venerdì 11 marzo 2016

Spingendo la notte più in là, Mario Calabresi



È uno di quei libri di cui non riesco a parlare facilmente. Lo acquistai qualche anno fa su un banchetto dell’usato, spinta dalla fascinazione per il giornalista Mario Calabresi, il suo modo pacato di raccontare i fatti, la sua penna. E perché venivo dalla lettura di Come mi batte forte il tuo cuore di Benedetta Tobagi, un altro di quei libri che mi hanno fatto sentire inadeguata, incapace di guardarmi indietro e di esprimere una mia opinione su cosa sia stata l’Italia degli anni Settanta.
Spingendo la notte più in là finì nel sovraffollato scaffale dei libri da leggere, ripescato il mese scorso grazie al gruppo di lettura (che seguo a distanza) della Biblioteca di Rocca Priora.
Il Commissario Luigi Calabresi lavorava a Milano, assegnato all’ufficio politico, dove, a partire dal 1968, si occupò di eversione. Nel corso dell’indagine, che seguì alla strage di Piazza Fontana, morì l’anarchico Giuseppe Pinelli, caduto dalla finestra dell’ufficio di Calabresi durante un lungo ed anomalo interrogatorio. Le indagini sulla morte di Pinelli erano ancora in corso quando Luigi Calabresi venne “giustiziato” mentre usciva di casa per andare a lavoro. Era il 1972 e Mario, il suo secondo figlio, aveva appena due anni.
Della “vicenda Calabresi” non ricordavo praticamente nulla, per motivi anagrafici e per pura ignoranza (non mi posso trincerare sempre dietro la giustificazione “i programmi scolastici non arrivavano agli anni di piombo”). Pensavo che, come ha fatto la Tobagi, anche Mario Calabresi avesse voluto ricostruire la figura paterna attraverso la scrittura. Errore.
Mario Calabresi non cerca suo padre, vuole raccontare altro. Ripercorre i momenti salienti del processo, le difficoltà di una famiglia a cui improvvisamente viene a mancare il marito, il babbo, il figlio. Si avverte la fatica di chi prova a mettere insieme i pezzi di un puzzle, capire cosa sia accaduto veramente, di cosa abbia sentito la mancanza. Punta il dito contro uno Stato latitante, lento nel cercare di ricostruire la verità, lontano dalle vittime, incapace di assumersi le proprie responsabilità. Uno Stato assente.

Oggi ci si continua a chiedere dove siano i responsabili dei centocinquanta morti delle stragi italiane e quanto silenzio complice avvolga ancora la storia del terrorismo rosso.
Penso che voltare pagina si possa e si debba fare, ma la prima cosa da ricordare è che ogni pagina ha due facciate e non ci si può preoccupare di leggerne una sola, quella dei terroristi o degli stragisti, bisogna preoccuparsi innanzitutto dell’altra: farsi carico delle vittime.

Si chiude il libro ammaliati dalla voce di Calabresi ma consapevoli del fatto che questa vicenda possa essere letta da un altro punto di vista: quello della famiglia Pinelli e dei tanti Pinelli sulla cui morte ci sono ancora diversi dubbi. A caldo, avresti voglia di cercare tutto ciò che è stato scritto su quegli anni (ed è stato scritto parecchio) per porre rimedio alla tua ignoranza; ancora una volta ti riproponi di aprire qualche saggio, perché non puoi rifugiarti sempre nei romanzi. Poi chissà se lo farai.  

8 commenti:

  1. Credo ci voglia un encomiabile coraggio ad affrontare questi argomenti, forse il coraggio è ancora più grande nello scrivere un romanzo, più che articoli di giornale e saggi. Nel romanzo, certo, la soggettività può essere, è spesso più forte, ma proprio per questo la bravura dello scrittore sta nel saperla gestire, senza scivolare in banale sentimentalismi, riprovevole odio o noiose banalità. Buon fine settimana!

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    1. Forse hai ragione. Coraggio sicuramente: elevatissimo il rischio di imbattersi in frasi tipo “ha indorato la pillola”, “l’ha dipinto come fosse un eroe” (cosa che Mario Calabresi, tra l'altro, non ha fatto). Boh!, forse dovrei leggere più romanzi a sfondo sociale/storico politico. Sarebbero ugualmente efficaci per ridurre la mia ignoranza.

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  2. Di Benedetta Tobagi ho letto "Una stella incoronata di buio" sulla strage di Piazza della Loggia, mentre non ho letto né Calabresi, né come mi batte forte il tuo cuore. Ho molto apprezzato la volontà di Napolitano di fare incontrare le vedove Calabresi e Pinelli che da sole hanno dovuto crescere i loro figli, entrambe travolte dalla furia di quegli anni; solo non userei il verbo cadere per Pinelli, presuppone un fatto accidentale, precipitato va meglio, se non vuoi o non puoi connotare il fatto, di accidentale in comunque non vi era nulla, anche se è assodato che Calabresi non era presente al fatto

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    1. A fine lettura, di dubbi ne restano parecchi. Ma l’obiettivo di Mario Calabresi non era certo quello di scrivere un libro in difesa del padre. Anche lui utilizza una frase simile alla tua per indicare quegli anni. Non parla esattamente di furia, ma il senso è quello. E no, hai ragione, credo che di accidentale non ci fu nulla.

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  3. Che anni pesanti da avere come sottofondo dell'infanzia. Ero al mare con i miei genitori quando comprarono il giornale e lessero della strage di Bologna. Anch'io un giorno vorrei ripercorrerli da adulta e cercare di rivederli con chiarezza. Per quanto sia possibile cercare chiarezza nei misteri della storia italiana recente.

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    1. Poi, quando entri nelle storie, alterni sgomento ad incredulità. Possibile che, a distanza di anni, non ci siano ancora risposte?

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  4. Credo che la chiarezza su quegli anni non sia cosa facile. Io mi trovavo a Milano, per puro caso, proprio il giorno dell' omicidio Calabresi e ricordo le locandine del Corriere prontamente esposte in ogni edicola con la notizia. Quanto alla strage di Bologna, beh, ci abito. E di quei giorni ricordo tutto, la voce di Bruno Vespa che giurava trattarsi dello scoppio di un tubo di metano; l' autobus della linea n. 37 che mi era passato davanti agli occhi con i drappi bianchi ai finestrini ( era stato trasformato in carro funebre collettivo) e poi le notizie successive e le ricerche dei due corpi mai più ritrovati perchè disintegrati. E quel dolore collettivo che si intrecciava con un mio fortissimo dolore personale.
    Quanto ai due libri, li ho apprezzati entrambi. Più giornalistico quello di Calabresi,intento anche a raccontare non solo di sè ma anche del disagio, a volte distruttivo, di coloro che restano orfani o vedove di questi morti ammazzati. Più approfondito e rigoroso, nella ricerca personale ( e storica,) quello della Tobagi, che raggiunge apici struggenti nella descrizione di quel nonno meraviglioso che non si perse nemmeno un' udienza. Libri importanti che aiutano a percorrere passi in questo cammino oscuro.

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    1. Cara Renza,
      ho provato un brivido nel leggere le prime righe del tuo commento. Non son mai riuscita a capacitarmi dell’assenza di ricordo da parte dei miei genitori. “Mamma, possibile che della strage di Piazza Fontana non ti sia rimasto nulla?” Era una cosa lontana.
      Mi fa paura quest’idea di “lontananza” che a volte prende anche me.
      Io ho amato molto il libro della Tobagi, ma sono di parte. Ammiro la sua capacità di esporsi, la sua grinta, la scrittura limpida, la sua fissazione (giustissima) per gli archivi e la ricerca storica.
      Cara Renza, grazie per esser passata da queste parti e aver condiviso la tua testimonianza.

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