venerdì 27 luglio 2018

Kafka e il digiunatore, Raoul Precht



Vagando nella Selva oscura di Nicole Krauss mi sono imbattuta nel digiunatore di Franz Kafka, un racconto di cui non avevo mai sentito parlare in precedenza (e qui vien fuori tutta la mia ignoranza, visto che Un digiunatore rientra tra i pochi testi che Kafka stesso ritenne “salvabile”, escludendolo dall’ordine di distruzione impartito all’amico Max Brod). 
L’ho letto nella bella traduzione di Raoul Precht che in Kafka e il digiunatore (edito da Nutrimenti nel 2014) ha inserito il racconto in un contesto più ampio, ripercorrendo gli ultimi anni della vita dello scrittore, il suo rapporto con il cibo e con la medicina, l’interesse verso il mondo del circo e verso l’arte del digiuno in particolare.

Non ho paura della morte, ho paura solo del dolore.

Così aveva scritto due anni prima all’amica Milena l’uomo-scheletro, che adesso se ne sta immobile su una poltrona in balcone, infagottato in una coperta di lana. La morte, aveva osato pensare, forse la possiamo affrontare; è il dolore a essere più forte di noi, della nostra dignità.
Inizia così il testo di Precht che precede il racconto di Franz Kafka e ritrae un uomo che non riesce più a ingerire ciò che Dora gli prepara; un uomo che non crede molto nella medicina ufficiale, quella che tratta i singoli organi ma che non è in grado di considerare la persona nella sua interezza; non si può riporre fiducia in medici in grado di somministrare solo palliativi. Per uno come Kafka, poi, che ha sempre affrontato le paure con la letteratura, spogliandosi, mettendosi a nudo attraverso la scrittura, non c’è palliativo che tenga.
Un digiunatore nasce di getto nel 1922, in risposta a una crisi creativa. Kafka era impantanato nella scrittura de Il castello e, contrariamente a ciò che avrebbero fatto altri scrittori, risponde a una crisi della scrittura con la scrittura stessa, sospendendo la stesura del romanzo e scrivendo altro. 
Negli scritti di Kafka, l’atto del mangiare e del digiunare sono fortemente presenti. Precht ne conta almeno cinquecento passaggi, ricordandoci che, per definire la propria ossessione creativa, in un appunto del gennaio 1912, Kafka aveva paragonato la concentrazione della scrittura a un atto di astensione e dimagrimento nei confronti di tutto il resto, includendovi cibo, bevande, interesse per la musica e per il sesso. La scrittura contrapposta alla vita.
Uno scrittore, quindi, non tanto diverso dai digiunatori che si esibivano nei circhi e nei teatri nell’Europa di fine Ottocento/inizio Novecento. All’epoca, infatti, quella del digiuno veniva considerata una vera e propria arte: quando Riccardo Sacco, celebre digiunatore, digiunò al Prater di Vienna nel 1905, il suo impresario staccò ventiquattromila biglietti in 21 giorni di digiuno. Cosa spingesse gli spettatori d’inizio 900 a pagare un biglietto per assistere al digiuno di uomini e donne, spesso chiusi in gabbia, non mi è ben chiaro.
Certo è che, come tutte le mode, anche quella del digiuno, da un giorno all’altro, smise di destare interesse. E il digiunatore del racconto di Kafka, che in fondo non aveva mai digiunato per soldi, finisce per esser dimenticato e muore incompreso, così come lo era stato in vita.
Un racconto scarno (mai aggettivo fu più appropriato), che offre diverse chiavi di lettura e che ci mette di fronte a quanto sia difficile integrarsi e trovare ascolto in una società che stentiamo a capire e a cui sentiamo di non appartenere.

4 commenti:

  1. Quell'essere scettico sulla medicina ufficiale, che tratta i singoli organi ma non è in grado di considerare la persona nella sua interezza sembra una quanto mai azzeccata metafora di un certo mondo odierno, solo intento ad assemblare piccoli palliativi, sordo e cieco alla globalità dei problemi.

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    1. Siamo sulla stessa lunghezza d'onda.
      Viviamo di palliativi...

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  2. Non sapevo di questo rapporto di Kafka con il cibo! Mi hai incuriosita :) Oggi primo giorno di ferie e libri già infilati nella zaino, ma al ritorno in libreria me lo cerco!

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    1. Io devo tener duro ancora un paio di giorni. Poi passerò alla fase del "Che libro mi porto?" (e penserò d'aver a disposizione un tempo infinito e non quelle 2 settimane che volano via in un soffio).
      Che libri hai infilato nello zaino?
      Buone ferie!

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