martedì 17 novembre 2015

E il mio cuore trasparente, Véronique Ovaldé

Véronique Ovaldé è venuta in Italia il mese scorso. Ho letto qualche articolo, ho ascoltato un’intervista e mi son detta To’ guarda! Un’altra giovane autrice francese di cui non so nulla.
Mi son fermata davanti ad una pila di La sorella cattiva, ma poi mi è caduto l’occhio su E il mio cuore trasparenteZac!, portato a casa perché non puoi lasciare sullo scaffale un libro che inizia così:

La moglie di Lancelot è morta stanotte.
Il giorno del loro primo incontro, quando le aveva detto, Mi chiamo Lancelot, lui aveva assunto un’espressione davvero dispiaciuta, un’espressione contrita che l’aveva conquistata. Lei gli aveva risposto, Ah be’, non c’è problema, io ti chiamerò Paul. Poi era scoppiata a ridere quando lui aveva aggiunto che il suo cognome era Rubinstein. Lancelot Rubinstein. Lui si era sentito offeso e al tempo stesso affascinato dalla risata di sua moglie – che non era ancora sua moglie. La sua risata rimbalzava, era una risata che faceva piccoli saltelli su tutte le superfici lisce e riflettenti che si trovavano intorno. Lancelot Rubinstein aveva pensato che da quel momento in poi sarebbe stato un problema farne a meno. Gli faceva venire in mente una cosa calda e lanosa.

Chissà com’è vivere con un uomo che associa la tua risata ad una cosa calda e lanosa, che ti porta le fragole quando hai voglia di fragole, che beve il tè bruciandosi coscienziosamente il palato, che ti ama in modo così assoluto da non chiedersi cosa nascondano quegli strani viaggi mascherati da reportage nei luoghi più disparati del mondo.
Lancelot – Paul fa il correttore di bozze; vive di parole, prende tutto alla lettera e non sa che farsene del tempo che intercorre da una bozza alla successiva. Non coltiva nessuna vita sociale perché gli dà l’idea di una perdita di concentrazione; mangia in piedi il suo panino con i cetrioli, contemplando i gatti che saltano da un ramo all’altro del cinnamomo, beve tè verde e legge un giallo nel tempo libero (solo cose che non lo impegnino troppo).
Irina è una donna dalla bellezza imbarazzante, con la pelle liscia e senza profumo, e il rossetto perfetto Rouge de Rouge; va in giro indossando vestiti praticamente trasparenti e calzando scarpe dai tacchi vertiginosi. È vegetariana, animalista, un’attivista politica che si è data parecchio da fare, anche se Lancelot ignora cosa ciò significhi. All’occorrenza parla spagnolo, mandarino e chissà quale altra lingua; va a feste organizzate da amici in due o tre camere di un centro sociale con i muri buttati giù a mazzate.



E il mio cuore trasparente non è un thriller, anche se pagina dopo pagina emergono dettagli più inquietanti sulla vita di Irina. Si vuol scoprire cosa nasconda la sua morte, ma forse si resta affascinati dallo stile più che dal mistero. Strada facendo il romanzo perde il mordente iniziale e il ritmo della lettura rallenta. Si vorrebbe strattonare Lancelot, dargli un paio di schiaffi e gettar via le miracolose pillole che attutiscono il dolore della perdita ma lo allontanano sempre più dalla realtà.
Irina muore e Lancelot si accorge di non conoscere la donna che ha amato incondizionatamente, al punto da assecondare ogni sua decisione.
Chi ho sposato? Come si può conoscere così male la persona con cui si vive?
E la domanda continua a ronzarti nella testa a libro finito.  
Traduzione dal francese di Lorenza Pieri.


4 commenti:

  1. Van di moda i coniugi morti con i sopravvissuti che sbattono i denti su realtà inimmaginate

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    1. A volte mentre scrivo un post mi chiedo quale sarà il tuo commento. Non mi deludi mai.
      La Ovaldè ha uno stile interessante. Libro non eccelso ma credo che leggerò anche La sorella cattiva.

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  2. Quesito finale altamente filosofico, che troppe volte ci si pone, anche nei riguardi di quel tempo che abbiamo sprecato a non ascoltare o a non fermarci di più a parlare con l'altro; sia esso il compagno o l'amico o il parente.

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