L’autobiografia,
e quella di mia madre non fa eccezione, è la bastarda dei generi letterari,
perché abbassa la soglia: è in mano a rifugiati, donne, disabili, sopravvissuti
all’Olocausto, sopravvissuti a qualsiasi cosa. Anni fa parlavamo di noi stessi
in terza persona su Facebook e ci pareva legittimo, narrativo, diventavamo
personaggi senza che questo offendesse nessuno, poi siamo tornati all’io, al
pubblicare in prima persona, ma l’idea di farci importanti in un’autobiografia
pare sporca e torniamo a nutrire sospetto verso il genere, anche se
contribuiamo a rafforzarlo e a renderlo collettivo ogni giorno. Un’esistenza
può essere deviata dal corso di vari diari. A deviare la mia furono il diario
di mia madre, quello di Laura Palmer e quello di Bronisław Malinowski, il padre
dell’antropologia moderna.
In
rete e sui quotidiani si trovano molte belle recensioni su La straniera di Claudia Durastanti. 35 anni, scrittrice
traduttrice, accidental american:
nata a Brooklyn da genitori italiani, tornata in Italia, a sei anni, in un paesino lucano in cui c’erano più capi di
bestiame che persone, trasferitasi a Roma per studiare Antropologia alla
Sapienza e poi emigrata a Londra nel 2011, dove vive attualmente.
Le
belle recensioni parlano di una scrittura forte e abile, della ricchezza del
vocabolario, dell’originalità nell’affrontare il presente e saperci ragionare
sopra. Generalmente non leggo tanti romanzi italiani contemporanei (non perché
sia una snob, come sostengono un paio di amici, ma perché spesso mi annoiano.
Vabbe’, forse sono pure un po’ snob), però negli ultimi mesi ne ho presi in
prestito più del solito. Non so se sia casuale questo desiderio di molti autori
nostrani di parlare di sé, di raccontare sprazzi della propria esistenza anche
quando la vita è così rocambolesca da trasformarsi facilmente in un romanzo. Lo
è quella della Durastanti, non tanto per le sue continue migrazioni, quanto per
esser figlia di genitori entrambi sordi, indisciplinati e anarchici, passionali
e violenti. Personalità forti e ingombranti per una figlia che passa da
un’infanzia e un’adolescenza solitaria ad una vita da adulta apparentemente
libera da condizionamenti, come lo è stata quella di sua madre.
Un
po’ memoir, un po’ romanzo, un po’ lessico familiare, diverse riflessioni e
digressioni culturali sull’essere stranieri:
Possiamo
fallire una storia d’amore, il rapporto con una madre. Ma quando una città ci
respinge, quando non riusciamo a entrare nei suoi meccanismi più profondi e
siamo sempre dall’altra parte del vetro, subentra una sensazione frustrata di
merito, che può farsi malattia. Straniero è una parola bellissima, se nessuno ti
costringe a esserlo; il resto del tempo, è solo il sinonimo di una mutilazione,
e un colpo di pistola che ci siamo sparati da soli.
Claudia
Durastanti sa raccontare; entri ed esci da stanze con bucce di mandarino sul
divano e calzini di spugna anneriti dall’andare scalzi, finisci in soffitta a
leggere decine di libri, marinando ripetutamente la scuola; cammini tra le
strade di Londra, ripercorrendo le vicende di Mary Wollstonecraft, Mary Shelley
e Anna Bolena.
La straniera è un libro
scorrevole, scritto con una lingua elegante, un ricco vocabolario e diversi
spunti di riflessione (a partire dai concetti di identità e appartenenza). Però
non mi ha convinto. Gli ultimi capitoli, poi, mi hanno dato il colpo di grazia:
molto filosofeggiare sull’amore e sulle vicende sentimentali dell’autrice che
hanno fatto girare rapidamente le pagine per chiudere il libro e restituirlo alla
biblioteca.
Con
La straniera termina la mia breve e
accidentale incursione tra i candidati al Premio Strega 2019. Tra i pochi titoli letti,
voterei a favore di Addio fantasmi di Nadia Terranova (qui due righe sull’incontro del
mio gruppo di lettura con l’autrice).
Ho
apprezzato anche il poderoso e molto chiacchierato M. Il figlio del Secolo
di Antonio Scurati.
Certo, per pronunciarmi dovrei completare la lettura della
dozzina, ma è tempo di voltar pagina e dedicarmi ad altro.
[Quassù, Partenze di Giampaolo Talani].
Ecco voltiamo pagina
RispondiEliminaSarò pure snob ma 'sti romanzi "necessari" (per chi, poi?) li termino sempre a fatica.
EliminaDe La nave di Teseo e dei suoi accoliti che scrivono recensioni ridondanti mi è bastata la sola "trappola" di D'Orrico su La Settima funzione del linguaggio. Recensione addirittura fatta a puntate sue due numeri di Sette, tanto da farmi persino sfiorare l'idea di una Recensopoli o Criticopoli o Tangentopoli di di critica letteraria.
RispondiEliminaBen hai fatto quindi a risparmiarti la spesa prendendolo a prestito, giacché l'editore oltre a pubblicizzare titoli e autori ridondanti, non disdegna applicare prezzi abbondanti.
Me ne ricordo bene, Nela furiosa!
EliminaDi soldi per i libri ne spendo tanti, e lo sai, ma la mia nuova regola per le novità e la narrativa contemporanea più pubblicizzata prevede solo prestiti bibliotecari. Mai porre limiti alla curiosità ma in questo, come in altri casi, sarebbe stata una spesa superflua.
Ho appena preso "La straniera", attratta dall'origine lucana della scrittrice e dal titolo... io, in Basilicata sono "forestiera" da ben 13 anni!!! Ti saprò dire...
RispondiEliminaE tu, straniera in terra lucana, lo stai leggendo proprio quando è giunta voce della cinquina stregata. Sempre sul pezzo!
EliminaChissà se ti piacerà...