La
fascinazione dei festival e delle fiere del libro è passata (cresciamo tutti e
il parco giochi non esercita più il potere di una volta), però c’è Libri come a due passi, parlano
addirittura di felicità, che faccio?
Non vado?
A
differenza delle precedenti edizioni, quest’anno non mi sono organizzata, non
ho comprato alcun biglietto in prevendita, non so a che ora mi libererò dagli
impegni di lavoro, è previsto il nubifragio, però confido nella felicità
promessa. Prendo la metro e noto una cospicua presenza di scozzesi in kilt. Se
la cantano allegramente. Ma che belli!, chissà dove andranno. Immersa nel mio
universo parallelo, comprendo che andranno all’Olimpico solo all’uscita dalla
metro, quando vengo travolta da una marea di scozzesi che, incuranti del
semaforo rosso, della pioggia, del tram, dei romani che strombazzano di fronte
a una massa di pedoni che hanno bloccato completamente la circolazione,
camminano spediti verso il Super Saturday del Sei Nazioni del rugby. Ed è
sicuramente felicità quel boato che mi avvolge nel momento in cui i tifosi
incrociano il pullman dei giocatori. Volano berretti, si alzano bottiglie di
birra, si agitano i kilt. Come in un romanzo.
Io,
intanto, riesco a sgattaiolar via e mi avvicino alle pagine svolazzanti
dell’Auditorium.
Biglietti
esauriti per buona parte degli incontri a cui avrei voluto assistere; mi lascio
guidare dal Caso. E il Caso vuole che il primo incontro sia su Sudeste,
libro dello scrittore argentino Haroldo Conti, poco conosciuto in
Italia, appena pubblicato dai tipi di Exòrma nella traduzione di Marino Magliani.
Haroldo
Conti venne sequestrato il 5 maggio 1976, dopo il golpe militare in Argentina
e, per dirla con le parole di Magliani, fatto
sparire da Videla, il dittatore dal volto malinconico. Dello scrittore del
Delta del fiume Paranà, impegnato politicamente, narratore di canali, piccole
isole e grandi solitudini, io non sapevo alcunché. Così come ignoravo alcune
delle vicende politiche raccontate da Marino Magliani e i tanti titoli di opere
non ancora tradotte in Italia. «Continuiamo ad avere la percezione che la
letteratura sudamericana sia solo realismo magico. Ma non è così. C’è tutta una
fetta di letteratura da scoprire».
Esco
dalla poetica del fiume e inizio a camminare sulla ghiaia dei vialetti della Reggia
di Caserta. Luogo di cui ricordo solo il caldo soffocante della prima e unica
volta in cui vi andai.
Giusi Marchetta ci
guida tra le statue del Vanvitelli e le enormi vasche della Reggia, ci racconta
di come possa perseguitarci l’infanzia e di quella sensazione che si prova
addentrandosi tra i giardini della Reggia: “accade una cosa misteriosa. I
rumori si fanno così distanti da non sentire più nulla. Una specie di
distopia”.
Mentre
penso a come un luogo che sa tanto di passato possa evocare una sensazione
distopica, cado nella Selva oscura di Nicole Krauss, presentato da Wlodek Goldkorn come il miglior libro
uscito di recente. Confessione del giorno: tutte le volte in cui Goldkorn ha
presentato qualche libro di cui era incredibilmente entusiasta, io sono uscita
dalla sala completamente spaesata, perché il suo punto di vista viene regolarmente
smentito dall’autore del romanzo. Però, per qualche misteriosa alchimia,
finisco sempre per acquistare il libro e invaghirmene.
E finirò in libreria
anche questa volta, tentata da una storia ambientata a Tel Aviv, in cui c’è di
mezzo il perdersi e il ritrovarsi, uscire dagli schemi e spezzare le vecchie
forme della nostra vita che non sono più calzanti con ciò che siamo diventati,
Dante, Kafka e Gogol… Troppa roba per poter resistere.
Gli
incontri si sovrappongono, gli scrittori parlano della genesi dei loro libri,
delle giornate trascorse in luoghi isolati in cui trovano rifugio per scrivere,
di lunghe camminate, di luoghi affollati che hanno ispirato questo o quel
romanzo. Un caos.
Quindi
la scrittura dà felicità? Sì,
stando alle ossessioni di alcuni grandi autori, raccontate da Annalena Benini (Marina Cvetaeva: la
mia vacanza è il tavolo su cui lavoro ogni giorno. Oppure Alice Munro che
scansa dalla scrivania le figlie piccole, perché il piacere della scrittura
viene prima degli affetti).
Scrittura
e felicità? No, stando alle testimonianze di Antonio Moresco, per il quale la scrittura è una parete verticale
di cui non si vede mai la cima, o per Michela
Murgia, che scrive solo quando è profondamente infelice, così infelice da
avvertire l’urgenza di denunciare qualcosa al resto del mondo (“Scrivere è un
gesto politico. I libri che ti spiazzano sono quelli che ti costringono a guardare
nell’angolo”), o per Alessandro Zaccuri
(“La vera felicità non è scrivere. Felicità potrebbe essere quella di chi viene
pagato per leggere ciò che desidera”). Mi sento immediatamente in sintonia con
Zaccuri.
E
il blocco dello scrittore esiste?
Dipende.
Sì, se sei uno scrittore di narrativa; no, se scrivi gialli. “Devo scrivere un
libro all’anno. Non posso permettermi il blocco dello scrittore”, dice
candidamente Ian Rankin, giallista
scozzese, che scrive i suoi libri di getto (altrimenti perderebbero la tensione
che un giallo deve avere), e per il quale la felicità è trovare rifugio nel
tepore di un pub.
Poi,
c’è un altro tipo di scrittura. L’autrice non è presente fisicamente all’Auditorium
ma la trovo in diverse conversazioni. È una donna che scrive solo di ciò che le
sta veramente a cuore, che non ha bisogno dei pub, che sin dai banchi di scuola
si è proposta di cercare e di raccontare
solo la verità. Ne tracciano un ritratto bellissimo Cristina Comencini,
Pierluigi Battista (“Io mi sono innamorato di questa donna”) e Sandra Petrignani. Parlano tutti di Natalia Ginzburg e della corsara che è stata.
Io
ho diverse idee di felicità. Sono sempre cose piccole. In una giornata dal
grigio cielo primaverile, felicità potrebbe essere anche tornare a casa e
iniziare a leggere Le piccole virtù.
Felicità è un libro che ti sequestra, che ti annoda o ti snoda le budelle e i pensieri, sono i giacinti che ho visto dal fruttivendolo, uscendo dall'ambulatorio e che ora aspettano nella sporta di essere trapiantati, perché il cielo ha deciso di colorarsi finalmente di primavera
RispondiEliminaFelicità è ricevere commenti come questo (ha appena smesso di piovere anche qui. C'è aria di primavera...)
EliminaPerò è anche vero che sono sempre più rari, col passare del mio tempo, trovare libri che sappiano sequestrarmi
RispondiEliminaMaledetto correttore
RispondiEliminaSono stata sequestrata da un nuovo libro...
EliminaNon sarei corretta se dicessi che i libri danno felicità: la danno, certo, ma non solo quella. Nel mio caso, è più giusto dire che suscitano emozioni, di ogni tipo.
RispondiEliminaE tu, raccontando i tuoi libri, riesci a far viaggiare noialtri.
EliminaCiao, Baba. Certo, la felicità è nelle piccole cose, quanto ai libri direi che, per quel che mi riguarda, spesso riescono ad assorbire i dolori. E spesso suscitano anche quella profonda, intensa, sensazione di appagamento.
RispondiEliminaCiao Renza, che bello ritrovarti di nuovo!
EliminaUna volta una persona mi disse che i libri le avevavo salvato la vita. A me sembrò un'espressione esagerata. Ma, in fondo, ci sono delle sere in cui i libri mi fanno tornar il sorriso, mi fanno viaggiare, mi fanno riflettere. Qualche volta mi fanno anche irritare. E se riescono a lenire un dolore e a farci sentire meno soli vuol dire che hanno compiuto un piccolo miracolo.
Cavolo, io mi sa che avrei seguito gli scozzesi.
RispondiEliminaDal punto di vista del lettore, con quello che si legge oggi, direi di no
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