Il periodo
“smaltimento libri accumulati” procede quasi senza intoppi (le piccole
defezioni hanno una valida giustificazione, giuro). Acquistai La famiglia Aubrey al Salone del Libro di Torino un paio di anni
fa. Non so perché lo feci; non credo fosse per la recensione di Baricco,
ripubblicata in questa raccolta e letta solo di recente. Ricordo che andai con
convinzione allo stand della Mattioli 1885 e iniziai a maneggiare i libri relativi alle fortificazione della
seconda guerra mondiale (il coniuge in quel periodo era andato in fissa per i
luoghi della guerra). Poi, non so come fu, mi colpì la copertina di questo
libro di Rebecca West, mi dimenticai della Linea Maginot, capii che La famiglia Aubrey era il primo volume di una trilogia, interruppi
il pranzo del timido omone, che approfittava di un momento di tregua per
strafogare un panino, pagai e andai via senza sapere esattamente cosa avessi
acquistato. Tutta colpa della copertina dai bordi arrotondati.
Ho iniziato a
leggerlo all’inizio di luglio. Dopo le prime 50 pagine ho pensato di aver
buttato 20 euro. Dopo un paio di giorni ho pensato che questa faccenda dello “smaltimento
libri acquistati” mi sta stretta: qui bisogna procurarsi gli altri due volumi
della saga familiare.
Gran Bretagna
d’inizio Novecento, la signora Clara Keith con le tre bambine e il piccolo
Richard Quin lascia Edimburgo per raggiungere il marito a Londra. È solo uno
dei tanti traslochi di una famiglia sui
generis, in balia dei colpi di testa
del signor Piers Aubrey, padre assente, troppo impegnato in fallimentari
speculazioni economiche per garantire una qualche stabilità a moglie e figli.
La quotidianità
narrata dalla sorella Aubrey più vivace, Rose – Rebecca West, procede come un andante moderato che di tanto
in tanto sfocia in un presto per poi scivolare in un adagio. È un romanzo
musicale, non solo perché la musica permea la vita della famiglia ma perché è
scritto in modo fluttuante, delicato. Le giornate scorrono lente, tra un tè e
una zuppa. Le esercitazioni al pianoforte, le corde del violino straziate da
Cordelia e le discussioni su come vada interpretato un Notturno in Fa di Chopin
riempiono gran parte del romanzo. Prima di sposarsi, Clara è stata una celebre
pianista e le due figlie, Mary e Rose, hanno ereditato il suo talento e la sua
determinazione. Richard Quen ne ha ereditato l’orecchio senza la costanza
mentre la povera Cordelia, primogenita, ha solo la testardaggine di voler riuscire
senza, ahinoi, alcun talento.
La quotidianità viene spezzata da eventi
drammatici, tipo l’improvvisa dipartita del capofamiglia (no, non muore; si
limita a sparire dalla sera alla
mattina), qualche fenomeno paranormale e, più banalmente, un omicidio. Tutti
episodi che vengono liquidati con poche righe, cancellati dall’urgenza della
colazione, del tè del pomeriggio, dell’ora di cena.
Rebecca West, pseudonimo di Cicely Isabel
Fairfield, nata a Londra da genitori di origini scozzesi e irlandesi, dopo aver
tentato la carriera di attrice, fu giornalista, viaggiatrice, attivista
politica, scrittrice, ragazza madre (che parola d’altri tempi). Donna
spigolosa, senza peli sulla lingua, esercitò fino a 90 anni il diritto di
esprimere liberamente la propria opinione, a costo di essere considerata
blasfema. Mi piacerebbe poter leggere le recensioni letterarie che scrisse per
il Times e per il Sunday Telegraph. Immagino righe graffianti e giudizi severi. Una che alla domanda: “Do you admire E. M. Forster?” risponde tranquillamente “No. I think the Indian one [A Passage
to India] is very funny because it’s all about people making a fuss about nothing, which isn’t really enough.” E alla domanda: “What about the work of Somerset Maugham, whom you also knew?” risponde altrettatanto seccamente: “He couldn’t
write for toffee, bless his heart. He wrote conventional short stories, much
inferior to the work of other people. But they were much better than his plays,
which were too frightful. He was an extremely interesting man, though, not a
bit clever or cold or cynical”… [Eresia, eresia. Io adoro Maugham. Dite che è davvero così
conventional??]
Se ciò non bastasse, nell’illuminante
intervista pubblicata su the Paris Review,
la West afferma: “I
really don’t see War and Peace as a great novel because it seems
constantly to be trying to prove that nobody who was in the war knew what was
going on. Well, I don’t know whoever thought they would—that if you put
somebody down in the wildest sort of mess they understand what’s happening”.
Ma uno può
dichiarare candidamente che Tolstòj è sopravvalutato senza finire all’Inferno?
Nella Famiglia Aubrey c’è un’attenzione
maniacale a ciò che le mani dicono, a dove vengono riposte, alla gestualità. Quindi, non mi sono stupita nel leggere:
“You said once that
all your intelligence is in your hands”. Risposta: “Yes, a lot, I think. Isn’t yours? My memory is certainly in my hands. I can remember
things only if I have a pencil and I can write with it and I can play with it”.
La West
era una scrittrice accurata, che lavorava molto sulla scelta delle parole, sulla
scrittura e riscrittura, come evidenziato nell’appendice e nella bella
postfazione di Francesca Frigerio (benedetti sempre siano i bravi traduttori!). Peccato
che la Mattioli 1885 si sia persa in una serie di refusi lasciati qua e là.
Piccoli errori di battitura che rendono meno perfetto questo volume.
Meno male che esistono i traduttori (anche il google traduttore, eh.:D).
RispondiEliminaChe altrimenti un'infinità di libri non avrei mai potuti leggerli.
Intrigante, questa scrittrice "anticonvenzionale".
Personaggio molto affascinante. Credo sia una di quelle scrittrici che puoi amare o odiare. Senza vie di mezzo. Appena smaltisco quel centinaio di libri in attesa, approccio il secondo volume della saga familiare e ti fo sapere.
EliminaMy memory is in my hands...quando ce l'hai dentro...
RispondiElimina"I can remember things only if I have a pencil and I can write with it and I can play with it”.
RispondiEliminaAffinità spirituali? Sarà per questo - mi sono chiesta dopo aver letto la frase che hai riportato - che adoro Moleskine e tutte le volte che posso compro il set di 10 fini pennarelli dai colori improbabili da Muji?
Che soddisfazione però quando hai inizialmente sottovalutato un acquisto che poi si rivela un appassionante romanzo!