giovedì 5 novembre 2015

Le serenate del Ciclone, Romana Petri

Com’è possibile che abbia scoperto Romana Petri solo ora? Traduttrice, volto della casa editrice Cavallo di Ferro, scrittrice consigliatami da diversi amici, eppure mai presa in considerazione. Ci voleva il Neri Pozza bookclub per farmi aprire gli occhi.

Le serenate del Ciclone, malloppo del mese della Neri Pozza, mi ha catturato in un umido sabato d’autunno sdraiata sul divano. La Petri ha una scrittura musicale: l’inchiostro diventa suono ed è come se quella storia la stesse raccontando seduta accanto a te, con una tisana calda tra le mani. La musicalità sarà un dono ereditato dal babbo, Mario Petri, all’anagrafe Mario Pezzetta, nato a Perugia nel 1922, noto basso-baritono italiano e attore dalla fisicità ciclopica. E proprio del Ciclone Petri narra il romanzo. 
Ignoravo l’esistenza di questa possente figura (a mia discolpa il fatto che Petri si sia ritirato dalle scene poco prima che io nascessi), però i potenti mezzi di Google e You tube hanno suscitato un “Ah, ma eri tu!?!”.

Totò contro il pirata nero
Sì, era lui; un gigante trasformato in mito nella prima parte del romanzo, quella in cui la figlia si lascia prendere dalla penna e racconta in terza persona la storia epica di chi sembra destinato a sopravvivere a tutte le sciagure, a partire dal bel volo, a soli tre anni, dal davanzale della cucina nel casolare dei nonni. Caduta miracolosa che si risolve in un braccio rotto, aggiustato prodigiosamente dal nonno Damino. Mario sopravvive alle cinghiate di un padre violento e anaffettivo, al pestaggio in prigione da parte dei militari fascisti (ma non confondetelo con gli eroi della Resistenza!), ad una dose di un potente farmaco che avrebbe stroncato qualsiasi altro essere umano (ma che a lui vale l’addio alle armi della seconda guerra mondiale), ai pugni sul ring mollati da avversari più esperti del Ciclone ma meno tenaci.


Mario è il Supereroe, quello che se non ti stordisce con i pugni lo fa con le parole. Se sei una donna insensibile al fascino dei muscoli, capitolerai ascoltandolo cantare. 
Per tutta la prima parte del romanzo, ho sentito la voce dell’Elsa Morante di La Storia, forse per la descrizione epica dei personaggi, per i ritratti spavaldi e sfrontati della banda capeggiata dal Ciclone, per l’uso del dialetto umbro che sa d’altri tempi. 
Poi nasce Romana Petri, la narratrice diventa “io”, e il mito del Ciclone lascia il posto all’uomo Mario Petri. Non che prima lo ignorassi, ma le sfuriate tra padre e figlia, l’impazienza di fronte ad una moglie malata, l’incapacità di gestire il denaro, il rapporto gelido con un figlio troppo diverso da lui, il costante incubo della cartella delle tasse, rendono umana la divinità. Sembra che alla domanda di un giovane Petri: «Qual è stato il danno più grosso?», Tatiana Tolstoj abbia risposto sorridendo: «La rovina della mia vita sentimentale. Nessun uomo ha mai retto al suo confronto».  Ed io ho pensato che, nonostante l’amore racchiuso in questo libro, sia stato arduo essere la figlia (e ancor più, la moglie) di Mario Petri. Contemporaneamente, al pari di Tatiana Tolstoj, non dev’essere stato facile trovare un uomo che reggesse il confronto del Ciclone.


Qualche attento lettore del bookclub ha fatto notare alcune incongruenze nella narrazione; ma io mi sono lasciata trascinare dal ritmo della storia senza andar a verificare date e cronologia degli eventi. Le serenate del Ciclone è così denso di personaggi ed aneddoti che ogni tanto hai bisogno di riscuoterti. “No, questo non può essere vero. Questa storia qui la Romana se la sarà inventata sicuramente!”.
Sono rimasta molto stupita dalla coraggiosa presa di posizione dell’autrice nei confronti di Riccardo Muti. A quanto pare il maestro si comportò maluccio nei confronti di Petri (il quale lasciò le scene nel 75, dopo il celebre Macbeth diretto da Muti che inaugurò il Maggio Musicale Fiorentino). 
Il maestro viene ritratto come un uomo molto arrogante, malato di protagonismo e arido dal punto di vista umano. Son trascorsi 40 anni da quel Maggio Fiorentino ma il disprezzo provato da Romana Petri nei confronti del maestro è rimasto immutato.     
A libro chiuso, ammetto che avrei tagliato qualche pagina; però, ieri sera, ascoltando le parole della Petri alla prima presentazione romana del libro (libreria IBS –Libraccio), ho apprezzato il ruolo poco invasivo da parte della Neri Pozza che, a quanto pare, ha lasciato molta libertà all’autrice, pubblicando il romanzo così com’era stato concepito.

Dopo aver conosciuto il Ciclone, riuscirò a leggere i precedenti libri di Romana Petri scindendo la sua persona dall'ingombrante figura paterna?  


3 commenti:

  1. ora mi piacerebbe sapere che differenza c'è tra una sottolineatura rossa, una blu e una a matita :)

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    1. Pura follia cromatica. Tendo a sottolineare a matita e scribacchiare a matita. Poi, rileggendo qualche passaggio, sottolineo di nuovo. Molto dipende anche dalla qualità della carta, o dalla punta della matita. Insomma, nessun criterio logico. Tutto istinto.

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  2. Romana Petri l'ho conosciuta per merito delle belle parole che le ha riservato Antonio Tabucchi, ma non conoscevo la storia di suo padre.
    (È un bene, siamo troppo giovani! :) )

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