venerdì 29 gennaio 2021

I libri, le malattie e la peste.

 


Qualche giorno fa, leggendo uno stralcio del libro di Cataluccio, In occasione dell’epidemia, riportato da Giacinta del bel blog Il cavallo di Brunilde, ho iniziato a pensare a come sia cambiato il rapporto tra libri e malattia, o meglio, a quanto sia più complesso immergersi nella lettura nei periodi in cui il corpo ci obbliga a fermarci.

Sin da bambina, sono stata soggetta a febbroni che mi stroncavano un paio di giorni, richiedevano un altro paio di giorni di convalescenza, per poi dissolversi senza strascichi. Veniva meno l’alternanza del giorno con la notte, c’erano solo narrazioni che emergevano dal sonno e dalla febbre alta e si rispegnevano nel sonno. Anche da adulta, bronchiti persistenti ed incidenti li associo a romanzi di vario tipo (da Stoner di J. E. Williams, a Furore di Steinbeck, passando per titoli meno significativi in base all’entità della malattia).

Tutto ciò accadeva prima dell’avvento del cosiddetto smartworking, ai tempi in cui la maggior parte dei malanni non si protraeva per settimane.

Poi arrivò la pandemia da Coronavirus; si disse che saremmo diventati tutti più buoni, che avremmo ricominciato a dare il giusto valore alle cose e nulla sarebbe stato più come prima. Infatti, ci basta dare uno sguardo ai titoli dei giornali per renderci conto di quanto siano cambiati i nostri valori e di come abbiamo prontamente interiorizzato il concetto di bilanciamento delle priorità. Ma rischio di divagare.

Per farla breve, succede che il coniuge e la sottoscritta, a distanza di un paio di giorni, perdono smacco, provano un malessere diffuso (sebbene con sintomi diversi l’uno dall’altra) e il test conferma che, talvolta, positivo o rilevato non sono belle parole. Non mi dilungo, perché se sono tornata a scrivere in modo scanzonato è evidente che abbia recuperato gran parte delle mie energie. Ma come l’ho vissuta questa malattia? Tolti i giorni in cui il mal di testa e i dolori articolari hanno reso spossante anche la stesura della lista della spesa, tornata in me e rassicurata dal fatto che il peggio era alle spalle per entrambi e che nessuno dei nostri “contatti” avesse manifestato sintomi, avrei dovuto vivere la restante parte della malattia prendendomi cura di me, ossia leggendo e bevendo liquidi caldi. Ma… Non che qualcuno mi abbia esplicitamente obbligato durante la malattia a tener il cellulare aziendale acceso, a rispondere alle email di lavoro, a svolgere le attività inderogabili ed urgenti (tutte). Non che stia qui a lamentarmi perché “è una benedizione che tu abbia ancora un lavoro di questi tempi etc, etc, etc.”. Mi limito ad una constatazione. È stato immediatamente evidente come sia cambiata la percezione della malattia Covid. Non sei finita in ospedale, hai avuto sintomi tutto sommato lievi, non hai forti crisi respiratorie: se aspetti un tampone negativo non se ne viene più fuori. Non è che possiamo perdere settimane. Tanto ormai lavoriamo tutti da casa; che lo si faccia da malaticci o in salute, cosa cambia? Ah, guarda, appena m’è passata la febbre, ho puntato la sveglia tutte le mattine alle 5.30 per recuperare gli arretrati.          

Anche a posteriori, confrontandomi per motivi di lavoro con persone che erano state contagiate nello stesso periodo e che avevano potuto gestire la malattia a casa, ho avvertito una sorta di gara a chi avesse perso meno tempo possibile dietro a cortisone, antibiotici, saturimetri per tornare alle cose importanti. Ribadisco: non sto dicendo che il lavoro e l’economia non siano essenziali (nessuna persona con un minimo di raziocinio penserebbe una roba simile), ma mi ha colpito come sia cambiato il nostro atteggiamento nei confronti del Covid in pochi mesi.

Tarrou pensava che le peste avrebbe cambiato la città e nello stesso tempo non l’avrebbe cambiata; che, beninteso, il più forte desiderio dei nostri concittadini era e sarebbe stato di fare come se niente fosse mutato e che, pertanto, nulla, in un certo senso sarebbe mutato, ma che in un altro senso, non si può tutto dimenticare, anche con la volontà necessaria, e la peste avrebbe lasciato tracce, almeno nei cuori.

Il piccolo possidente dichiarò nettissimo che non s’interessava al cuore e che il cuore era addirittura l’ultima delle sue preoccupazioni. […]

Albert Camus, La peste, trad. di Beniamino Dal Fabbro, Bompiani.

 


Lavoro o meno, per me questa malattia resterà associata ai due libri più letti, acquistati, presi in prestito, riscoperti nel corso del 2020: La peste di Albert Camus e Spillover di David Quammen (lettura del coniuge, che io devo ancora affrontare). Erano nella lista delle mie letture da mesi, però continuavo a tergiversare. Ho lasciato la divulgazione scientifica al coniuge e sono partita dal romanzo.

Di Camus avevo letto solo Lo straniero, romanzo che il mio gruppo di lettura (ancora in standby) non aveva apprezzato molto. Invece a me era piaciuto tantissimo. Perché Camus è un filosofo, non solo un romanziere. Leggere La peste in questi mesi implica fare paragoni continui con i nostri giorni. Riporto qualche stralcio random:

“I focolai infettivi sono in crescente diffusione. Al passo con cui la malattia si espande, se non è bloccata, rischia di uccidere mezza città prima di due mesi”.

Non bisognava veder troppo nero… il contagio non era provato se i parenti dei malati erano ancora immuni.

“Ma altri sono morti”, fece notare Rieux. “Non si tratta di vedere troppo nero. Si tratta di prendere precauzioni”.

Le misure non erano draconiane e sembrava che si fosse molto sacrificato al desiderio di non preoccupare l’opinione pubblica.

In quattro giorni, tuttavia, la febbre fece un balzo straordinario… Il quarto giorno si annunciò l’apertura dell’ospedale ausiliario in una scuola materna.

Potrei andare avanti con l’elenco, a partire dalla chiusura delle porte della città, le sepolture, i tavoli dei locali solo all’aperto, presto seguiti dal divieto d’uscire dalle proprie abitazioni se non per questioni urgenti.

Immagino che se avessi letto La peste durante il lockdown della primavera scorsa, le analogie sarebbero state ancora più d’impatto e avrei impiegato parecchio per astrarmi dai nostri giorni e guardare a La peste come ad un romanzo sulla separazione. Una separazione dagli affetti, dagli amici e dai nemici, da chi non si pensava neppure d’amare, dalle abitudini, dalle cose. Una separazione che potrebbe durare giorni o anni; che può essere determinata da un’epidemia ma anche da una guerra. Camus, da conoscitore dell’animo umano, lo indaga, ne prevede i pensieri, anticipa le sensazioni, le paure, le speranze. Che sia l’Orano degli anni Quaranta o la Roma del 2020, poco conta. Il terrore per la separazione, l’esilio, anche se “esilio in casa propria”, restano immutati.

Dal punto di vista letterario, il mio 2021 è iniziato nel migliore dei modi.

In apertura, illustrazione di Isabelle Arsenault


19 commenti:

  1. Anche io nel periodo di Natale alle prese con il saturimetro.... Ho dovuto nello stesso periodo leggere Spillover perché lo avevo assegnato ai miei alunni. Mi saliva la febbre ogni volta che lo prendevo in mano. Una lettura interessante, importante ma da farsi quando si è sani. Grazie per il riferimento al cavallino:-)

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    1. Ho la sensazione che, per entrambe, la polemica sul numero di persone a pranzo durante le festività, le chiusure dei ristoranti, i cambiamenti di colori… siano stati del tutto irrilevanti.
      In merito a Spillover, anche il coniuge è del tuo stesso parere. Vorrei iniziarlo nei prossimi giorni. Vedremo come me la caverò con i pipistrelli.

      Il cavallino mi dà sempre spunti di riflessione ed incrementa la lista di libri da leggere e film da vedere. Come non citarlo?

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  2. Barbara <3
    La Peste...mi hai ricordato che vorrei leggerlo.
    Al momento sono quasi in fondo a Le piccole virtù.
    Grazie per la tua condivisione in prima persona. Io, nei momenti in cui vorrei allentare le restrizioni, penso che sono stata così male le poche volte che nella mia vita ho avuto la febbre alta che ho paura di scoprire quali effetti il Covid avrebbe su di me e allora dico a me stessa di pazientare ancora.
    Personalmente credo che se non migliori ne usciremo comunque cambiati perché non è ancora finita anche se la luce in fondo al tunnel si vede. Ognuno si è trovato, si trova o si troverà a fare i conti prima con se stesso e quando ciò succederà avrà gli strumenti per accorgersi e magari empatizzare con il malessere di chi gli sta accanto. C'è chi esterna tutto il suo malessere, chi vorrebbe ancora far finta di niente, chi reprime e chi riflette. E tutto prima o poi verrà a galla. Io mi auguro che ognuno trovi qualcuno che sia più avanti di lui con il quale confrontarsi per trovare sollievo, fiducia, incoraggiamento.

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    1. Cara Amina, penso che dovremo pazientare ancora un po’.
      A noi sembrava impossibile potesse essere Covid: eravamo stati così attenti per mesi! Eppure, che sia stato banalmente al supermercato o al lavoro, abbiamo sperimentato come il virus si diffonda facilmente. Poi, ogni organismo risponde in maniera diversa: difese immunitarie più basse, un periodo in cui sei già debilitata per altri motivi e il tuo corpo impiega più tempo per reagire.
      Tu dici che ne usciremo cambiati? Chissà.

      La peste è una lettura che consiglio. Per quanto riguarda la Ginzburg, sai che ne parlo sempre molto volentieri. Quest’anno vorrei rileggere Lessico familiare e vorrei leggere un altro suo romanzo che giace nella mia libreria da tempo.
      A presto!

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  3. Entrambe colpite, felice di sapere che vi siete riprese, contenta di ritrovare Giacinta

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    1. Colpite ma sempre pronte a sfoderare libri.
      Grazie Amanda.

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  4. Cara Baba, amica risanata, è un piacere ritrovarti nel tuo spazio! Credo che le reazioni di cui parli, tra chi ha avuto il covid, possano essere scaramantiche, un atteggiamento che, negando la paura, cerca di neutralizzarla e di rimuoverla.Quanto alla malattia e alle letture, non so se tu abbia letto quel romanzo originale di Sandor Marai che è La sorella. Il quale racconta una storia suggestiva che inizia in un albergo della Transilvania, in un atmosfera fascinosa ma inquietante, e prosegue in un ospedale in cui il narratore viene ricoverato a causa di una malattia misteriosa. Ebbene, le pagine in cui il Nostro descrive le sensazioni del suo stato- di coma semivigile- sono veramente eccezionali. Una capacità analitica fuori dal comune. davvero un romanzo originale e insolito. Senza dimenticare, per restare nel campo della malattia, " Inverno di malato", racconto di Moravia resta una bella prova. Siamo nell' ambito delle malattie individuali, ovviamente, e non di quelle di massa, per le quali La peste resta insuperabile. Dunque, forza e coraggio e avanti con le letture! Un abbraccio.

    PS Ho terminato di leggere il ritratto di Leone Ginzburg che aveva tracciato Norberto Bobbio in Maestri e compagni, Passigli editore, bellissimo. Procederò nel cammino e intanto rileggerò Le voci della sera, di Natalia.

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    1. Cara amica tentatrice,
      sappi che se continuerò a riempir casa di libri, sarà anche colpa tua! Negli ultimi giorni, mi son stati suggeriti due titoli di Sandor Marai: il tuo La sorella e Confessioni di un borghese (di cui mi hanno detto cose mirabolanti). Tutto ciò, mentre la casa editrice Adelphi promuove gran parte del catalogo con uno sconto del 20%. Capisci che la tentazione è forte!
      In tema di epidemie, mi è stato consigliato anche Nemesi di Philip Roth, autore con cui ho un rapporto controverso e non credo sia questo il titolo giusto per riavvicinarmi a Roth (non ora).

      Invece, m’incuriosisce moltissimo Maestri e compagni, titolo che cercherò di recuperare, anche perché, i miei sin troppo ambiziosi progetti di lettura prevedono una maggiore attenzione e studio del Novecento italiano (ho troppe lacune da colmare). Sicché, farò tesoro dei tuoi consigli!

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  5. Sottoscrivo le cose mirabolanti sulle Confessioni di un borghese. Meraviglioso. La sorella è particolare per la capacità di raccontare le sensazioni di una malattia sconosciuta. Il libro di Bobbio,bella edizione, forse si trova in biblioteca. Ciao,Baba!

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  6. L'ho condiviso sulla mia Pagina Facebook. Un abbraccio

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  7. Oltre al fattore malattia, su cui tiro un sospiro di sollievo per esservela lasciata alle spalle, trovo qui, come sempre, il grande coraggio di letture che approfondiscono l'argomento.
    Camus e Quammen è un'accoppiata di tutto rispetto: il primo una certezza, il secondo una scoperta.
    Dello scrittore statunitense è uscito qualche settimana fa un suo articolo su Internazionale che ricalcava le tesi riportate nel suo libro. Sconvolgente.
    Ma qualcuno che decidesse di leggerne dei pezzi sulle nostre televisioni?! No, vero?!
    Meglio avere opinionisti-laqualunque che, ahimè fanno audience.

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    1. Mia cara,
      volevo prendere una pausa dalle malattie, in senso letterario-saggistico, e mi sono infilata nelle primavere arabe e nella guerra in Siria. Un sano romanzetto rosa, mai, vero?, commentò qualcuno.
      Ma ne riparleremo presto.

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  8. Ciao,
    anche a me "Lo straniero" è piaciuto molto. Specialmente il dialogo finale col prete, ma in generale l'atmosfera di apatia e ineluttabilità del caso. Spillover è interessante, forse un po' troppo presente l'ego dell'autore (ma va di moda negli ultimi decenni). Se non l'hai ancora iniziato è una lettura utile, abbastanza razionale e a me non ha procurato ansie, forse le ha un po' mitigate, visto il periodo. Di sicuro è più "deprimente" (ma al tempo stesso esaltante) Camus. Non ho ancora letto "La peste" che vorrei appunto leggere.
    La tua scrittura è sempre brillante, sono invidioso! :-)
    ciao.

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    1. Leggere che la mia “scrittura è sempre brillante” mi strappa un sorrisetto compiaciuto. Tu sì che sai come rendere felice una persona! Grazie.

      Mi sono persa tra letture sulla Siria e divagazioni nordiche (se non hai letto T. Singer di Dag Solstad dagli un’occhiata: tra l’inesorabile e il rimuginatorio. Mi sa che potrebbe piacerti), così son giunta a Spillover solo ieri sera. Anch’io ho la sensazione che mi tranquillizzerà: la scienza lo fa sempre, anche quando dice cose atroci, anche se devo affidarmi a divulgatori e non a testi scientifici puri, che faticherei a comprendere.
      Ti farò sapere.

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    2. I sorrisi compiaciuti sono i migliori.
      Buona lettura allora.

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  9. Mi spiace leggere che sei stata male, ma sono contenta che stiate bene.
    La tua riflessione mi ha fatto riflettere perché era una cosa su cui proprio non mi ero soffermata: abbiamo normalizzato tutto, pandemia compresa.

    LA peste me l'avevano assegnata come lettura estiva i primi anni del liceo: ammetto di aver solo fatto finta di leggerlo.
    Ogni tanto mi chiedo perché sopponessero dei ragazzini a delle torture simili?

    Ora, dopo aver letto il tuo commento alla lettura, potrei pensare di superare quel trauma e provare a leggerlo

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    1. Ciao Fede,
      grazie mille. Ho perfino ricominciato a correre, quindi posso dire con assoluta certezza che l’esperienza è alle spalle (però speriamo si sbrighino con questi vaccini perché non ci terrei a ripeterla).
      Sintesi perfetta: abbiamo normalizzato tutto, anche la pandemia. Hai racchiuso in due parole le tante chiacchiere in cui mi son persa nel post!

      Un’altra persona mi ha detto d’aver detestato La peste negli anni del liceo. Romanzo con cui ha fatto pace successivamente (cito testualmente: Non era poi tanto male, anzi.)
      Secondo me, potresti riprovarci…

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  10. Tanti auguri di buon compleanno carissima, un abbraccio

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