La smania di sottolineare, annotare, vivere i libri, mal si
concilia con il prestito bibliotecario. Ma poi, l’accumulo seriale di libri,
acquistati impulsivamente più per curiosità che per necessità (sempre che sia
necessario possedere libri) si concilia ancor meno con le dimensioni del mio
appartamento e con i miei altalenanti ritmi di lettura. Sicché, un paio di mesi fa ho deciso che era arrivato il momento di prendere in mano la
situazione e ricominciare a pianificare le visite nelle biblioteche
della zona. Così, ho portato a casa qualche uscita recente che mi intrigava ma
non al punto da volerla acquistare.
All’inizio dell’anno gli avevo chiesto di venire con me in
Giappone. Ormai non vivevamo più nella stessa città e non eravamo mai state via
insieme da quando ero adulta, ma iniziavo a rendermi conto che era una cosa
importante, per ragioni a cui non ero ancora in grado di dare un nome. Dapprima
si era mostrata riluttante, ma io avevo insistito e alla fine lei aveva
accettato, non proprio dicendolo esplicitamente, ma protestando sempre meno o
esitando al telefono quando glielo chiedevo, segni dai quali dedussi che alla
fine sarebbe venuta. Avevo scelto il Giappone perché ci ero già stata, e benché
mia madre non lo avesse mai visitato, avevo pensato potesse sentirsi più a suo
agio nell’esplorare un’altra parte dell’Asia. E poi, forse, sentivo che ci
avrebbe messo in una situazione di parità, che saremmo state entrambe
straniere.
È un romanzo strano questo Tempo di neve dell’australiana Jessica Au (traduzione di Federica Merati, edito
da il Saggiatore). Un libretto smilzo, di quelli ipnotici, in cui segui i
pensieri della scrittrice, digressione dopo digressione, chiedendoti dove
andranno a parare. Potresti mollare il viaggio di madre e figlia mentre
camminano in una Tokyo lattiginosa, entrando in negozietti, gallerie d’arte,
templi, piccole librerie, minuscoli ristoranti scelti accuratamente dalla
figlia mentre fuori continua a piovere. Potresti mollare la lettura, ma sei catturato dagli squarci di vita che
ti scorrono davanti agli occhi e vai avanti fino alla fine.
A distanza di un mese, quando ripenso a questo libretto senza
trama, mi prende una sorta di malinconia per le storie, i ricordi, le immagini
che la Au descrive in modo dettagliato. Episodi di vita familiare, in cui
sembra non succedere nulla ma che lasciano la sensazione che non sia stata in
grado d’afferrarne il significato.
Elena lo sa, Claudia Piñeiro
Non capisco se sia io in questo periodo a essere particolarmente
attratta dai romanzi che esplorano il rapporto madre – figlia o se ne vengano
pubblicati così tanti che inevitabilmente finisca per incapparci.
In realtà, Elena sabe
è stato scritto dall’argentina Claudia Piñeiro nel 2007, ma è stato scoperto
nei paesi anglofoni di recente (finalista dell’International Booker Prize2022), arrivando in Italia nella traduzione di Pino Cacucci (per Feltrinelli) nel
gennaio di quest’anno. E non si può considerare solo un romanzo sul complicato
rapporto tra una madre e una figlia.
In un giorno di pioggia, Rita viene trovata impiccata nel campanile della chiesa che frequentava. Nessuno ha visto o ascoltato nulla, nessuno immagina un possibile movente, nessuno sospetta inimicizie tali da arrivare ad assassinare la donna. L’indagine ufficiale viene rapidamente chiusa: è un suicidio. Ma Elena, madre sessantatreenne di Rita, lo sa che Rita non può essersi impiccata, perché Rita non si sarebbe mai avvicinata al campanile di una chiesa in una giornata di pioggia. Elena lo sa che non è suicidio e, nonostante il suo Parkinson, si avventura in un difficile viaggio attraverso i sobborghi di Buenos Aires per chiedere aiuto all’unica persona che potrà aiutarla a trovare il colpevole.
Oggi non vuole incontrare nessuno. Nessuno che le chieda
come sta né che le porga le condoglianze per la morte della figlia. Ogni
giorno compare qualche persona che non è potuta venire alla veglia funebre o al
funerale. O forse non ne ha avuto la forza. O non voleva
farlo. Quando qualcuno muore come è morta Rita, tutti si sentono in dovere
di partecipare al funerale. Ecco perché le dieci non sono un buon orario,
pensa, perché per arrivare alla stazione deve passare davanti alla banca e oggi
pagano le pensioni, quindi è molto probabile che incroci qualche
vicino. Vari vicini. Anche se la banca apre alle dieci, quando il suo
treno starà entrando in stazione e lei con il biglietto in mano si avvicinerà
al bordo della banchina per salire, prima di tutto ciò, Elena lo sa, incontrerà
vari pensionati in coda come se avessero paura che i soldi bastino a pagare
solo i primi arrivati. Potrebbe evitare di passare davanti alla banca
facendo il giro dell’isolato, ma il Parkinson non glielo perdonerebbe. È
questo il nome. Elena lo sa da qualche tempo di non essere più lei a
comandare su alcune parti del proprio corpo, per esempio i piedi. Comanda
lui. O lei. E si chiede se Parkinson sia da trattare come un lui o una
lei, perché sebbene quel nome le suoni maschile è pur sempre una malattia, e
una malattia è al femminile. Come lo è una disgrazia. O una
condanna.
La Piñeiro utilizza spesso l’intreccio noir per affrontare temi
sociali di grande attualità e Elena lo sa
ne è l’esempio. Attraverso le parole e le vicissitudini delle tre protagoniste
del romanzo, infatti, la scrittrice mette in luce cosa significhi convivere con
il Parkinson, quanta ipocrisia si nasconda nelle pieghe della società, nelle
parrocchie, nelle famiglie; quanto sia difficile per una donna poter scegliere
e, non da ultimo, quanto dolore si nasconda dietro il divieto di aborto
(divenuto legale in Argentina solo nel 2020).
Elena lo sa è sulla mia lista dei libri da leggere. Mi piace molto come giallista e quindi voglio leggere qualcosa di diverso di suo :)
RispondiEliminaL'ho letto! Mamma mia che libro intenso!
RispondiEliminaVero? Sono contenta ti sia piaciuto. L’ho consigliato anche ad alcune persone del gruppo di lettura ma l’hanno apprezzato in poche, forse perché avevano aspettative diverse e sono rimaste spiazzate dal modo in cui è stato affrontato il tema o i temi, perché anche a me è sembrato un romanzo denso. Ho anche apprezzato la capacità dell’autrice di racchiudere argomenti così importanti in poche pagine, senza eccedere in particolari che avrebbero reso la narrazione meno efficace.
EliminaBuona domenica!