venerdì 21 maggio 2010

Camminatori

Tra i maggiori operatori italiani nei servizi di pubblica utilità, Acea è un Gruppo industriale concentrato sul consolidamento e la valorizzazione delle due attività principali, energia e acqua. Nel 1992 Acea si trasforma da Azienda municipalizzata in Azienda Speciale. 
Dal 1° gennaio 1998 diventa Società per Azioni. 
Quotata in Borsa dal 1999, si occupa della gestione di servizi energetici, ambientali e idrici: produzione, vendita e distribuzione di energia, sviluppo di fonti rinnovabili, smaltimento e valorizzazione energetica dei rifiuti, illuminazione pubblica e artistica, servizio idrico integrato (acquedotto, fognatura e depurazione).
2001: il Gruppo Acea acquisisce da Enel il ramo di distribuzione di energia elettrica nell'area metropolitana di Roma. Acea Distribuzione diviene così il secondo operatore di distribuzione di energia elettrica.

Fino a poche settimane fa, per me Acea altro non era che un simboletto su una bolletta da pagare. Poi, mi è capitato di varcare la soglia della sede centrale per una collaborazione "esterna" e dinanzi a me si è aperto un mondo magico. Intenta a svolgere un lavoro noioso come pochi altri, vengo catturata dalla discussione del giorno: risolvere l’annosa questione del perché il responsabile dei camminatori non risponda al telefono. Ohibò, e chi l’avrebbe mai detto che in Acea potesse esserci una comitiva di sportivi appassionati al punto tale da creare un club di camminatori? E già mi vedo di fronte questo club di trekking nato nei meandri di un’azienda di pubblica utilità in cui, diciamocela tutta, l’attività lavorativa non sembra essere delle più pressanti. Sì, va be’, ma perché si scaldano tanto con ‘sta storia dei camminatori che non fanno il loro lavoro? Nella mia ingenuità di persona che ha sempre lavorato nel privato, scopro che dicesi camminatore colui che viene pagato per portare, buste, fogli di carta, documenti, dall’ufficio A all’ufficio B. Penso ai portalettere dei film americani, giovani e aitanti, che girano con i loro carrellini tra una scrivania e l’altra e l’immagine cozza subito con la figura della signora cicciottella che si trascina da una stanza all’altra e che viene additata come una di quelle che «No, no; non fa neppure metà del suo lavoro». E chi si sta lamentando, stizzita, mi guarda e osserva: «Ma io non ci penso proprio ad alzarmi e ad andare in segreteria a prendere questi documenti che ho richiesto! Non è mica compito mio!».
Abbasso lo sguardo e torno al mio lavoro. Devo terminarlo al più presto e uscire da lì prima che orchi e draghi si materializzino davanti alla scrivania. Ma il mio sguardo perplesso non sfugge all’attenzione della persona con cui sto collaborando.
«Per chi lavora qui da anni, il passaggio dal pubblico al privato deve ancora arrivare. Degli addetti al verde non te ne hanno ancora parlato?»
Non ho visto giardini, aiuole o nulla che possa far pensare alla necessità di diversi giardinieri.
«No, no; non parlo di giardinieri ma di addetti al verde, figura fondamentale che vaga nei corridoi per dare acqua alle tre piante che ravvivano l’ambiente… E se ne avessi bisogno, due stanze più in là c’è un cappellano, sempre pronto ad ascoltare tutti i tuoi peccati». Perdindirindina!
Dopo un po’ prendo il mio Pc e mi sposto altrove. Camminando, lo sguardo mi cade sulla targhetta “Cappellano”. C’è davvero.
Riprendo il mio lavoro ma, stavolta, a distrarmi non sono voci di corridoio o discussioni accese ma un suono, lungo, profondo… È come se qualcuno, al di là di quella porta, stesse russando. Mi guardo intorno imbarazzata. Nessuno sembra farci caso. Eppure sì: è proprio qualcuno che russa.
Ore 11.35: un signore in giacca blu e cravatta a righine grigie esce da quella stanza stropicciandosi gli occhi. Guarda un collega e: «Ahò, ‘nnamoce  a fa’ un caffè va!». E io ancora non riesco a togliermi quella stupida espressione stupita dalla faccia. Il pomeriggio i corridoi sono per lo più vuoti: sembra che non sia salutare lavorare dopo le 14.00.
Io non sono di quelle che vivono per lavorare però un minimo di ritegno!

Torno a casa. Accendo la radio. “Il ministro dell'Economia Tremonti, stretto dall'esigenza di far quadrare il bilancio, non ha esitato ad affermare che la crisi è peggiore di quello che si pensa. Intanto il clima di austerity comincia a fare le prime vittime tra i settori del pubblico impiego considerati i più privilegiati…”
Generalizzare non serve a nulla. La pubblica amministrazione non è il diavolo, così come non lo sono i dipendenti pubblici. Però sarebbe bello vivere in un Paese in cui i concorsi nella p.a. si vincessero solo per merito, un Paese in cui non si debba attendere giorni per ricevere un certificato o per avere un chiarimento da un ufficio pubblico; un Paese in cui ciascuno ha i suoi compiti e li svolge al meglio, poco importa che si parli di pubblico impiego o privato. Un Paese normale, ecco.

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