degli anni
Sessanta, del “donare i figli”: le madri di famiglie numerose e indigenti
davano in dono i propri figli a coppie sterili, benestanti, che avrebbero
potuto garantire un futuro migliore a quei neonati in sovrannumero, procreati
per caso. A volte le seconde madri erano parenti dei genitori biologici e
neppure veniva cambiato il cognome del bambino che avrebbero allevato.
A
tredici anni, l’Arminuta, ignara d’esser stata “adottata” da sua zia quando
aveva appena sei mesi, viene restituita
alla sua famiglia d’origine. Si ritrova circondata da fratelli che non conosce,
da una madre che non sa come chiamare, da un dialetto che non capisce e di cui
si vergogna, dall’odore di urina che impregna i materassi, dalla spontaneità di
una sorella di undici anni che l’aiuterà a cavarsela nella nuova vita.
La
Di Pietrantonio ha scritto un bel romanzo, in cui un italiano poetico si mescola
ad espressioni dialettali che rievocano un’Italia remota. Un dialetto in cui il verbo donare esiste
nella sola forma raccontata nel romanzo del “donare i bambini”, così come non
esiste il verbo tornare che diventa un “ri-venire”.
Più
che un romanzo sulla maternità mi è sembrato un romanzo sull’esser figli, sulla
ricerca di quel luogo sicuro che dovrebbe essere l’appartenenza, sapere chi poter abbracciare quando ci si sente smarriti. L’Arminuta non sa dove rifugiarsi. Porta in sé due mondi diversi e
due forme d’amore contrastanti: l’affetto della prima madre, racchiuso in una
coscia di pollo e un uovo sbattuto con la marsala, e l’accudimento dell’altra
madre, che si manifesta in un corso di nuoto, un cappotto nuovo, le lezioni di
danza. Due modi d’amare inconciliabili che fanno rimpiangere le “mamme normali,
quelle che avevano partorito i figli e li avevano tenuti con sé”. Due modi d’agire
di cui comprenderemo le motivazioni solo alla fine del romanzo, quando anche l’Arminuta
potrà rappacificarsi col suo destino di bambina donata e restituita.
Una
lettura piacevole.
Sai che non mi decidevo e invece forse adesso lo leggo, mah.
RispondiEliminaComunque il gruppo baretto mi pare una genialata
Non è una lettura imprescindibile (sempre che ne esista una), però è un libro piacevole, che si legge in un soffio. Chi ha letto altro dell'autrice, sostiene che bisognerebbe leggere "Bella mia".
EliminaL'unico intoppo del gruppo del baretto è che non ci riuniamo dietro l'angolo (rispetto al luogo in cui vivo/lavoro). Concettualmente è la mia forma ideale di condivisione della lettura: un bicchiere di vino al termine di una giornata di lavoro, chiacchierando del libro letto e un’altra decina di spunti di lettura.
E ti pare poco? A parte la strada da fare, tutta vita!
EliminaAh, ce l'avessi anch'io un gruppo del baretto al paesello! Cioè, c'è il gruppo di lettura della biblioteca, ma manca il vino...
EliminaSempre più convinta che la scelta di quanto recensito qui non sarà mai banale o deludente.
RispondiEliminaA riprova di ciò la foto che ti ho inviato ad inizio maggio: Gli anni della Ernaux e Grazia Cherchi sono stati oggetto di regalo per i cinquant'anni di una cara amica. Dono apprezzatissimo (ovvio).