domenica 16 settembre 2018

Mantova e il Festivaletteratura




Il Festivaletteratura di Mantova è caro.
Vero. Gli incontri più interessanti sono a pagamento e sarebbe opportuno prenotarli prima, altrimenti si rischia di fare la fila inutilmente, senza poter accedere al luogo in cui si svolge l’evento. Quindi è un festival che “va organizzato”.
Anche Mantova è costosa nei giorni del Festival.
Verissimo. Le strutture ricettive sono limitate e gli albergatori approfittano dei tanti visitatori che affollano la città.
In generale, i festival sono troppo commerciali. Il lettore dovrebbe dedicare più tempo alla lettura anziché girare di città in città ascoltando ciò che gli scrittori raccontano d’aver scritto.
Punto di vista condivisibile, ma… Ma Mantova fa bene al cuore, al mio sicuramente, e anche quest’anno, fatti due conti, ho deciso di regalarmi qualche giorno di festival.
Come sia Mantova nei restanti 360 giorni dell’anno non saprei dirlo. Mantova per me è il Festivaletteratura: l’ho conosciuta così questa città e non saprei immaginare Piazza Sordello senza il tendone in cui si svolgono gli incontri fino a tarda sera, i portici del Palazzo Ducale senza banchetti dei libri usati, Piazza Leon Battista Alberti senza la postazione di Radio 3, la Loggia del Grano della Camera di Commercio senza la segreteria del Festival, la città senza i volontari in maglietta blu che sfrecciano da un punto all’altro per permettere lo svolgimento dell’evento, le librerie piene di gente con cui condividere opinioni di lettura senza dover postare la copertina del libro su questo o quell’altro social. Mantova nei giorni del festival è una comunità di lettori che gira a piede libero. È l’atmosfera a rendere speciale il Festivaletteratura, gli incontri casuali, la gente che sorride, i libri che ti capitano tra le mani.
Il Festivaletteratura non è perfetto: si resta sempre delusi da qualche incontro, si corre da un luogo all’altro maledicendosi per aver scelto eventi in posti così distanti, impossibili da raggiungere in poco tempo; ci si rammarica di fronte a un “evento esaurito”. Si arriva a sera stanchi ma tendenzialmente felici.
Di quest’anno non dimenticherò:
- L’incontro con la canadese Helen Humphreys, la scrittrice più laconica in cui mi sia mai imbattuta. M’incuriosiva il titolo furbetto dell’incontro “Il fascino della letteratura” e mi aspettavo un’autrice spigliata che facesse citazioni a tutto spiano. Invece, la povera Simonetta Bitasi, che curava l’incontro, ha faticato non poco per strappare una risposta che andasse oltre il sì, no, è vero… Eppure la Basilica Palatina di Santa Barbara ospitava tantissimi lettori innamorati della Humphreys ed è stata proprio una lettrice, Paola, nonostante l’incontro deludente, a suggerirmi di leggere almeno un titolo, Cani Selvaggi, anche se “dopo un incontro del genere nessuno avrebbe voglia di leggerla. Invece, credimi, è dirompente”. Perché a Mantova succedono cose insolite, tipo iniziare a chiacchierare in libreria con persone sconosciute e continuare a parlare di libri nel caffè accanto.
- La potenza delle immagini di Sarajevo mostrate dall’architetta e scrittrice Diana Bosnjak Monai nel corso dell’incontro Accadde a Sarajevo. Le sorti politiche dell’ex Jugoslavia furono l’oggetto di uno dei miei primi casi studio ai tempi dell’Università. Era la fine del secolo scorso (che detta così fa quasi paura) e la guerra balcanica vista a freddo diventava una mera ridefinizione dei confini e degli assetti politici di un’area complessa. Vedere le immagini di allora, scattate da persone comuni, ascoltare la testimonianza di chi ha vissuto quella guerra, è stato un rimescolare in un passato recente eppure già dimenticato.
«Mio nonno iniziò ad annotare quotidianamente ciò che avveniva in città dopo il bombardamento della biblioteca universitaria di Sarajevo perché – mi disse – quando un popolo inizia a bruciare gli archivi storici del proprio Paese è pronto a commettere qualsiasi efferatezza».       


- La passione per la lingua italiana di Jhumpa Lahiri e il racconto dettagliato della genesi del suo primo romanzo in italiano, Dove mi trovo. Le esitazioni da cui si percepisce la continua ricerca della parola giusta, le sue affermazioni spiazzanti: L’italiano mi permette di togliere il superfluo, di pulire i miei pensieri. Sono alla ricerca dell’essenziale.
- Marcello Fois che parla dei Promessi sposi e quasi quasi mi viene voglia di rileggere seriamente Manzoni.
- La scoperta delle streghe dei Carpazi Bianchi attraverso le parole di Kateřina Tučková, che poi streghe non erano ma guaritrici, donne che conoscevano il potere curativo delle erbe e che attraverso il loro lavoro garantivano il sostentamento economico della famiglia. Donne finite al rogo perché considerate vecchie ciarlatane, streghe dai poteri malefici, emarginate, scivolate nell’ombra e presto dimenticate.
- L’ironia di Patrick McGrath: sì, scriviamo storie atroci ma non sono quelle a farmi venire gli incubi. Ci sono molte altre cose che mi tormentano, le parole di Donald Trump, ad esempio. 

- Ascoltare l’islandese di Jón Kalman Stefánsson senza capire mai quando stia scherzando (ed è un tipo divertente, ma è impossibile percepire qualsiasi sfumatura con una lingua così diversa dalla nostra).
- Istanbul raccontata attraverso le immagini dell’architetto Alper Derinboğaz, curatore del futuro Museo della storia di Istanbul e attraverso le parole della scrittrice newyorkese di origini turche Elif Batuman.
Alper Derinboğaz: Quando passeggio nelle città italiane è come star seduto nel salotto di casa mia: tutto curato nei minimi dettagli, rilassante. 
Istanbul, invece, si è frammentata, ha perso il controllo, è impossibile distinguere uno spazio pubblico (come possono essere le piazze italiane) da uno spazio privato. E la mia idea romantica di una Istanbul come luogo letterario s’infrange irrimediabilmente.
- Lo stupore e il senso d’impotenza mentre vengo schiacciata dai Giganti a Palazzo Te.

- La centrifuga energizzante con la libraia italiana a Vienna. No, non è l’ultimo libro frivolo su libraie, bibliotecarie e librerie. Silvia è una libraia in carne ed ossa, libraia nell’unica libreria italiana di Vienna. Organizza più incontri lei di molti librai italiani a me noti. E non dite eh, ma lì si legge di più; neanche la situazione è semplice per i librai, e anche amazon è più pratico e più economico di qualsiasi libreria fisica.
Qui la pagina facebook della libreria gestita da Silvia.

Tornata alla quotidianità, ripenso alle parole della signora che, in fila alla biglietteria, sbirciando la lunga lista di eventi che avrei seguito disse: “Ma è peggio di una giornata in ufficio!”. E come suggerì l'amica Maria, al posto del mio sorrisetto imbarazzato avrei dovuto rispondere “Non scherziamo signora!” Se il lavoro fosse così, sarebbe un po’ meno lavoro…

Ciao Mantova, vediamo se riesco a tornare anche l’anno prossimo.

6 commenti:

  1. Io continuo ad andare il libreria e in biblioteca, ma ogni anno aspetto con ansia il tuo post su Mantova

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    1. E spero di continuare a parlarne. Ormai ho messo da parte Torino, Milano e fiere varie. A Roma continuerò ad andare per ovvie ragioni geografiche.
      Per quest'anno mi sono regalata anche un altro evento. Sarà la mia prima volta... Aspettative elevate. Ho generato abbastanza suspense?

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    2. E ma non si fa così con le scimmie curiose come me

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  2. Io quest'anno mi sono dovuta accontentare di mezza giornata e solo un paio di incontri (Tom Drury e Michela Murgia), rinunciando a quello che Stefansson, che ero riuscita a prenotare e ho dovuto disdire, mentre di poter venire anche ad ascoltare Kateřina Tučková non c'era proprio verso, per via dell'orario. Peccato, davvero, perché Mantova, che è sempre un piccolo gioiello, nei giorni del Festivaletteratura è qualcosa di travolgente!

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  3. L'amica C. mi ha già precettato per la prossima edizione.
    Credo mi servirà per "matar saudade" (tu sai a cosa alludo).

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  4. io ci sono stata non durante il festival anni fa e mi era piaciuta tantissimo.
    L'hai visitato Palazzo Te? bellissimo!

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