Una quindicina d’anni fa, i miei coetanei liceali, residenti nei vari paesini della Ciociaria e alle prese con la scelta universitaria, si distinguevano in due macro gruppi: quelli che, indipendentemente dalla facoltà scelta, sarebbero andati a studiare a Roma, e quelli che optavano per la cosiddetta cittadina universitaria (quattro le alternative possibili: L’Aquila, Perugia, Siena, Pisa. Gli altri luoghi non erano altrettanto gettonati).
Dal canto mio, avevo una sola certezza: Roma mai. E un irrazionale amore per la Toscana tutta. Il perché scelsi la facoltà in cui mi sono laureata e Siena è una storia lunga che non sto qui a raccontarvi. Fatto sta che, con il passare del tempo, ho spesso messo in discussione la facoltà scelta ma mai gli anni trascorsi in quel di Siena. Alcuni tra i miei nuovi compagni, invece, strada facendo abbandonarono Siena per Perugia. Pare che lì si respirasse un’altra aria, un’apertura mentale e una vivacità che noialtri neanche riuscivamo ad immaginare.
Pur non essendoci mai stata, da allora, nella mia testa s’è stampata l’immagine di una Perugia costantemente immersa nel jazz; viuzze percorse da gente allegra di diverse nazionalità, caffè colorati, librerie, spettacoli teatrali e concerti in ogni angolo. Quindi, avendo a disposizione qualche giorno libero in questo inizio d’anno e vista la vicinanza territoriale, s’è deciso di farla, finalmente, ‘sta passeggiata nella tanto elogiata verde Umbria, partendo proprio da Perugia.
In un lunedì pomeriggio umidiccio, col cielo che minaccia ancora altra pioggia, il signor valigiesogni ed io ci inerpichiamo verso il cuore della città fino ad arrivare a Piazza Grande, oggi Piazza IV Novembre. Davanti a noi gocciola la Fontana Maggiore con, alle spalle, il Duomo, chiuso; intorno, pochi visitatori che consultano la mappa della città.
«Tutto qui?», mi viene da dire. E devo avere una faccia sconcertata perché il signor valigiesogni mi guarda preoccupato: «Che succede? Qualcosa che non va?»
No, no, va tutto bene, è solo che questa città qui, con questa atmosfera qui, non combacia affatto con la mia fotografia mentale. È un altro posto. Cerchiamo di entrare in un paio di chiese ma, a quell’ora, sono chiuse. Pioviggina.
Entriamo nel Palazzo dei Priori, ci troviamo di fronte alla biglietteria della Galleria Nazionale dell’Umbria; il prezzo del biglietto è irrisorio rispetto ai capolavori che dovrebbe custodire. Paghiamo e iniziamo la nostra visita.
A questo punto lo sconcerto si dissolve e la città assume un altro volto. Sono così numerose le opere del Perugino, del Pinturicchio, del Beato Angelico… ci sono così tante opere d’arte da restare senza parole.
Mi lascio catturare dal calore di queste pale, dalla dolcezza dei volti di queste Madonne, da linee e prospettive che cambiano al cambiare dei secoli. E maledico la mia ignoranza e l’esigua attenzione prestata all’insegnante di storia dell’arte che cercava di farci scoprire cos’è la bellezza.
Esco dal Palazzo dei Priori barcollando; certi luoghi andrebbero assaporati lentamente, non divorati in un solo pomeriggio. Ha smesso di piovere; le luci e le canzoncine natalizie avvolgono le strade del centro; un signore vende caldarroste ed io mi guardo intorno sorridente.
Il giorno successivo si apre col cielo azzurro, e la Piazza IV Novembre ci appare così:
Tra le tante chiese visitate, resto affascinata dalla Chiesa di San Pietro, abbazia benedettina, fondata nel X secolo. Ci arriviamo per caso, spinti dalla curiosità di vedere in quali edifici si trovi la Facoltà di Agraria.
«Decentrata e decadente» farfuglia il signor valigiesogni. In effetti, l’area circostante è un po’ trasandata; entriamo nel chiostro maggiore, ci concentriamo sul campanile, apriamo il portale della chiesa e ci dimentichiamo della Facoltà di Agraria. L’interno è cupo, il soffitto e il coro ligneo sono eccezionali. Tutt’intorno, immersi nella penombra, dipinti, tele ed affreschi. Leggo la mia guida e riconosco qualche autore: il Vasari, il Guercino, il Perugino ed altri meno noti.
Tra una salita e una discesa, una porta e l’altra, raggiungiamo il Tempio di Sant’Angelo.
Originario del V-VI secolo d.C., è stato probabilmente edificato sui resti di un tempio romano, nel periodo in cui le religioni pagane erano in decadenza e il cristianesimo prendeva piede nei territori dell’ex Impero. A sua volta, il tempio che vi sorgeva prima era stato edificato su un terreno sacro agli Etruschi.
La guida parla, inoltre, di simboli molto particolari presenti sugli stipiti d’ingresso e al collo della Madonna; rappresentazioni legate, sembrerebbe, all’universo mistico dei Templari. Non sono un’appassionata di misteri e di queste cose non ne so granché. Certo è che qui dentro si respira un’atmosfera singolare. Una sensazione di pace e serenità (altro che magia nera e riti pagani) che non ho avvertito altrove. Esco a malincuore.
Per concludere la giornata, visitiamo il cassero di Porta Sant’Angelo, antica costruzione merlata facente parte delle mura medievali che circondano Perugia. All’interno del cassero è stato allestito un piccolo ma interessante museo sulla storia delle cinte murarie cittadine; dal tetto della torre, circondato da una merlatura guelfa, si può ammirare un panorama mozzafiato (fiato, peraltro, mozzato dal vento gelido che caratterizza queste giornate).
Il mito di Perugia, la città dall’atmosfera unica, è stato sfatato. Forse, se vi fossi andata in un periodo diverso da quello vacanziero, la presenza di numerosi studenti in città ne avrebbe dato un’immagine diversa. Però, anche il disappunto iniziale è stato spazzato via dopo qualche ora.
Perugia è una cittadina con angoli meravigliosi ma bisogna avere la pazienza di cercarli e gustarli lentamente.