Umore
altalenate e grigio, come queste giornate di inizio autunno. È venerdì, sono
ancora in ufficio ma la mente è altrove. Uno sguardo distratto alle mail.
Mestiere di scrivere pubblicizza l’apertura di un nuovo spazio a Roma dedicato
alle scritture. Si chiama Finestre sul cortile, è a due passi dalla Stazione
Termini e inaugura con la presentazione di un libro di tal Francesca Sanzo, alias
Panzallaria. “Chi meglio di lei può testimoniare del poter trasformativo di una
storia?”, chiosa Luisa Carrada che parteciperà all’incontro.
Agisco
d’impulso. Non so chi sia Francesca Sanzo né quanto possa interessarmi un libro
intitolato 102 chili sull’anima ma Luisa Carrada è una professionista
seria, l’incontro è gratuito, il luogo e l’orario abbastanza compatibili con la
chiusura della mia giornata lavorativa. Vado.
Strada
facendo scopro che Francesca Sanzo, prima di essere scrittrice, è molte cose: donna
solare e grintosa, blogger, digital coach,
mamma. Il blog la ritrae come una sorridente donna dai capelli corti, che
taglia il traguardo della Run tune up
di Bologna, una bella mezza maratona che si corre ogni anno (bella davvero: nel
2014 c’ero anch’io). L’immagine che vedo mal si concilia con la parola dieta e
ancora meno con l’idea di obesità. Quella donna in vita sua non può mai aver
pesato oltre il quintale. Impossibile.
Finestre sul cortile nasce con l’ambizione di approfondire e offrire nuovi strumenti per
fare storie, imparare l’arte dello storytelling, scrivere in modo efficace;
tutto attraverso un mix di corsi ad hoc e
incontri (gratuiti) con professionisti della narrazione (scrittori, blogger,
poeti, fotografi…).
Mi guardo
intorno e, tranne tre misere eccezioni, vedo solo donne. Che l’arte della
scrittura sia una prerogativa femminile? O forse le presenti sono lì per il
sottotitolo del libro “La storia di una donna e della sua muta per uscire
dall’obesità”? Istintivamente mi guardo di nuovo intorno e peso le partecipanti. E i chili di troppo sono solo una prerogativa
femminile? Siamo solo noi femminucce a preoccuparci del rapporto disfunzionale
col cibo, a riconoscerlo, a sfidare lo sguardo altrui, ad aprirci al confronto
e all’ascolto di esperienze analoghe?
Francesca
inizia a parlare; più racconta più mi sembra impossibile che questa donna, appena due anni fa, vivesse con più di 40 chili di ciccia addosso rispetto ad
oggi. Si mette a nudo senza parlare di dieta e sacrifici. Racconta di
trasformazione, di pensieri in movimento, di quanto sia difficile riconoscere
le nostre paure, di quanto si tergiversi prima di affrontarle, dei compromessi
che quotidianamente stringiamo con la nostra anima nera.
Svela le sue paure
senza arrossire. Narra che per affrontarle, lei che di mestiere gioca tutti i
giorni con le parole e che attraverso le parole è diventata famosa (il blog),
ha capito di dover scrivere. Una scrittura intima, privata. Un diario cartaceo,
una scrittura manuale, la necessità di non pensare ai congiuntivi né agli
errori grammaticali. Riflessioni scritte per sé stessa, nessun filtro, nessuna
esigenza di essere simpatica o di dover piacere.
“Anche se
non si è abituati a scrivere, bisogna sforzarsi: quando teniamo un diario, lo
facciamo per noi stessi. Possiamo usare la sintassi che preferiamo e non c’è
bisogno di farci capire da altri se non da noi. Possiamo buttar giù delle
parole, brevi pensieri, degli appunti. A volte saranno parolacce, altre saranno
lettere d’amore per la parte più complicata di noi.”
Poi viene
102 chili sull’anima. È ancora un’altra scrittura. Non è un manuale, non è
un’opera lirica né romanzata; Francesca si racconta come se continuassimo ad
essere sedute nella stessa stanza. Qualche volta si ripete, enfatizza troppo
alcuni passaggi, ma si sente la scrittura di getto di chi ha bisogno di
condividere un’esperienza. Di farlo subito prima che un ripensamento interrompa
la narrazione e ne metta in dubbio la pubblicazione.
Non
bisogna essere obesi per acquistare 102 chili sull’anima. Non bisogna
essere a dieta, né avere disturbi alimentari. Una come me, che non ha mai avuto
così tanti chili sull’anima, ha sottolineato diversi passaggi perché non
bisogna essere grassi per sentirsi inadeguati, frustrati, in conflitto con il
proprio corpo. Ci si può sentire pesanti anche in un corpo di 45 chili; anche i
magri possono avere duemila paturnie e il sospetto di doverle analizzare per
ricominciare a volersi bene.
il problema è sempre quello sapersi voler bene :)
RispondiEliminaChe pare cosa ovvia, ma tanto ovvia non è mai.
EliminaPensa, in questo giorni di polemiche noiose sul nostro rapporto con il corpo (vedi anoressica vs. cicciona invidiosa), questo libro mi sembra una delle poche cose interessanti che ho sentito ultimamente sulla questione.
RispondiEliminaHo voluto parlarne per il mix di anima, corpo, mente, rapporto con il cibo e con lo sport che viene fuori dal libro. Tra i vari spunti di riflessione, sono stata colpita dal concetto di invisibilità legata alla ciccia. L’autrice, pur non essendo timida, dice che essere una cicciona le garantiva la sicurezza di essere invisibile, di non essere guardata dagli altri (alla faccia di chi pensa che le obese guardino con invidia le anoressiche). Un’inezia, forse, ma io non avevo mai pensato ad alcuni risvolti psicologici collegati all’obesità.
EliminaUno scritto semplice, quasi diaristico, eppure non banale.