È
un libro strano questo Selva oscura, ultimo
romanzo di Nicole Krauss, pubblicato in Italia da Guanda e tradotto da Federica
Oddera. Uno di quei libri che non avrei preso in considerazione se non avessi
ascoltato, casualmente, l’intervista di Wlodek Goldkorn all’autrice durante la
scorsa edizione di Libri come.
Copia presa in prestito dalle Biblioteche di Roma |
New York, Tel Aviv, il tema del doppio, un cappotto, una valigia, Kafka e un titolo (Forest Dark, nella versione originale) che ci riporta drittidritti a Dante. Che ci fosse tanta roba nel romanzo era già evidente nel corso della presentazione, ma ne ero stata così affascinata da suggerirne persino l’acquisto alla rete bibliotecaria dei Castelli romani.
In
fondo, l’incipit prometteva benissimo:
Al tempo della sua scomparsa, Epstein viveva a Tel Aviv da tre mesi. Nessuno aveva
visto il suo appartamento. La figlia Lucie era venuta a trovarlo con i bambini,
ma Epstein li aveva sistemati all’Hilton,
dove li guardava consumare sontuose colazioni mentre lui si limitava a
sorseggiare un tè. Quando Lucie l’aveva pregato di mostrarle la casa, il padre
aveva respinto la richiesta con una scusa garbata, spiegando che era troppo
piccola e modesta, inadatta a ricevere ospiti. Ancora incredula per il divorzio
tardivo dei genitori, lei l’aveva fissato a occhi socchiusi – niente nel passato di Epstein era mai stato
piccolo o modesto – ma, nonostante i suoi sospetti, aveva dovuto accettare
quella spiegazione, insieme agli altri mutamenti
subiti dal padre.
Epstein è uno dei due
protagonisti del romanzo, un uomo che ha orientato la sua vita a rispondere a
qualsiasi domanda prima ancora di sapere cosa gli venisse chiesto. Ha lavorato
caparbiamente per trasformare le sue debolezze in punti di forza, accumulando
una ricchezza immane. È bastato imporre la volontà della mente a quella del
corpo, anteponendo la professione di avvocato al resto.
Poi,
un bel giorno, inizia a disfarsi di tutte le sue ricchezze con lo stesso
accanimento con cui le aveva accumulate. Quando il figlio prova a dissuaderlo
da ulteriori atti di filantropia, Epstein risponde che sta liberando spazio per pensare.
Tel Aviv |
Nicole, l’altra protagonista
del romanzo, ha numerose affinità con la Krauss, a partire dal nome: scrittrice
americana di successo con radici ebraiche, un matrimonio in crisi, un forte
legame con Israele. La Nicole protagonista del romanzo ha molti punti di
contatto anche con Epstein: entrambi dividono le loro vite tra New York e Tel
Aviv, entrambi devono far pace con le proprie radici ebraiche (ne sono attratti
ma scettici; entrambi tendono a criticare alcune tradizioni e i rituali dei
praticanti), entrambi cercano una via di
fuga dal proprio passato,
entrambi hanno un legame con l’Hilton di Tel Aviv; entrambi, forse,
ritroveranno sé stessi nel deserto. Eppure, i loro percorsi non si incroceranno
mai.
Temendo
le emozioni violente che avevo sperimentato in famiglia durante l’infanzia, mi
ero legata a un uomo che sembrava dotato di uno straordinario talento per la
costanza, a prescindere da quanto accadeva all’interno o all’esterno. E poi mi
ero legata alle abitudini e agli schemi di una vita altamente organizzata, disciplinata,
sana, come se tutto dipendesse da questo, come se il benessere e la felicità dei
miei figli richiedessero che quei legami vincolassero non solo ciascuna delle
mie ore e delle mie giornate, ma anche ogni mio pensiero e la totalità del mio
spirito. E nel frattempo l’altra vita informe e senza nome diventava sempre più
fioca, sempre meno accessibile…
In
questo mondo di false certezze, Nicole non sa più dove si trova; in tutto il
romanzo, non farà altro che cercare la sua heim,
la sua casa, con la sensazione di trovarsi spesso in due posti nello stesso
momento (che poi sarà capitato anche a voi di essere sulla porta di casa e
sentirvi replicati al piano di sopra. La
possibilità di sentirsi sia qua che là nello stesso momento. O non v’è mai
accaduto?)
E
poi c’è Kafka. Nicole, in piena
crisi creativa, incontra a Tel Aviv Elizier Friedman, professore di letteratura
in pensione e personaggio piuttosto ambiguo, che la convince a riscrivere la vera biografia di Franz Kafka. Pensavate
fosse morto banalmente nel 1924 in un sanatorio di Kierling, come c’hanno fatto
credere? Niente affatto. È morto in Palestina, in una notte di ottobre del 1956,
dove è arrivato clandestinamente e ha vissuto facendo il giardiniere sotto la
falsa identità di Anshel Peleg. La tubercolosi che a Praga avrebbe finito per
ucciderlo, in Palestina comincia a regredire.
Kafka aveva sempre sostenuto che la sua malattia polmonare, come
l’insonnia e l’emicrania di cui soffriva, non era altro che una manifestazione
esteriore del suo malessere spirituale. Un’infermità innescata dal sentirsi
prigioniero e soffocato, privo dell’aria di cui aveva bisogno per respirare e
del rifugio che gli occorreva per scrivere.
A
Tel Aviv, lontano da sua padre, dalle costrizioni che l’avevano oppresso per
tutta la vita, Kafka trova la pace, il suo menucha
(più di un riposo fisico, uno stato di tranquillità interiore che va oltre il
riposo del settimo giorno, come spiega bene Epstein in Selva oscura).
È
una storia folle; eppure, leggendo questo romanzo, pervaso da un senso
d’inquietudine costante, in cui si oscilla tra realtà e percezione, ogni tanto bisogna
darsi una scrollata per non credere a tutto ciò che ci viene raccontato. Kafka
non ha mai fatto il giardiniere in Palestina. Forse.
La
certezza è che a Tel Aviv finirono i suoi manoscritti, portati da Max Brod e successivamente
affidati alla sua segretaria/amante, Esther Hoffe, con il mandato di destinarli
ad un archivio pubblico. La signora Hoffe, che viveva in un appartamento umido
insieme a una marea di gatti, pensò bene di ricavarne qualcosa, vendendo alcune
lettere e lasciando in eredità la restante parte degli scritti alle figlie. Dopo
un lungo contenzioso con lo Stato d’Israele, due anni fa la Corte Suprema
israeliana ha stabilito che i manoscritti saranno custoditi e catalogati dalla
Biblioteca nazionale israeliana.
Hilton di Tel Aviv |
Ci
sono molti alberi in questo romanzo e la sensazione di smarrirsi nella selva
oscura delle elucubrazioni di Nicole Krauss è forte. Disorientante.
Concludendo,
non fatemi la domanda «Sì, ma t’è piaciuto?». In tutta onestà, non saprei rispondere.
Cervellotico. Ho preso molti appunti. E ho iniziato a leggere un racconto di
Kafka.
A partire da Cartesio, la conoscenza si è vista attribuire
poteri quasi inimmaginabili. Ma, in definitiva, non ci ha condotti al dominio e
alla padronanza della natura che il filosofo immaginava, bensì solo a
un’illusione di dominio e padronanza. Alla fine ci siamo ammalati di sapere. A essere sinceri, io detesto Cartesio
[…] Più lui parla di seguire sempre la stessa direzione per uscire dalla
foresta, più io mi sento attratta dall’idea
di perdermi in quella foresta, dove un tempo vivevamo nella meraviglia,
nella consapevolezza che il nostro stupore è il prerequisito di un’autentica
coscienza dell’essere e del mondo. Ormai ci resta ben poca scelta, a parte
abitare negli aridi campi della ragione e quanto all’ignoto, che un tempo baluginava agli estremi confini del nostro
campo visivo, convogliando le nostre paure, ma anche le nostre speranze e i
nostri desideri, possiamo solo guardarlo con ostilità.
Mi sono perfino persa un po' anche tra le tue righe, ecco
RispondiEliminaHo impiegato due settimane per leggerlo e un’altra settimana per capire cosa mi fosse sfuggito.
EliminaC’è molto ebraismo qui dentro e suppongo che la scarsa conoscenza della cultura ebraica non mi abbia aiutato. È ricco di spunti interessanti ma non sono riuscita ad incastrarli come si deve. Devo ammettere i miei limiti.
Comunque, se deciderai di leggere il libro, passerò da te per capire cosa mi sia sfuggito!
I tuoi limiti o i limiti del narratore...
Elimina@ amanda; in questo caso, i limiti sono, senza alcuna offesa, di Balalatalpa, non del narratore. Per quanto non sia strettamente necessario, è consigliabile aver compreso almeno i racconti maggiori di Kafka per comprendere alcune parti della storia. Un altro autore da prendere in considerazione, è A.B. Yehoshua, in particolare "L'Amante", 1977. :)
EliminaBuonaserata a tutte!
Mi complimento per la recensione efficace su un romanzo in cui, il lettore è avvertito, vi leggerà temi importanti, ma nel mezzo del cammin si troverà in una selva oscura.
RispondiEliminae ritrovar la dritta via fu impresa ardua assai!
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