sabato 27 agosto 2011

Austria – Salisburgo

Tutti i nostri arrivi (se si esclude Steyr) sono stati caratterizzati da cielo cupo e da una leggera pioggia. Salisburgo non è stata da meno. Pioggia battente per un’intera giornata; poi è spuntato un timido sole, la temperatura si è addolcita ed improvvisamente è arrivata l’estate.


Centro storico splendido, accogliente, con edifici barocchi che si alternano a costruzioni gotiche, il fiume Salzach scorre solo apparentemente lento. Intorno alla città, le due alture del Kapuzinerberg e del Mönchsberg; su quest’ultima è stata costruita un’imponente fortezza (Hohensalzburg) in pietra bianca, cinta da grossi bastioni.
Bella Salisburgo, eppure Mozart detestava la sua città natale. Troppo chiusa ed assopita rispetto alle grandi città europee. Salisburgo, al contrario, non fa che venerare il suo geniale figliolo, trasformandolo in un bel business. In fondo, come fare diversamente, vista la moltitudine di turisti che si riversa nella città? Numerosi e rumorosi; tanto da smorzarne la bellezza. Se però si percorrono le vie centrali al mattino, con i negozi chiusi e la gran parte dei turisti dormienti, ci si guarda intorno estasiati perché Salisburgo, nonostante gli edifici pomposi, riesce ad essere cordiale come un piccolo borgo di montagna.
Confesso che, in quanto città natale di Mozart, m’aspettavo di trovare tracce più tangibili della sua esistenza. Di fatto, però, non avendo mai amato la “sua città”, tutto ciò che si trova a Salisburgo è più una ricostruzione della vita dell’artista e della sua famiglia, fatta a posteriori, che un reale segno della presenza di Amadeus. Come dire, la città lo ricorda e sfrutta il suo nome ma lo spirito di Mozart aleggia altrove.
Il cercarlo ed il non trovarlo ha un che di malinconico. Io l’ho cercato nella casa natia, al terzo piano della Getreidegasse 9, un edificio giallo in quella che oggi e la via principale dello shopping. Mi sono fatta largo tra i giapponesi che scattavano foto dappertutto e i nostri connazionali che lamentavano a gran voce l’assenza di audioguide/traduzioni in italiano.
L’appartamento della famiglia Mozart è parte del museo gestito dalla Fondazione internazionale del Mozarteum e raccoglie diversi oggetti del compositore, strumenti musicali, ritratti, lettere, spartiti e il suo primo pianoforte. 
Poi, così come fece la famiglia Mozart, mi sono spostata nell’altra casa, quella in Makartplatz 8, luogo in cui Leopold Mozart morì in solitudine, visto che la moglie era già venuta a mancare e Amadeus aveva ormai lasciato Salisburgo da anni. Anche questa abitazione, in parte ricostruita, è gestita dal museo della Fondazione già citata, che amministra l’eredità artistica del compositore. Anche qui si trovano arredi dell’epoca (simili a  quelli che erano appartenuti alla famiglia), celebri ritratti, preziosi documenti, strumenti musicali. Al piano terra, poi, c’è il Museo Audiovisivo Mozartiano, una sorta di laboratorio multimediale in cui vengono custoditi e raccolti film e documentari attinenti alla vita del compositore, Dvd e Cd per ascoltare o vedere alcuni dei suoi concerti più celebri.
Ho trascorso un po’ di tempo girovagando nelle stanze dei due appartamenti, leggendo soprattutto la corrispondenza. Amadeus aveva una bella calligrafia tondeggiante, con qualche svolazzo qua e là. Si vede che, all’epoca, c’era un rapporto diverso con l’inchiostro. Ho trovato lettere di Leopold Mozart in cui questi rassicurava la figlia delle proprie condizioni di salute, quando, invece, stava per morire. Ho letto le parole affettuose che Amadeus, nel corso dei frequenti viaggi, indirizzava a sua moglie Costanze. Ho pensato al patrimonio racchiuso in ciascuna di quelle lettere; patrimonio che, in tempi moderni, si smarrisce tra veloci e-mail e insipidi SMS. Poi, però, nel leggere alcune lettere davvero molto personali, sono quasi arrossita. Non è bello, neppur a distanza d’anni, star lì a spiare la vita di qualcuno. La mia e quella di migliaia d’altri occhi costituiscono un’intrusione nella sfera più intima di un’intera famiglia. Ma Amadeus era uomo di compagnia che amava la celebrità: forse questa violazione della privacy non gli sarebbe poi tanto dispiaciuta.




Certo non potevamo saltare la visita alla Fortezza Hohensalzburg. Fatta costruire nel 1077 dall’arcivescovo Gebhard, nel corso delle lotte per le investiture tra Papa ed Imperatore, è stata poi ampliata nel corso degli anni. Imponente, non c’è un’altra espressione per poterla descrivere. Vi si potrebbe arrivare attraverso una funicolare costruita alla fine dell’Ottocento ma verrebbe meno il gusto di percorrere una strada ripidissima che rende ancora più grandioso il castello. Da qui, la vista sulla città, ovviamente, è eccezionale; e poi ci sono le superbe camere dei principi: la stanza d’oro, rivestita di legno intarsiato e dorato, con la sua grande stufa in maiolica dai disegni floreali, e la sala; entrambe le stanze presentano soffitti a cassettoni, dipinti d’azzurro e con bottoncini dorati per ricreare l’effetto cielo stellato.


Il verde che circonda Salisburgo e il desiderio di fuggire dalla pazza folla ci spingono a cercare anche percorsi alternativi. Si prende così, da una via piuttosto centrale, una stradella in salita che dovrebbe portare fino al Kapuzinerberg, il Colle dei Cappuccini. E qui commetto un’ingenuità. Salendo lungo la silenziosa e verde collina, infatti, incontriamo una chiesa e un monastero dei Cappuccini. Continuiamo a camminare lungo la Stefan Zweig Weg e incontriamo anche un mezzo busto che raffigura lo stesso Stefan Zweig, scrittore austriaco. Dell’autore ho letto solo un paio di libricini poco prima di partire; ne conosco a stento la storia e capisco che nel suo girovagare ha soggiornato a Salisburgo. Tant’è che sulla mappa della città ho visto uno “Stefan Zweig Centre Salzburg” ed ho anche pensato di visitarlo. Ma poi è finita lì.
Insomma, solo al ritorno in Italia scopro che su quella collina silenziosa i coniugi  Zweig avevano acquistato una villa in cui hanno dimorato dal ‘19 al ‘34; la villa è stata polo d'incontro di numerosi intellettuali europei, tra cui Thomas Mann, Arthur Schnitzler, James Joyce, George Wells, Arturo Toscanini… Suppongo d’esser passata quasi accanto alla villa ma me la son lasciata sfuggire. Pace.

Dalla serenità e dalla bellezza di quel luogo, però, posso affermare che Stefan Zweig era un uomo di buon gusto dal quale mi sarei fatta ospitare volentieri almeno per un weekend. 
Il viaggio si è concluso con una meta tipicamente turistica, ma ne ero troppo incuriosita: il castello di Hellbrunn.

Agli inizi del Seicento, il principe-arcivescovo salisburghese Markus Sittikus von Hohenems diede l’incarico di far costruire una residenza di campagna ai piedi del monte di Hellbrunn, luogo ricco di acque. Il principe, grande appassionato dell’arte e della cultura italiana, affidò l’incarico di costruire una “villa suburbana” all’architetto Santino Solari. In pochissimo tempo venne realizzato un capolavoro architettonico con un parco eccezionale caratterizzato da grotte misteriose, giochi meccanici, frutto dell’ingegneria idraulica, e fontanelle che spruzzano acqua ad ogni angolo del castello; Markus Sittikus fece trasformare la cava di pietra naturale di Hellbrunn in un teatro, creando in tal modo il “Teatro di pietra”, il teatro all’aperto più antico d’Europa.

A Salisburgo mi si è appiccicata addosso una gran voglia di musica. Un desiderio di accarezzare i tasti del pianoforte, di provare e riprovare un pezzo, di cerchiare un accordo sullo spartito, di cambiare diteggiatura. Passando accanto al Mozarteum, l’Accademia di musica di Salisburgo, dalle finestre aperte scappavano le note del pianoforte, scontrandosi con la voce di un soprano. È stata una tentazione troppo forte. Sono entrata ed ho passeggiato tra i corridoi annusando quell’eccitazione che credo caratterizzi i conservatori di tutto il mondo. Quella porta lì, ormai, è chiusa da tanto tempo però, forse, questa è la volta buona per prelevare il pianoforte da casa dei miei genitori e farlo tornare a stare da me.

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