Quando
qualche anno fa iniziai ad esplorare il mondo della piccola editoria, mi capitò
tra le mani il romanzo di una nigeriana dal nome impronunciabile, tal Chimamanda Ngozi Adichie, sconosciuta in Italia, più o meno
come la casa editrice Fusi Orari.
Iniziai a leggere il romanzo in metro, poi mi fermai a prendere un caffè prima
di andare a lezione di spagnolo. Il bar o la scuola di lingua ingoiarono L’ibisco viola. Mi
dissi che era una storia troppo cruda e che c’erano così tanti refusi da non
meritare di spendere dei soldi per acquistarne nuovamente una copia (se c’è una
cosa che non rimpiango è l’epoca squattrinata delle collaborazioni
occasionali). Lo presi come un segno e smisi di interrogarmi sul nesso tra
l’ibisco viola sperimentale di zia Ifeoma e l’evoluzione della libertà di
pensiero di Jaja.
–
Quello è un ibisco, vero zia? – chiese Jaja osservando una pianta vicina al
filo spinato. – Non sapevo che esistesse un ibisco viola.
Zia
Ifeoma rise e toccò il fiore, di una tonalità viola scuro tendente al blu. –
Hanno tutti la stessa reazione la prima volta. La mia amica Philippa è
professoressa di botanica. Ha fatto molti esperimenti mentre era qui. Guarda,
questa è un’ixora bianca, ma non sboccia completamente come quella rossa.
Jaja
seguì zia Ifeoma, mentre noi restammo fermi a osservarli.
–
O maka, è proprio bello, – disse
Jaja. Stava facendo scorrere un dito sul petalo di un fiore. La risata di zia
Ifeoma si prolungò di qualche altra sillaba.
–
Sì, è vero. Ho dovuto recintare il giardino perché i bambini del quartiere
venivano a cogliere molti dei fiori più insoliti. Ora faccio entrare soltanto
le ragazze che preparano l’altare della nostra chiesa o della chiesa protestante.
Chimamanda
Ngozi Adichie, quella ragazza dal nome impronunciabile che agli inizi del 2000
faticò non poco per farsi pubblicare, oggi è stata inserita dal Time Magazine
tra le cento persone più influenti del Pianeta, i suoi romanzi vengono tradotti
in trenta lingue, in Italia viene pubblicata dall’Einaudi e le sue opinioni sul
femminismo fanno discutere non poco.
Così, quando il mio gruppo di lettura ha
proposto di leggere proprio L’ibisco viola e non i romanzi più recenti della Adichie, ho capito che era arrivato
il momento di ricomprare il libro (ormai privo di refusi).
Ricordavo
il fanatismo religioso di Eugene, padre della quindicenne Kambili, voce
narrante del romanzo, e l’incongruenza tra la sua integrità morale e la
violenza esercitata nei confronti di una moglie sottomessa e dei due figli che
lo venerano. Ricordavo le atroci punizioni fisiche inflitte da Eugene, perché
le scene sono così crudeli e realistiche da non riuscir a prender sonno una
volta chiuso il libro.
Eugene
è il proprietario dell’unico giornale che non ha paura di denunciare la
corruzione del governo nigeriano, inneggia alla necessità del rinnovamento democratico,
è un uomo incorruttibile, critico verso il regime militare, finanzia ospedali
pediatrici, orfanotrofi e qualsiasi missione della chiesa cattolica di cui sia
a conoscenza. Ciononostante, riesce quasi ad uccidere sua figlia, colpevole di
voler bene al nonno paterno, a furia di calci.
La
sorella di papà, zia Ifeoma, una volta aveva detto che papà era un vero
prodotto del colonialismo.
Ci
ho messo un po’ per comprendere la connessione tra il fanatismo religioso di
Eugene, il suo ripudio verso un padre che adora divinità di legno e gli effetti
della colonizzazione. Se il bene è il cattolicesimo e il paganesimo è il male assoluto,
allora bisogna distruggere tutto ciò che è ancorato alle tradizioni del passato
e lottare contro chi le professa. La tradizione è sinonimo di paganesimo, come
tale inaccettabile da chi è stato tirato su dai sacerdoti e dalle sorelle della
missione.
Mi
sono immersa a tal punto nel romanzo, nel clima di terrore diffuso dai militari
nigeriani, nelle rivolte studentesche, nel processo di crescita di Kambili e di
suo fratello, Jaja, da non percepire nell’immediato quanto fosse dirompente il
ruolo delle donne in questa storia. Mi sono innamorata di Zia Ifeoma sin dalle
prime pagine, del suono chiocciante e cordiale della sua risata, della sua
camminata veloce, come una che sa esattamente
dove andare e cosa fare. Le labbra coperte di un brillante rossetto color
bronzo, il tono irriverente, l’idea assurda che la vita di una donna, talvolta,
possa iniziare quando finisce un matrimonio; la schiena dritta, l’onestà e la
sfrontatezza di dire in faccia ciò che si pensa. Anche se sei una donna. Anche
se sei nata a Enugu, Nigeria.
Quindi,
ho letto un romanzo femminista? Forse sì.
Nel
2003 ho scritto un romanzo intitolato L’ibisco
viola. Parla di un uomo che, tra le altre cose, picchia la moglie, e che
non fa una bella fine. Mentre promuovevo il libro in Nigeria, un giornalista –
un signore gentile e benintenzionato – mi ha voluto dare un consiglio (come saprete
i nigeriani sono sempre pronti a dare consigli non richiesti).
Mi
ha detto che secondo molte persone il mio era un romanzo femminista, e il suo
consiglio – parlava scuotendo la testa con aria triste – era di non dichiararmi
mai femminista, perché le femministe non trovano marito e sono infelici.
Così ho deciso di dichiararmi femminista felice.
[Chimamanda Ngozi Adichie, tratto dall’articolo Femminismo necessario, pubblicato su
Internazionale, n. 1079 del 28/11/2014]
Un libro che mi ha suscitato emozioni diverse: ho sorriso, ho
sofferto, qualche volta ho chiuso gli occhi e stretto le ginocchia al petto. Ho
riletto diversi passaggi, ho cambiato punto di vista nel corso della lettura e ho
scritto un post un po’ confusionario, perché certi romanzi generano piccoli terremoti
interiori di cui non è facile parlare.
Chimamanda Ngozi Adichie, L’ibisco viola (titolo originale Purple
Hibiscus), traduzione di Maria Giuseppina Cavallo, 2012, Giulio Einaudi
Editore.
Qui un assaggio del romanzo.
Ma quale confusione? ☺ Bravissima come sempre.
RispondiEliminaTroppo buona, mia cara. Un'autrice che merita attenzione.
EliminaQuante "Nigeria" ci sono, purtroppo, in giro per il mondo.
RispondiEliminaPS quando ti leggo, mi rammarico sempre che la biblioteca di Ciampino non sia più vicino a dove risiedo (intendo, quando son qui in Italia). Nel fine settimana ti scrivo in privato.
Insomma, questa mail in privato?
EliminaAnch'io, ora che hai ricominciato a scrivere, mi rammarico di non esser più vicina a te. Non in Italia, intendo.
Ecco un'autrice che tengo d'occhio da un po' ma, colpa una wishlist sempre troppo piena, non sono ancora riuscita a leggere. Da come ne parli, L'ibisco viola sembra un libro davvero molto bello e non vedo davvero l'ora di leggerlo anch'io. Grazie per la tua bella e sentitissima recensione :)
RispondiEliminaAh cara Mami, non parliamo di wishlist piene! Non parliamo neanche di libri presi in prestito e restituiti senza aver avuto il tempo di leggere. Non parliamo, poi, di tutti i soldi spesi per libri che chissà se riusciremo mai a leggere. E, già che ci siamo, non parliamo neppure di tutte le volte in cui ripetiamo "Basta!, non acquisterò più nulla fino a quando non avrò terminato di leggere tutti 'sti libri qui". Sì, certo...
EliminaUna grande, la Chimamanda!
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