mercoledì 14 ottobre 2015

Amitav Ghosh e la saga dell’oppio

“No, dai, un altro librozzo pesoso nun lo reggo. Io con il bookclub della Neri Pozza ho chiuso!”

Giuro, l’ho pensato veramente quando a settembre il corriere mi ha mollato i compiti per casa inviati dalla casa editrice. Mai letto Amitav Ghosh in precedenza. Con gli asiatici, anche quelli che scrivono in lingua inglese, anche quelli famosi, non ho gran feeling. Non appena ho realizzato che oltre ad essere un librozzo, aveva a che fare con velieri e con la navigazione ed era pure il terzo volume di una saga di cui, ovviamente, non avevo letto i primi due tomi, ho accantonato la bozza. Poi, il senso del dovere e la curiosità hanno avuto la meglio. Son partita da Mare di papaveri, of course, ed è scoccata la scintilla.

Non che fosse particolarmente elegante o slanciata, anzi, la Ibis era una goletta d’aspetto antiquato, non leggera e a ponte libero come i clipper per i quali Baltimora andava famosa. Aveva un cassero corto, un alto castello di prora, con un ponte del castello tra i masconi e un casotto a mezzanave che fungeva da cambusa e da cabina per camerieri di bordo e nostromi […] 
Ai suoi occhi, la Ibis aveva qualcosa di particolarmente aggraziato, che la faceva somigliare a uno yacht. Con le vele di maestra e di prora ben tese poteva davvero far pensare a un uccello dalle bianche ali in volo; al confronto, altre navi di alta alberatura con le loro cataste di vele quadre apparivano quasi goffe.
George Chinnery
Della Ibis, Zachary sapeva che era stata costruita per fungere da “blackbirder”, nave negriera
E proprio quella era la ragione per cui era passata di mano: dopo l’abolizione formale della tratta degli schiavi, le navi inglesi e americane sorvegliavano sempre più numerose la costa occidentale dell’Africa, e la Ibis non era abbastanza veloce per avere la certezza di poter fuggire. Come altre navi negriere, era stata comprata per essere adibita a un diverso commercio: l’esportazione di oppio. In questo caso l’acquirente era la Burnham Bros., società commerciale di trasporti marittimi con vasti interessi in India e in Cina.

Da un mesetto ormai pendolo tra le acque del Gange e la Fanqui-town di Canton, l’enclave in cui risiedono i mercanti stranieri a metà nell’Ottocento; ho attraversato il Nero Oceano travestita da coolie (alias schiavo); ho trascorso giorni travagliati da lascara su imbarcazioni di ogni sorta; mi sono fermata per un po’ a Canton. Ho guardato incuriosita le belle ragazze sing-song sulle barche-fiore e le povere ma allegre barcaiole che lavorano con piedi scalzi, pronte a contrattare per qualsiasi commissione. 

 Ho assaporato piatti nuovi, incantata dal profumo delle spezie e da nomi stravaganti: non si può rifiutare la zuppa detta “Buddha che salta il muro”. Ci vogliono due giorni per cucinarla e trenta diversi ingredienti. Magari sarebbe stato più saggio chiedere prima quali fossero gli ingredienti: croccanti germogli di bambù e succose capesante, coriacei tendini di maiale e guance di pesce (pesci con le guance non ne avevo mai visti…) Una sinfonia di consistenze e sapori contrastanti ma armonizzati con cura, che si dice abbiano spinto molti monaci a rompere i voti. 
Qualche volta mi sono spinta fino a Macao, ho visto piante insolite e fiori colorati.
George Chinnery
Ho scoperto un’altra Hong Kong: un posto scarsamente popolato e costantemente battuto dal vento, natura selvaggia e belle orchidee. Luogo eccellente per dedicarsi alla botanica. Mi si è ingarbugliata la lingua nel tentativo di pronunciare parole strane: una contaminazione tra hindi, urdu, cinese; parole di cui capisci il significato solo dal contesto ma il cui suono dopo qualche pagina ti sembra così chiaro da aver la sensazione di pronunciarle da sempre. Poi tra un termine lascaro, da marinaia quale sono diventata, e un’espressione cinese, spunta una sofisticata esclamazione in francese puro. Una mescolanza di lingue che fa materializzare cinesi e indiani, negri e donne tatuate dai capelli rossi di hennè.   

Ora sono di nuovo a Canton. Il commissario Lin Zexu non ne vuole sapere di darla vinta agli inglesi e continua a vietare il commercio di oppio. I mercanti inglesi dietro il vessillo del libero mercato pensano di poter eludere le norme cinesi. Gli inglesi esportano la libertà e pertanto non sono soggetti ad alcuna legge.

Parla Lin Zexu. «È cosa risaputa che gli stranieri che vengono a commerciare a Canton hanno accumulato enormi profitti. È dimostrato dai fatti. Le vostre navi che negli anni passati ammontavano annualmente a poche decine adesso sono molte di più. […] Siete voi stranieri riconoscenti per i favori a voi concessi dall'Imperatore? In tal caso dovete rispettare le nostre leggi e nel cercare vantaggi per voi stessi non dovete recare danno agli altri. Come può dunque succedere che portiate l'oppio all'interno del nostro paese, rovinando le persone e distruggendo la loro stessa vita? […] In passato le restrizioni contro l'oppio erano relativamente fiacche, ma adesso la collera del grande Imperatore è al colmo e non allenterà la presa finché il male non sarà completamente e interamente debellato. Voi stranieri che siete venuti a vivere nel nostro paese dovreste, ragionevolmente, sottomettervi alle nostre leggi come fanno i nativi della Cina».

La guerra è iniziata ed io mai avrei pensato di schierarmi con i Cinesi... 

Note a margine: la lingua è uno dei grandi protagonisti della trilogia e i due traduttori italiani, Anna Nadotti e Norman Gobetti, hanno fatto un lavoro eccezionale.

2 commenti:

  1. Eh, ma è per questo che ti è piaciuta tanto. Con due traduttori così... :-)

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    1. Non so perché ma avevo come il sospetto che tu potessi fare un’osservazione del genere… Comunque, non so come siano i testi in lingua originale, ma si percepisce un lavoro di traduzione enorme. Ma come faremmo noi poveri lettori senza la vostra presenza????

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