Guardi la
copertina e pensi a quei balli favolosi in quelle ville fantasmagoriche in cui
si arriva con limousine e autista personale (pronto a raccattarti ubriaca persa), abito lungo, sguardo ammiccante. “Il cocktail dai Pratt? Una noia
mortale! Mi hanno invitato anche a St. Moritz... [occhi al cielo]...onestamente non credo di poterli
sopportare per un intero weekend!!” Risatina interrotta dall’arrivo di un
ragazzo bruno in smoking con un flûte di champagne nella mano destra mentre
poggia la sinistra sulla spalla nuda di un’altra deliziosa biondina dagli occhi
maliziosi. “Patrick caro, che piacere rivederti!”.
Soppesi il
libro, zittisci le voci che si stanno impossessando di te, e valuti se sia
opportuno trascorrere almeno un paio di settimane con Patrick Melrose solo
perché la tua parte irrazionale si è invaghita di una copertina e sta già
favoleggiando; la parte razionale ricorda all’irrazionale che nella libreria ci
sono almeno una ventina di classici, altrettanto voluminosi, in attesa di
essere aperti. Le due scendono a compromesso: non acquisti il libro ma lo prendi
in prestito in biblioteca, tanto per spiluccarlo un po’.
Ahimè, la
copertina t’ha tratto in inganno: a fare da aperitivo ci sono feste, cene,
cocktail, weekend sfarzosi, risatine ipocrite, baci e bacetti. Ma le portate
principali sono i soprusi, gli aghi che si ingegnano per trovare una vena, un
buon mix di ero e cocaina. Ogni tanto ci si chiude in cliniche costose e se ne
esce disintossicati. Si smette di parlare con il televisore, ma la notte c’è tutto
quel silenzio… Gli occhi sbarrati. I sonniferi inutili. Però c’è sempre
l’alcool. E magari il cocktail di alcool e antidepressivi.
Il tomone
della Neri Pozza racchiude quattro romanzi della saga dei Melrose. Il primo
pugno lo prendi dritto in faccia, senza preavviso, a pagina 81, nel vedere il
corpo di Patrick, cinque anni, schiacciato contro il letto, mentre la sua mente
è appollaiata sul bastone della tenda nella camera del padre.
I calci
all’altezza dello sterno ti arrivano nel secondo volume. Sei già più preparato
ma la spasmodica ricerca di una vena per spararsi una bella dose ti fa comunque
piegare in due. Tutto raccontato nei minimi dettagli. In modo così minuzioso
che chi scrive non può che esserne miracolosamente
sopravvissuto.
Edward St Aubyn fotografato da Brigitte Lacombe
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A quel punto è
chiaro che il librozzo lo leggerai fino alla fine perché sei una persona
sensibile, con l’animo da crocerossina e un po’ Patrick Melrose vorresti aiutarlo.
Entrare a casa sua, preparargli un caffè, dirgli che sì, poveretto, è stato il
frutto di un abuso, persona non gradita sin da subito. Certo, nonostante tanto
lusso, non ha avuto un’infanzia dorata: con quel padre che gli è toccato il
minimo che potesse capitargli era diventare un tossico! Ma ora basta, siamo
diventati adulti, il passato è passato e non si può vivere sostituendo una
dipendenza all’altra. Eppure Patrick riesce ad annientare la tua buona volontà.
È un tal disfattista da non porre limiti alla capacità di farsi del male. E tu
resti lì, a lettura conclusa, chiedendoti che fine farà il povero Patrick. Così
prendi in prestito anche “Lieto fine”, romanzo conclusivo della saga. Stavolta senza
lasciarti ingannare dal titolo.
I Melrose,
Edward St Aubyn
Traduzione dall’inglese
di Luca Briasco, Neri Pozza (Bloom)
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