«Ma tu vai da mamma nel weekend?»
«Ah, ho capito, una di quelle cose di libri che fai ma che non sono lavoro».
Non provengo da una famiglia di lettori: sono l’eccentrica della
casa, e mio fratello sintetizza tutto ciò che va dalle spedizioni in libreria
alle fiere dell’editoria in “quelle cose di libri”.
Di cose di libri negli
ultimi due mesi ne ho fatte diverse. Ne ho acquistato un numero sconsiderato (no,
non sono ancora stata licenziata, quindi non so quando troverò il tempo per
leggerli tutti, ma non soffermatevi sui dettagli); ho letto in treno, sul
divano fino a tarda notte, in pausa pranzo, in ogni ritaglio di tempo…
accumulando una decina di libri di cui prima o poi vi racconterò. E poi sono
andata a qualche presentazione in libreria e alla settima edizione di Libri come, dedicata a Roma e le altre (città).
Inizio da ciò che all’Auditorium non c’è stato. Ci sarebbe
dovuto essere un incontro con Magris e Covacich, Come Trieste, e a me brillavano gli occhi al solo pensiero. Ma una
decina di giorni fa è stato annullato. Ci sarebbero dovuti essere Piovani e
Proietti, ieri sera, a chiusura dell’evento. Ma nel pomeriggio un cartello
annunciava la loro assenza.
Pazienza. Però ci son stati altri momenti interessanti, a
partire dalla scoperta del nigeriano Chigozie Obioma (I pescatori, finalista al Man Booker Prize 2015, appena uscito in Italia
per Bompiani). Non ha parlato molto di città africane Obioma (ha ammesso di
aver viaggiato poco nel suo continente - It’s a shame, I know), ma ha portato
nella sala un pezzo di Lagos, la maggiore tra le metropoli africane. Ha
descritto con voce pacata e con un filo d’umorismo il rapporto che le ex
colonie hanno con la lingua.
Obioma è cresciuto nella parte occidentale della
Nigeria, dove si parla yoruba, ma i genitori provengono da una zona in cui si
parla igbo, la lingua dell’affetto, utilizzata dalla madre nell’augurare sogni
d’oro ai figli, la lingua delle coccole. Poi c’è l’inglese, la lingua
ufficiale, formale, quella comune a tutti, ma in fondo la più distante. Si
ricorre istintivamente all’inglese quando ci si irrita, quando si alza la voce,
quando bisogna rimproverare i ragazzi. La lingua in cui ci si nasconde quando
si prova odio.
Obioma ha raccontato la Nigeria che non è Boko Haram, la Nigeria
dalla storia tumultuosa; quella che legge Shakespeare, Thomas Hardy e che è
affascinata dai miti greci; e poi ha narrato la Nigeria di oggi, che fa i conti con il
crollo del prezzo del greggio. Tutto ciò sotto la regia di Igiaba Scego e la
magnifica traduzione di Marina Astrologo.
L’incontro con Jonathan
Coe è stato tra i più deludenti. Ho apprezzato il suo umorismo british, il racconto minuzioso della genesi
di Numero Undici (Feltrinelli editore), il suo ultimo romanzo, la rievocazione della famiglia Winshaw. Però non era ciò che mi aspettavo da un evento intitolato Come Londra. Della capitale inglese sì è
parlato pochissimo e solo alla chiusura della conversazione con Alessandro Mari,
mentre di Numero Undici si è raccontato
sin troppo, affievolendo la curiosità di chi, come me, non ha ancora letto il romanzo.
La mia Libri come si è
chiusa con il grande affabulatore: Camilleri
e le sue città. La sua voce calda e possente ci ha trascinati nel luogo in cui
più si è sentito a casa: Il Cairo. Siamo entrati tutti nel cortile con i fili
metallici in cui erano stesi i tappeti che nascondevano lo scorrere della vita dietro le
finestre. Abbiamo camminato nella Parigi di Simenon che tanto l’ha deluso; abbiamo
passeggiato nella Roma città aperta, la Roma accogliente del ’49; siamo andati
a Dublino, la Napoli del nord Europa, e poi a Vienna. Alla fine siamo tornati
in Italia, chiacchierando con Vittorini e immalinconendoci per le sorti del
Politecnico per poi approdare nel non luogo di Vigata.
L’abbiamo salutato a malincuore perché della voce di Camilleri
non ci si stanca mai.
Ahimè!, resta il rimpianto per gli appuntamenti mancati: Atticus Lish e
Garry Kasparov. Ma non si può fare tutto nella vita.
Non si può fare tutto ma ascoltare Camilleri "in persona, personalmente" come direbbe uno dei suoi personaggi, è già molto, anzi moltissimo. Che invidia!
RispondiEliminaLo ascoltai anche lo scorso anno e andai via col magone. La sua instabilità, i problemi con la vista e l’evidente incedere degli anni mi fecero pensare che forse sarebbe stata l’ultima volta. Invece no. Il peso degli anni si percepisce solo dalla lentezza dei movimenti; la voce, gli aneddoti, la capacità di farti vedere scene di vita quotidiana è rimasta intatta. Una forza della natura.
EliminaSe la forza della natura rimane intatta anche il prossimo anno, fammi sapere per tempo di questa manifestazione e la pensionata ti accompagna ad ascoltarlo.
EliminaOk, allora se l'incontro di Coe è stato deludente rosico un po' meno a non esserci stata.
RispondiEliminaSì, secondo me puoi anche smettere di rosicare. Mari ha raccontato gran parte dell’ultimo libro: “non vi dirò, non vi dirò, non vi dirò” ma intanto diceva…
EliminaNon so tu, ma per me Coe ha cominciato la sua parabola discendente con "La pioggia prima che cada" , quest'ultimo l'ha preso mia sorella, ma non l'ho ancora letto, Expo 58 confesso di averlo abbandonato ad un certo punto
RispondiEliminaCamilleri é come i racconti davanti al camino: non ce n'è mai abbastanza
EliminaBrava! Cercavo una metafora calzante per descrivere Camilleri e me l'hai fornita tu!
EliminaLa pioggia prima che cada non mi era dispiaciuto. Confesso di non aver letto i romanzi successivi. E da quello che scrivi, mi sa che non mi son persa troppo...
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