martedì 5 agosto 2014

La famiglia Aubrey


La famiglia AubreyRebecca West, traduzione di Francesca Frigerio, Mattioli 1885.



Il periodo “smaltimento libri accumulati” procede quasi senza intoppi (le piccole defezioni hanno una valida giustificazione, giuro). Acquistai La famiglia Aubrey  al Salone del Libro di Torino un paio di anni fa. Non so perché lo feci; non credo fosse per la recensione di Baricco, ripubblicata in questa raccolta e letta solo di recente. Ricordo che andai con convinzione allo stand della Mattioli 1885 e iniziai a maneggiare i libri relativi alle fortificazione della seconda guerra mondiale (il coniuge in quel periodo era andato in fissa per i luoghi della guerra). Poi, non so come fu, mi colpì la copertina di questo libro di Rebecca West, mi dimenticai della Linea Maginot, capii che La famiglia Aubrey  era il primo volume di una trilogia, interruppi il pranzo del timido omone, che approfittava di un momento di tregua per strafogare un panino, pagai e andai via senza sapere esattamente cosa avessi acquistato. Tutta colpa della copertina dai bordi arrotondati.
Ho iniziato a leggerlo all’inizio di luglio. Dopo le prime 50 pagine ho pensato di aver buttato 20 euro. Dopo un paio di giorni ho pensato che questa faccenda dello “smaltimento libri acquistati” mi sta stretta: qui bisogna procurarsi gli altri due volumi della saga familiare.
Gran Bretagna d’inizio Novecento, la signora Clara Keith con le tre bambine e il piccolo Richard Quin lascia Edimburgo per raggiungere il marito a Londra. È solo uno dei tanti traslochi di una famiglia sui generis,  in balia dei colpi di testa del signor Piers Aubrey, padre assente, troppo impegnato in fallimentari speculazioni economiche per garantire una qualche stabilità a moglie e figli.
La quotidianità narrata dalla sorella Aubrey più vivace, Rose – Rebecca West,  procede come un andante moderato che di tanto in tanto sfocia in un presto per poi scivolare in un adagio. È un romanzo musicale, non solo perché la musica permea la vita della famiglia ma perché è scritto in modo fluttuante, delicato. Le giornate scorrono lente, tra un tè e una zuppa. Le esercitazioni al pianoforte, le corde del violino straziate da Cordelia e le discussioni su come vada interpretato un Notturno in Fa di Chopin riempiono gran parte del romanzo. Prima di sposarsi, Clara è stata una celebre pianista e le due figlie, Mary e Rose, hanno ereditato il suo talento e la sua determinazione. Richard Quen ne ha ereditato l’orecchio senza la costanza mentre la povera Cordelia, primogenita, ha solo la testardaggine di voler riuscire senza, ahinoi, alcun talento. 


La quotidianità viene spezzata da eventi drammatici, tipo l’improvvisa dipartita del capofamiglia (no, non muore; si limita  a sparire dalla sera alla mattina), qualche fenomeno paranormale e, più banalmente, un omicidio. Tutti episodi che vengono liquidati con poche righe, cancellati dall’urgenza della colazione, del tè del pomeriggio, dell’ora di cena.  
Rebecca West, pseudonimo di  Cicely Isabel Fairfield, nata a Londra da genitori di origini scozzesi e irlandesi, dopo aver tentato la carriera di attrice, fu giornalista, viaggiatrice, attivista politica, scrittrice, ragazza madre (che parola d’altri tempi). Donna spigolosa, senza peli sulla lingua, esercitò fino a 90 anni il diritto di esprimere liberamente la propria opinione, a costo di essere considerata blasfema. Mi piacerebbe poter leggere le recensioni letterarie che scrisse per il Times e per il Sunday Telegraph.  Immagino righe graffianti e giudizi severi. Una che alla domanda: “Do you admire E. M. Forster?” risponde tranquillamente “No. I think the Indian one [A Passage to India] is very funny because it’s all about people making a fuss about nothing, which isn’t really enough.” E alla domanda: “What about the work of Somerset Maugham, whom you also knew?” risponde altrettatanto seccamente:  “He couldn’t write for toffee, bless his heart. He wrote conventional short stories, much inferior to the work of other people. But they were much better than his plays, which were too frightful. He was an extremely interesting man, though, not a bit clever or cold or cynical”… [Eresia, eresia. Io adoro Maugham. Dite che è davvero così conventional??]
Se ciò non bastasse, nell’illuminante intervista pubblicata su the Paris Review, la West afferma: “I really don’t see War and Peace as a great novel because it seems constantly to be trying to prove that nobody who was in the war knew what was going on. Well, I don’t know whoever thought they would—that if you put somebody down in the wildest sort of mess they understand what’s happening”.
Ma uno può dichiarare candidamente che Tolstòj  è sopravvalutato senza finire all’Inferno?

Nella Famiglia Aubrey c’è un’attenzione maniacale a ciò che le mani dicono, a dove vengono riposte, alla gestualità. Quindi, non mi sono stupita nel leggere: “You said once that all your intelligence is in your hands”. Risposta: “Yes, a lot, I think. Isn’t yours? My memory is certainly in my hands. I can remember things only if I have a pencil and I can write with it and I can play with it”.
La West era una scrittrice accurata, che lavorava molto sulla scelta delle parole, sulla scrittura e riscrittura, come evidenziato nell’appendice e nella bella postfazione di Francesca Frigerio (benedetti sempre siano i bravi traduttori!). Peccato che la Mattioli 1885 si sia persa in una serie di refusi lasciati qua e là. Piccoli errori di battitura che rendono meno perfetto questo volume.


4 commenti:

  1. Meno male che esistono i traduttori (anche il google traduttore, eh.:D).
    Che altrimenti un'infinità di libri non avrei mai potuti leggerli.
    Intrigante, questa scrittrice "anticonvenzionale".

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    1. Personaggio molto affascinante. Credo sia una di quelle scrittrici che puoi amare o odiare. Senza vie di mezzo. Appena smaltisco quel centinaio di libri in attesa, approccio il secondo volume della saga familiare e ti fo sapere.

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  2. My memory is in my hands...quando ce l'hai dentro...

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  3. "I can remember things only if I have a pencil and I can write with it and I can play with it”.
    Affinità spirituali? Sarà per questo - mi sono chiesta dopo aver letto la frase che hai riportato - che adoro Moleskine e tutte le volte che posso compro il set di 10 fini pennarelli dai colori improbabili da Muji?
    Che soddisfazione però quando hai inizialmente sottovalutato un acquisto che poi si rivela un appassionante romanzo!

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